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TESTO Commento su Marco 1,14-20

fr. Massimo Rossi  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (21/01/2018)

Vangelo: Mc 1,14-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

...Quando si dice: “il carisma della sintesi”...

In appena due versetti, l'evangelista Marco esprime l'essenza di tutto il Vangelo: “Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: “«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo»”.

Particolare non trascurabile, il Signore cominciò a predicare in una regione che il nostro Papa chiamerebbe “periferia”: la Galilea delle genti, cioè dei pagani. In questa scelta ‘politica' si manifestò immediatamente la volontà di comunicare la Parola di Dio non solo ai figli di Israele, ma a tutti indistintamente, credenti e non credenti.

In verità, la Parola predicata dal figlio del falegname suonava, e suona ancora, nuova per tutti, credenti e non credenti... Lo avrebbero dimostrato i fatti.

Quale riscontro ebbe la missione di Gesù, presso i suoi fratelli correligionari, coloro che conoscevano le Scritture e i Profeti? Praticamente nessuno. Paradossalmente i cosiddetti lontani, dimostrarono una maggiore disponibilità all'ascolto e alla conversione.

“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!»” (Lc 13,34-35).

“Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” (Mt 13,57b) dichiara il Signore con amarezza; è il vecchio proverbio “Nemo propheta in patria”.
Questa triste esperienza l'abbiamo fatta tutti.

Il vero paradosso è quello strano legame tra fede, religione e pregiudizio, che si riscontrava al tempo di Gesù nei circoli ebraici, così come nelle comunità cristiane del primo secolo, e ancora si respira oggi in taluni ambienti cattolici; quando la fede, invece di disporre gli animi alla carità senza condizioni, alla gratuità a fondo perduto, a sentirsi non migliori degli altri, ma uguali,... quando la fede risveglia l'orgoglio dell'appartenenza ad una (ristretta) cerchia di eletti, e autorizza a sparar sentenze su tutto e su tutti... anche su Dio,...in nome della Verità; allora, questa presunta fede non è più uno strumento di promozione umana, ma (è strumento) di potere; (la fede) non libera, ma schiavizza; non conduce alla salvezza, ma alla rovina.

Il vero paradosso è dato dal fatto che la conoscenza del Vangelo, mi correggo, una certa conoscenza del Vangelo sembra non favorire, financo impedire una positiva apertura alla novità.

Ciascuno si faccia un esame di coscienza e provi a rispondere alla seguente domanda: “Di fronte alla novità, come reagisco?”.

Tutta sta menata sulla novità, non è oziosa: se appena considerate il significato letterale della parola ‘Vangelo', capirete quali possono essere le implicazioni per la fede.

Passando lungo il mare di Galilea, Gesù cominciò a chiamare i primi discepoli: Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni erano pescatori: sebbene il Maestro di Nazareth non esercitasse la stessa professione, e verosimilmente non si intendesse di pesca, tuttavia parlò a loro come parla un pescatore: “Vi farò diventare pescatori di uomini.”; è il principio dell'incarnazione.

In Verbo incarnato vuole parlare la lingua degli uomini, nella nostra lingua: si immedesima talmente, da ragionare nei nostri stessi termini e secondo le nostre stesse categorie...

La morale della favola è che ciascuno, nella sua situazione personale, affettiva, lavorativa,... può diventare ambasciatore di amore e di riconciliazione in nome di Cristo e della Chiesa. Non è necessario indossare una talare, o un saio, a meno di non esservi chiamati da Dio per vocazione personale. Questo principio allarga e diversifica enormemente le competenze deputate all'annuncio, facendole coincidere non più con una categoria precipua, ma con l'intera comunità dei battezzati; ciascuno con la sua dotazione di talenti - pochi, o tanti, non importa! - ciascuno nel suo stato di vita, ciascuno con la sua sensibilità, con i suoi pregi e con i suoi difetti.

Nella vigna del Signore, c'è davvero posto per tutti, dalla prima ora all'ultima, dall'alba al tramonto!
Ma dobbiamo rispondere subito, non c'è tempo da perdere!

Questo è l'ultimo insegnamento che ci portiamo a casa oggi. Ed è l'insegnamento più difficile... Credo che sull'impegno cristiano ad annunciare il Regno di Dio, nessuno dubiti, almeno in linea di principio: abbiamo tutti ricevuto il Battesimo, abbiamo tutti fatto la prima Comunione e la Cresima... qualcosa ancora ricorderemo dagli anni del catechismo, no?

Sulla tempistica, invece, istintivamente puntiamo i piedi: “Ma chi sono io, per mettermi a predicare la Parola di Dio?”, “Ci vogliono anni di studio...” “Ci vuole abilità argomentativa...”, etc. etc... “E poi, sono venti secoli che la Chiesa annuncia... una macchina che ormai va avanti da sola, anche senza di me... Che mi ci metta anch'io ad alzare la voce in favore di Cristo... in fondo che cosa cambia? uno più, uno meno...”.
E così anche i cristiani la pensano come il resto del mondo:

“Gli altri! facciano gli altri... Io sto a guardare... Almeno non sbaglio... ne ho già abbastanza delle mie grane familiari e lavorative e, queste sì, me le devo risolvere io!”...

Scrivendo ai cristiani di Roma, san Paolo li esorta ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: “È questo il vostro culto spirituale. - dichiara l'apostolo dei pagani - Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto...” (cap.12).
Possiamo restare osservatori inerti, ascoltatori muti...

O possiamo rispondere in prima persona, con coraggio, con audacia,...con fantasia, uscendo fuori da una pratica religiosa innocua e indolore...sostanzialmente inutile. E portare la nostra piccola tessera, unica e insostituibile al grande mosaico della Chiesa; un solo grande gregge sotto un unico pastore che è Cristo.

 

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