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TESTO Il tocco e la parola

don Giacomo Falco Brini  

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (11/02/2018)

Vangelo: Mc 1,40-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Che cosa spinse un uomo ammalato di lebbra ad osare avvicinarsi a Gesù, violando apertamente le puntuali prescrizioni della Legge? (Lv 13,45-46) Aver forse udito da qualche parte che guariva molti affetti da varie malattie (Mc 1,34)? Ma chi gli aveva parlato di Gesù? Non abitava costui presso luoghi di totale solitudine e desolazione, lontano da ogni umano consorzio e accomunato soltanto a chi condivideva la sua tristissima condizione? E' stato detto giustamente che il lebbroso in Israele (come in altri popoli e culture) è un morto civile e religioso, tagliato fuori dalla società e da qualsiasi possibilità di culto. E' l'uomo che vive già l'inferno su questa terra, senza più umane relazioni. Obbligato ad accettare ogni giorno la sua autoesclusione, doveva avvertire il prossimo della sua contaminante presenza! (Lv 13,45) Ma che esistenza era la sua? Nella cultura autosufficiente del nostro occidente, oggi si direbbe che qui non ci troviamo davanti né una vita, né una morte “dignitosa”...

Ricordo quando una volta, in missione, mi fu indicata da una collaboratrice una casa con una donna ammalata: “vive completamente da sola” - mi disse. Olga aveva contratto l'AIDS. Da quando si seppe della sua malattia, i familiari, i vicini di casa e poi tutto il povero quartiere dove viveva, si allontanarono sempre più da lei. Solo alcuni sapevano che si prostituiva. Quando però la sua malattia si rese visibile in fase terminale, divenne di dominio pubblico come aveva vissuto. Nessuno andava più a trovarla e nessuno trovava il coraggio di segnalarmela. Non mi lasciai sfuggire l'occasione. Infatti, un paio di anni prima, avevo fatto fare una bruttissima figura al Signore: avvicinatomi al capezzale di una ragazza affetta da AIDS giunta alle ultime, per paura non la toccai e mi limitai a pregare per lei. Avevo voglia di riscattarmi. Così, mentre pensavo a come ci si potesse sentire con una malattia che ti condanna a morte mentre tutti si allontanano da te, chiesi a Gesù di darmi i suoi sentimenti verso quella donna.

Il lebbroso del vangelo si gettò ai piedi del Signore. Non aveva più nulla da perdere, anzi, era già un uomo perduto. Quindi nella migliore condizione per incontrare Colui che è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,10). Quando non si ha più niente da perdere, in genere si è più disposti a rischiare. La violazione della Legge è già tutta qui, nell'uscire dalla segregazione imposta e nell'entrare in contatto con un uomo sano. La supplica piena di fiducia salì dalle sue ginocchia piegate: se tu vuoi, puoi guarirmi! (Mc 1,40) - E commosso, tendendogli la mano, lo toccò e gli disse: lo voglio! Sii purificato! (Mc 1,41). La commozione di Dio è indicata con un verbo che esprime movimento viscerale. E' l'amore materno di Dio, sorgente dell'azione di Gesù. E poi la sua mano tesa: nella Bibbia è l'attributo di Dio che compie prodigi. Gesù tocca il lebbroso e poi spiega con la parola cosa significhi quel tocco: in Gesù, Dio è venuto a toccare l'uomo per raggiungerlo nel principio di morte che lo accomuna a tutti e per ridargli una vita nuova! Nel miracolo descritto da Marco non si dice né il nome di quest'uomo, né il luogo, né il tempo, affinché il lettore possa specchiarsi nel lebbroso. La sua carne che va in disfacimento, non è altro che un'anticipazione del destino di ogni carne, della tua e della mia.

Quando giunsi a casa di Olga, avevo già nel cuore una compassione non di mia produzione. Osservavo quella casa povera, desolata, senza alcun segno di vita. Rimasi davanti ad essa per qualche istante in silenzio. Poi bussai alla porta. Dall'interno della abitazione uscì una voce flebile: “chi è?” - “Sono padre Giacomo!” - risposi. “Entri, entri pure padre!”. La porta era già aperta. Entrai lentamente. In quella unica, poverissima stanza, Olga giaceva su un vecchio letto, il corpo immobile ormai quasi del tutto “scavato” dall'AIDS. La salutai cordialmente e poi mi sedetti al suo fianco. Cominciammo a parlare. Qualche volta accennava a un timido sorriso. Vedevo che faticava molto a parlare. Gli dissi perché ero lì. Allungai il mio braccio e le toccai prima il capo poi il volto accarezzandola. Infine le tenni la mano stretta alla mia: “sono venuto per dirti con la mia persona che Gesù ti è vicino soprattutto ora, perché ti ama, e non può sopportare che tu ti senta sola”. Mi fissò stupita. Allora anche lei mi raccontò perché era lì. Quando finì il suo racconto, chiese di confessarsi. Ma io gli dissi che lo aveva appena fatto. Il suo volto si aprì in un sorriso la cui dolcezza non posso descrivere. E mentre le lacrime scorrevano senza minimamente interferire su quel sorriso, dopo che le diedi l'assoluzione sacramentale, aggiunse: “nessun uomo mi ha fatto sentire come oggi tu mi hai fatto sentire. Non mi sento più sola, anche se sto per morire”. Se solo potessi proiettarvi su uno schermo il ricordo del suo volto mentre mi parlava così! Dopo aver detto insieme il Padre nostro le diedi l'eucarestia. Infine aggiunsi: “hai ragione Olga, solo Gesù è l'uomo che non delude e non ci fa sentire mai soli nella nostra solitudine. Grazie per questa lezione.” Poi le sussurrai all'orecchio un breve messaggio per il Signore Gesù, strappandole la promessa che glielo avrebbe comunicato in cielo. Morì due giorni dopo il nostro incontro.

Gesù vuole entrare in contatto con l'uomo. Ma lo tocca (o è da Lui toccato) soltanto chi è convinto della propria lebbra. Perché è il nostro male, il nostro peccato, il luogo dove entriamo in contatto con Lui. La nostra giustizia non ci farà mai toccare il Salvatore. Solo nella nostra miseria possiamo toccare Colui che si fa' chiamare Misericordia. “Il luogo privilegiato per l'incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati. Se un cristiano non è capace di sentirsi peccatore e salvato dal sangue di Cristo Crocifisso, è un cristiano a metà cammino, è un cristiano tiepido! Dove non avviene questo incontro, le chiese, le parrocchie, le istituzioni, sono decadenti...Ma io, sono capace di dire al Signore: ‘sono peccatore'”, non in teoria, ma confessando il peccato concreto? E sono capace di credere che proprio Lui, con il Suo Sangue, mi ha salvato dal peccato e mi ha dato una vita nuova? Ho fiducia in Gesù?...Di quali cose si può vantare un cristiano? Solo di due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso.” (Papa Francesco, Omelia a S. Marta, 04.09.2014). Perciò quel lebbroso, malgrado l'invito di Gesù a non divulgare il fatto (Mc 1,43-44), se ne andò incontenibile ad annunciare proprio quanto gli accadde (Mc 1,45), e fu il primo evangelizzatore secondo Marco. Solo chi ha veramente incontrato Gesù Cristo può diventare missionario del suo vangelo.

 

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