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TESTO Squilibrati verso le genti

don Fulvio Bertellini

Ascensione del Signore (Anno A) (08/05/2005)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Il monte eccentrico

L'appuntamento fissato da Gesù sul monte in Galilea ha una duplice valenza simbolica: indica una relazione speciale con Dio e una particolare attitudine verso l'uomo. Il monte richiama il monte delle Beatitudini, che a sua volta richiama il Sinai, luogo della rivelazione di Dio. Sul monte il Risorto conferma di essere il vero rivelatore di Dio, colui che ha definitivamente mostrato il suo volto di Padre e che continua ad assicurare, dopo la sua risurrezione, la sua presenza nella storia dell'umanità. Come il Sinai, il monte situato in Galilea è decentrato rispetto al monte santo di Gerusalemme, sede del tempio di Dio, capitale del popolo di Israele. Ora è il Risorto stesso che ha la funzione del tempio (permettere l'accesso al Padre), e di conseguenza cambia il rapporto tra il nuovo Israele (rappresentato dai discepoli) e gli altri popoli: si verifica un movimento di apertura, di espansione, di rottura dei confini. La Chiesa è decentrata all'esterno di se stessa.

Una storia incompiuta

Mentre noi saremmo interessati a tutti i dettagli dell'apparizione, alle modalità esatte dell'apparizione del Risorto, la narrazione si presenta estremamente sintetica e riassuntiva. Il finale del Vangelo resta aperto, come una storia non ancora completata, in cui non solo resta insoddisfatta la curiosità del lettore, ma permangono anche i dubbi dei discepoli. Che peraltro sono anche i nostri dubbi. Per cui vale la pena di riflettere: che cosa si nasconde dietro al dubitare nostro e dei discepoli? E come può essere superato? Leggendo il Vangelo siamo sorpresi dal fatto che dubbio e adorazione coesistono, e Gesù sembra non prendere in considerazione questa difficoltà, ma dice soltanto "Andate".

La sua forza

La missione quindi non si basa sulla forza dei discepoli, sulla loro fede forte e coerente, priva di punti deboli, sulla loro rocciosa disponibilità. "A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra" dice il Risorto, invitando i discepoli a fidarsi della sua forza, non della loro personale attitudine. Come nella prima lettura, il rischio dei discepoli è cadere nella tentazione di "costruire il Regno di Israele", rispondente alle loro aspettative umane; come nella seconda lettura, il rischio potrebbe essere lasciarsi impaurire da "principati, autorità, dominazioni, nomi che si possono nominare": invece i discepoli non devono costruire il loro regno, con le loro forze, annunciando le proprie convinzioni. Sono chiamati ad "ammaestrare" le genti con un messaggio che non è loro, battezzando in nome di Dio (e non della loro autorità), insegnando ciò che Gesù ha comandato.

Decentrati verso il mondo, i discepoli sono chiamati a decentrarsi anche da se stessi, dalle proprie paure, dalle proprie incertezze.

Il contenuto della missione

Dopo aver quindi chiarito l'atteggiamento corretto del discepolo, esaminiamo più da vicino la loro missione. All'inizio e alla fine sta un mandato di insegnamento: "far discepole le genti" e "insegnare ad osservare ciò che Gesù ha comandato". Si tratta di una attenzione costante del vangelo di Matteo, sempre attento alla figura di Gesù come Maestro, e alla valenza morale dell'evento della Salvezza. Ma non si tratta di una riduzione dottrinale e moralistica: "fare discepoli" significa instaurare una relazione personale di discepolato, creare un rapporto vivo; e anche l'osservanza dei "comandi" (si usa qui il vocabolario giudaizzante dell'osservanza della Legge) è legata alla persona viva di Gesù: non è un libro, o una Legge scritta il punto di riferimento, ma Gesù stesso, "ciò che io vi ho comandato".

Tra i due estremi, l'incarico di battezzare, in posizione centrale. Tra il discepolato e l'osservanza, sta l'evento di salvezza del Battesimo. Non è possibile diventare pienamente discepoli, e neppure osservare pienamente i comandi di Gesù, se non si entra a far parte della vita divina, del Padre, del Figlio, dello Spirito. Sta qui il cuore della missione che Gesù affida ai discepoli. Ed è anche l'ultima parola del Vangelo di Matteo: "io sono con voi sempre...", che richiamano il nome divino rivelato a Mosè: "io sono colui che sono". Viene così data anche una risposta al dubbio dei discepoli: proprio partendo per la loro missione, testimoniando il Risorto, potranno sperimentare in maniera tangibile la presenza effettiva del risorto nella loro vita e nella storia del mondo.

Flash sulla I lettura

"... parlando loro del Regno di Dio". Gesù spiega ai discepoli "le cose del Regno", tutto ciò che riguarda il progetto con cui Dio intende "regnare" sulla terra. Tuttavia la domanda finale dei discepoli mostra che essi non hanno ancora capito completamente il progetto divino: essi pensano ancora alla ricostituzione del "regno di Israele". Il fraintendimento deve essere superato: i discepoli sono chiamati risolutamente a camminare secondo una mentalità nuova, abbandonando le loro antiche idee, che ostinatamente riemergono.

"... attendere che si adempisse la promessa del Padre": si usa qui il vocabolario della promessa, profondamente radicato nell'Antico Testamento. Ad Abramo Dio aveva promesso una terra e una discendenza; a Mosè il possesso della terra e la benedizione, in concomitanza con il dono della Legge; a Davide una stirpe regale che avrebbe sempre regnato su Israele. I profeti avevano di volta in volta rinnovato l'annuncio delle promesse divine, anche nei momenti più oscuri della storia del popolo. I discepoli sono ora chiamati a scoprire la realizzazione di ciò che era stato soltanto annunciato: non più un soltanto un regno terreno, non più l'elezione soltanto di un popolo, ma il dono dello Spirito, che rende presente Dio stesso nell'intimo dei discepoli. Attraverso lo Spirito, la promessa si apre a tutti i popoli, al di là dei confini di Israele.

"fino agli estremi confini della terra": non si tratta dunque di ricostituire un regno assecondando i propri sogni di potenza umana, ma di partire con la forza dello Spirito, che ridefinisce le antiche promesse. Non si tratta di rafforzare l'entità chiusa di Israele, ma di aprirsi a tutti i popoli della terra, secondo un movimento di espansione. Che a sua volta non corrisponde a una logica umana di conquista, ma alla logica dell'amore sempre traboccante di Dio. Potrebbe essere interessante confrontare alla luce delle parole di Gesù le nostre aspirazioni e i nostri progetti: viviamo anche noi, nelle nostre comunità, la tentazione di crearci il nostro "regno"? o la tentazione di chiuderci in un gruppo ristretto di "eletti"? Come viviamo la tensione missionaria?

Flash sulla II lettura

"... a quale speranza... quale tesoro di gloria... quale la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti...": occorre lasciarsi "illuminare gli occhi della mente" per comprendere la grandezza della nostra vocazione di credenti. Il rischio che la lettera agli Efesini ha di fronte è la svalutazione e la banalizzazione della fede, rischio che cominciava ad emergere nelle prime comunità, dopo l'entusiasmo iniziale della conversione, e che rischia di impastoiare anche noi, dopo due millenni di storia della Chiesa. Abbiamo ricevuto un tesoro enorme, qualcosa di grande e bello, che dà pienezza alla nostra vita e allarga l'orizzonte della nostra speranza. Tuttavia gli "occhi della nostra mente" potrebbero essere miopi, o del tutto ciechi, di fronte al dono ricevuto.

"al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione, non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro". Infatti, ciò che vediamo più immediatamente sono altre realtà, che appaiono più forti, immediatamente vincenti, dotate di grande capacità di seduzione. Per noi si tratta del potere economico, del potere politico, del fascino dei mezzi di comunicazione... per gli Efesini si trattava di altri poteri (quello dell'imperatore, quello dei dominatori locali, e soprattutto le varie credenze religiose, legate al paganesimo o alla mistica filosofica, di entità demoniache o angeliche intermedie tra Dio e l'uomo, che si affiancavano alla figura di Cristo), ma il messaggio resta identico allora come oggi: non c'è nessun potere, nessuna autorità che ci possa separare da Gesù e prendere il suo posto, o anche soltanto affiancarlo. Il cristiano, nella misura in cui resta unito a Cristo, è libero dalla soggezione reverenziale, dal senso di inferiorità, dall'angoscia di doversi confrontare con un potere esterno.

 

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