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TESTO Oltre la notte

don Alberto Brignoli  

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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/02/2018)

Vangelo: Mc 1,29-39 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,29-39

29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Chi riesce a dare una spiegazione al dolore e alla sofferenza? Quando abbiamo qualche dolore, qualche prova, l'istinto è di cercare una causa, un colpevole della nostra sofferenza. Anzi, il nostro naturale istinto ci porta a rifiutare il dolore, a combatterlo, a fuggirlo: nessun uomo al mondo vuole per sé la sofferenza. Magari, nel peggiore dei casi, la augura agli altri: ma per se stesso, l'uomo non vuole - ed è giusto che sia così - né dolori, né prove, né sofferenze.

Ma per quanto l'uomo lo rifiuti, il dolore c'è: e capita addosso all'uomo in maniera imprevista, impensabile, ingiusta, cogliendolo il più delle volte impreparato e quindi ferendolo gravemente nel suo orgoglio. Allora l'uomo comincia a interrogarsi e a chiedersi il perché del dolore: da dove viene il dolore, se l'uomo non lo vuole? Assurdo pensare che sia un castigo per i suoi cattivi comportamenti: ma ammesso e non concesso che ci sia un dolore che si ripercuote sull'uomo come conseguenza delle sue cattive azioni, perché tanti innocenti soffrono ingiustamente? Perché tanti bambini malati e affamati? Perché tante vittime innocenti di calamità naturali? Perché esiste la malattia, che nel 90% dei casi clinici non è affatto la conseguenza di cattivi comportamenti, ma solo una fatalità che colpisce alcune persone, meno fortunate rispetto ad altre?

Nel corso della storia, l'uomo ha cercato di dare più di una risposta al problema dell'origine del male e del dolore; e tra i vari tentativi, spesso ci è andato di mezzo Dio, il quale - se è vero che esiste, ed è il Bene Supremo, ed è Creatore di tutto ciò che di buono esiste - non può essere origine del male, né tanto meno può permettere che il male esista. E nemmeno si può pensare che ci siano due forze equivalenti, quella del Bene retta da Dio e quella del Male retta da satana, che si combattono e che vincono a turno l'una o l'altra, in base alle cose belle o brutte che capitano all'umanità: non si può accettare una visione “manichea” del mondo, dove ci siano due principi, uno del Bene e uno del Male, perché ciò presupporrebbe che Dio non è più assoluto, mentre Dio è Vincitore anche del Male. E allora, da dove vengono il dolore e la sofferenza? Sant'Agostino propone come soluzione che tutto sia da ricondurre all'uomo: è lui che disobbedendo a Dio è uscito dalla sola logica del Bene ed ha assunto in sé anche la logica del Male.

Ma siamo ancora al punto di prima: e il dolore innocente? Chi lo spiega? Chi l'ha voluto? Chi provoca su di sè la malattia, la sofferenza, la morte? C'è una parte di dolore, ed è grande, che non è spiegabile, e non è imputabile neppure all'uomo: da dove viene?

La Parola di Dio, oggi, ci fa incontrare con la drammatica e meravigliosa figura di Giobbe. Un santo, un uomo irreprensibile, un giusto, benedetto da Dio in tutto e per tutto. Satana (lo dice lo stesso libro di Giobbe) sfida Dio, sostenendo che Giobbe è santo perché Dio lo ha benedetto e coccolato: ma mettiamolo alla prova, e allora lì si vedrà se sarà ancora fedele a Dio! Dio allora permette a satana di fare del male a Giobbe, ma non di toccare la sua vita: iniziano così le disgrazie di Giobbe, interpretate dai suoi amici come conseguenza dei suoi peccati. Sembrava che Giobbe fosse santo: in realtà, secondo loro, era un peccatore incallito e per questo Dio, che finalmente se n'è accorto, lo ha castigato. È il concetto di retribuzione dell'Antico Testamento: se l'uomo soffre, è perché ha peccato, e quindi deve subire il castigo di Dio. Ma Giobbe non ci sta, e si ribella, protesta contro Dio: perché ai malvagi vanno tutte bene, e al giusto tocca soffrire? Perché mai Dio, invece di far soffrire gli uomini, non soffre un po' pure lui? Dio non starà zitto, e risponderà a Giobbe: tu soffri perché sei uomo, io non soffro perché sono Dio. Tu sei mortale, io sono immortale. Tu sei finito e io sono infinito. Tutto qui: non c'è altra spiegazione. Occorre accettare e avere fede. Cosa che Giobbe farà, e Dio torna a benedirlo: il Bene alla fine ha sempre la meglio. Ma poi, durante il corso della storia, ci si accorge che non è sempre così...

E allora, Dio propone un'altra risposta al problema del dolore, più sconvolgente, ma più vera: prova lui stesso a soffrire, mandando sulla terra suo Figlio, Gesù Cristo, uomo come noi, che gioisce e soffre, che prova il benessere e la malattia, che annuncia vita e guarisce ogni sorta di malattia, e che però, alla fine, soffre e muore come ognuno di noi. Anche Dio soffre e muore: il dolore, quindi, non ha spiegazione perché colpisce tutti, anche Dio.

Dio però sconfigge il dolore perché fa ciò che il male non riesce a fare: ovvero, dà un senso anche al dolore, trasforma il male in bene. Come? Facendosi prossimo all'uomo che soffre. Il problema del male e del dolore, in fondo, non è chiuso in se stesso. Un malato soffre più per il dolore morale che per quello fisico, più per il senso di inutilità che per la malattia, più per la sua solitudine di fronte al male che per il male in sé. Ecco perché Dio ha scelto di farsi uomo: non per eliminare ciò che fa parte della natura mortale e limitata dell'uomo, ovvero il dolore e la malattia, ma per condividere con lui questa sofferenza, per viverla insieme con lui, e darle così un nuovo significato. Questo è il senso della Resurrezione di Gesù: egli vince sulla morte e sul dolore non eliminandoli, ma vivendoli in prima persona su di sé e accanto all'uomo, dandogli l'opportunità, fino all'ultimo, nonostante la sofferenza, di continuare a vivere in pienezza e magari anche con serenità, la propria condizione. Serenità e pienezza di vita nonostante tutto, perché Dio è con noi. La suocera di Pietro vede Gesù vicino a lei, si sente meglio, si alza (“risorge” dice il verbo greco), e inizia nuovamente a vivere, mettendosi a servizio di Dio e dei fratelli. Tutti quelli che erano afflitti da qualche malattia si avvicinano a Gesù, alle porte della città, e lui li guarisce, e per di più lo fa di sera, dopo il tramonto del sole: quando, cioè, il giorno sta per finire, e sembra che la notte prenda il sopravvento, Gesù torna a dare vita.

Noi non sapremo mai perché uno soffre e un altro no, perché uno si ammala e l'altro no, perché uno guarisce e un altro no. Ciò che sappiamo è che Dio soffre con chi soffre, e allora anche il dolore diventa più facile da sopportare. Allora, anche quando il dolore e la malattia spesso ci facciano urlare, come Giobbe, la nostra disperazione (“I miei giorni svaniscono senza un filo di speranza”), alziamo il nostro sguardo, continuiamo a guardare più in là, e troveremo sempre un Dio che si avvicina a noi, ci prende per mano e ci fa alzare, ci fa risorgere, e ci ricorda che dopo la notte torna sempre la luce.

 

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