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TESTO Benedetto il Signore, Dio d'Israele, egli solo compie meraviglie

don Walter Magni  

II domenica dopo l'Epifania (Anno B) (14/01/2018)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

L'episodio di Cana non è solo un simpatico racconto di una festa di nozze. Questo racconto contiene un cominciamento. Il fatto che Gesù comincia proprio dalle nozze di due giovani sposi a regalare agli uomini i segni del Suo amore, della Sua misericordia. Così conclude, infatti, l'evangelista Giovanni: “questo (...) fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù”. Per essere più precisi: “Questo fece Gesù come principio dei segni”.

In una casa
E un miracolo non è un segno. Un miracolo ti seduce per la sua stranezza e spettacolarità. Stimolando quella curiosità che ci portiamo dentro, ma una volta ch'è stata soddisfatta tutto è finito. Un segno, invece, è tutt'altra cosa. Perché lo stesso termine (segno) dice un rimando. A qualcos'altro, ad altro ancora. A cosa rimanda l'evento di Cana? Cosa ci sta in-segnando Gesù? Prendiamo le mosse anzitutto dal contesto. Un dato che già stupisce: Gesù che sceglie di avviare i Suoi segni dentro la casa di un villaggio sconosciuto della Galilea. Non distante da Nazaret dove già il segno grande del Suo concepimento era avvenuto nella casetta di una ragazza di nome Maria. E questo ci confonde. Perché i grandi segni di Dio, come i sacramenti, noi li vedremmo ben collocati tra le mura di un tempio, dentro una chiesa. Mentre le antiche religioni li avrebbero posti solennemente in un santuario costruito su una montagna. Invece, il primo dei Suoi segni Gesù l'avvia tra le mura di una casa dentro la quale due giovani sposi stanno per cominciare l'amore. Al punto che l'idea di questa prima collocazione s'allarga al pensiero che anche altri segni ci possano stare. Come vere e proprie manifestazioni di Dio, proprio dentro le nostre case. Dove la pazienza e l'ascolto si ripetono all'infinito; dove la sofferenza talvolta si presenta e il cuore s'allarga alla gioia senza temere di sbagliare troppo. Quanti altri segni di benevolenza Dio ci regala là dove abitiamo. E non ci rendiamo conto che Dio continua a regalarci segni di benevolenza e di amore.

Durante una festa di nozze
E non solo il segno di Dio dentro una casa, ma pure nel contesto di una festa per le nozze di due giovani sposi. Che quando decidono di dichiararsi per sempre, allora diventa la festa di tutto il paese. Perché dove qualcuno si ama, allora la festa s'allarga ed è festa sicura per tutti. Non la festa requisita dal sacro, di pochi iniziati. La festa solo di qualcuno. Piuttosto quel tipo di festa durante la quale capita pure che qualcuno si sbilanci lasciandosi andare. Magari intonando un canto oppure osando qualche passo di danza. Senza più calcoli o l'insieme di quelle formalità che irrigidiscono il volto e ti tolgono il fiato, precipitando tutto in un clima compassato e smorto. Come certe nostre celebrazioni, senza più passione, senza un sussulto, l'accenno a un sorriso. Senza amore comunque. Forse certe nostre liturgie annoiano anche Dio, mentre si sente trattenuto dentro schemi che non lo dicono più. Che quasi l'annientano. Perché il nostro è anzitutto un Dio che Si sbilancia. Soprattutto là dove qualcuno si ama e l'amore comincia: Lui arriva, Si rende presente: c'era “anche Gesù”. Se anche solo ricordiamo alcune Sue parabole, sappiamo che il nostro Dio ama immaginarSi come il grande regista delle nozze di Suo Figlio. E quando Dio stesso ci ha voluto raccontare di Sé, di certi passaggi del Suo cuore, non ha trovato immagine più bella dell'amore di due giovani sposi. Qualcuno ha persino pensato che le nozze di Cana altro non sono che la ripresa del Cantico dei cantici. Perché il nostro Dio ama l'ebbrezza del vino, la gioia del canto. L'abbraccio dell'amore.

“Non hanno più vino”
Dunque, andiamo al segno. In prima linea c'è Maria che si rende conto della gravità della situazione. Intercede presso Gesù. Un po' di discussione (“non è ancora giunta la mia ora”), ma anche il Figlio di Dio S'arrende alle richieste di una Madre che ai servi dice: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Ed ecco il segno: più di 600 litri d'acqua diventano un vino buonissimo. Perché ad una festa di nozze conta il vino buono, così come conterà sempre il vino nuovo del Vangelo. Ed è proprio questo ciò che manca in tante nostre eucarestie. Le parole della consacrazione sono perfettamente ripetute, la transustanziazione di certo avviene. Ma a volte sembra che noi disfiamo il primo grande segno di Gesù. Non l'acqua diventa vino, ma spesso è quel vino che diventa acqua! Tanto lo diluiamo, lo annacquiamo! E Maria a ripetere con apprensione materna, anche apparendo in giro per il mondo: “non hanno vino”. Nell'aria trapela sempre ancora il bisogno di rinnovamento, l'esigenza di una trasformazione. Ancora risuonano le parole di s. Giovanni XXIII in occasione dell'apertura del Vaticano II: “quanto al tempo presente la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”. Che fortuna sarebbe per noi se almeno l'eucaristia della domenica, tornasse semplicemente ad essere la custodia del vino nuovo dell'evangelo, che ci permettesse di rientrare nella vita quotidiana non con la faccia degli annoiati e dei delusi, ma col volto di chi ha incontrato il Dio della festa e della speranza, il Rabbi che tanto amava i banchetti, avviando volentieri qualche passo di danza. Per amore, mi raccomando!

 

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