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VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (11/02/2018)

Vangelo: Mc 1,40-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,40-45

40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Gesù
Marco è il primo a scrivere il Vangelo - anzi è lui che per primo inventa questa parola -, lo fa con una preoccupazione, quella di far capire chi è Gesù. Non possiamo dire che Marco sia uno storico, né un letterato: non dice nulla della nascita, non riporta neppure un discorso, si ferma all'annuncio della resurrezione, neanche racconta le apparizioni pasquali (i capitoli finali sono una aggiunta posteriore al testo di Marco). Ciò che Marco scrive non è inventato, fa parte della sua esperienza, i singoli fatti sono tutti veri ma assemblati in modo fantasioso e raccontati in modo facile da leggere; per esempio mette insieme le parabole, riunisce i miracoli; la giornata a Cafarnao del primo capitolo è una architettura letteraria ma con lo scopo preciso di mostrarci fin da subito un Gesù vivace che insegna con autorità, che ha potere sugli spiriti impuri, che si relaziona e guarisce la suocera di Simone come una folla grande, che ha bisogno di ritirarsi in preghiera, che compie scelte non proprio popolari, a volte anticonformiste, che ha chiara la sua missione.
Quello che stupisce del Gesù secondo Marco è la sua “presenza” dinamica, non è un racconto del passato, una storia da recuperare o ripensare: Gesù è vivo, presente adesso, nella nostra storia di oggi, la sua immagine è immediata. Marco aiuta i suoi lettori a fare la stessa esperienza di Cristo nella comunità in cui vivono perché è lì che continua la sua opera (cfr. Mc 16,20).

«Se vuoi, puoi purificarmi!»
Se negli altri vangeli la figura di Gesù è un po' idealizzata, in Marco il racconto è concreto come quello di un uomo immerso nella sua realtà storica, a volte sconcertato, a volte commosso, adirato, impulsivo, reattivo.

Gesù stava andando per tutta la Galilea (Mc 1,39) quando all'improvviso arriva un lebbroso; per capire il senso dell'incontro vale la pena rileggere nel Levitico in quale condizioni i lebbrosi dovevano vivere (Lv 13,45-46): emarginati, senza diritti, malvestiti e lontano da tutti. È la pelle di quegli uomini a generare l'emarginazione. Non dissimile è la situazione di molti braccianti agricoli sfruttati e disumanizzati; o di tanti stranieri la cui presenza disturba tanto che soltanto a vederli muove ansia e preoccupazione, a meno che non ne abbiamo bisogno diretto.
«C'è un'indole del rifiuto che ci accomuna, che induce a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare. Si tratta di una mentalità che genera quella cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso. Da essa nasce un'umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta» «una cultura che rigetta l'altro, recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società e per generare violenza e morte» (Papa Francesco 12.1.2015).
Gesù ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». La successione dei verbi racconta sinteticamente il passaggio dal sentimento all'azione. Compassione traduce il greco splanchnízomai che indica un movimento viscerale come di parto, una sofferenza generativa. È la compassione che fa tendere la mano; al movimento interiore segue il movimento esteriore: un sentimento che rimane chiuso in se stesso non ha significato, diventa auto contemplativo, inutile. Poi lo toccò. Ci sarebbe da scrivere un trattato, fare uno studio sul senso, la dinamica, la ricchezza, la profondità del toccarsi. Quante tensioni, emozioni, ansie si scaricano nel momento che un altro ci tocca! Non servono parole per comunicare un abbraccio, una mano su una spalla, una stretta di mano, una carezza... Il tocco è una porta che si apre tra le persone, uno spiraglio che si schiude al mondo, una energia che permette di riprendere la relazione con se stessi e con gli altri.
Gesù toccò colui che era intoccabile non curante delle regole, delle opportunità, delle prescrizioni religiose a cui noi teniamo tanto.

Come testimonianza per loro
Prima ancora delle parole è il gesto che annullando la distanza tra il puro e l'impuro risana l'uomo. Gesù agisce sapendo bene la portata dei suoi gesti e svela la sua libertà di fronte alla religione e ai suoi dettami, proprio per questo: ammonendolo severamente, lo cacciò via subito. Qualcosa sembra essergli sfuggito nell'impeto degli avvenimenti: quella purificazione può essere fraintesa, una cosa è la malattia altra cosa è come era compresa dalla religione, cosa aveva capito colui che è stato guarito? Gesù lo manda dai sacerdoti non per ossequiare una prescrizione come testimonianza per loro.
Ma quello si allontanò
senza andarci, aveva compreso che la sua esclusione non era nel cuore di Dio.

 

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