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TESTO Commento su 1Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42

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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/01/2018)

Vangelo: 1Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,35-42

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Le letture, che la liturgia di questa seconda domenica del tempo ordinario, offre alla nostra meditazione, ci presentano un atteggiamento costante di Dio: la ricerca della nostra collaborazione alla sua volontà. Senza questo atteggiamento alla collaborazione, Dio non fa violenza per obbligarci a servirlo - (“ Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed con me.) ( Ap 3,20 ) -, come conviene ad ogni creatura comportarsi nei riguardi del suo creatore, ma attende che noi cambiamo opinione allorché diventiamo consapevoli dell'errore commesso. Aprire la porta, a Cristo che bussa, è instaurare, tra noi e lui, un mistero di comunione in maniera irreversibile. In cielo si parla di nomi noti solo a Dio, in attesa che la terra, a sua volta, scopre e pronunci il nome divino: “ Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei Cieli in Cristo... per essere santi e immacolati davanti a lui... predestinandoci alla figliolanza adottiva per opera di Gesù Cristo... in lui fummo scelti... per essere a lode della sua gloria.” ( Ef 1, 3-12).
La propensione al riconoscimento degli errori ci viene dalla educazione ricevuta, oltre che dalla nostra personalità, che ci può modellare come persone attente, a tutto ciò che ci circonda, sia in maniera visiva che auditiva.

La prima lettura, di questa domenica, è tratta dal capitolo terzo del primo libro di Samuele dal v. 3b al v 10.19. Il primo libro di Samuele inizia con la storia di Heli, la nascita di Samuele e termina con la morte di Saul nella guerra contro i Filistei.
La lettura ci parla di Samuele bambino, che abita nel tempio di Silo, luogo in cui sua madre lo ha portato, per consacrarlo al servizio di Dio. Qui, una notte, Dio, mentre lui dorme, lo chiama, una prima volta, ma Samuele stenta a capire che chi lo chiama il Signore ma pensa che sia Heli. Dio lo chiama ancora altre due volete, in entrambi le volte egli va da Heli che, dopo avergli detto di non averlo chiamato, gli suggerisce, qualora sia chiamato di nuovo, di rispondere “ Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”. Samuele vive nel tempio ma non conosce il Signore. Ciò mi dice che posso vivere nel tempio, trattare delle cose di Dio, essere praticante e non conoscere in verità Dio. Non sappiamo quante volte Dio ci ha chiamato e non siamo stati capaci di riconoscere la sua voce in quanto il nostro orecchio non si educa facilmente all'ascolto di Dio, specie negli ultimi tempi. Ma Dio continua a insistere e a quanti si adeguano alla sua Parola da la forza di evidenziare in loro la sua immagine.

Il Salmista, con questo Salmo, ci dice che Dio non vuole sacrifici di animali: “ Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto,... Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà”. Questo Salmo è, innanzitutto, la preghiera di Gesù al Padre ma può diventare anche la mia/la nostra, condizione di non ricadere nel ritualismo. Allora la nostra azione di grazie diventa: gioire della mia fede, riconoscere le meraviglie del Signore e fare la sua volontà quotidianamente durante la mia vita.

La1a lettera di san Paolo ai corinzi, è rivolta ai cristiani di Corinto, in cui c'è una comunità cristiana da lui fondata. Ai tempi in cui l'apostolo delle genti scrisse le sue tre lettere, la capitale dell'Acaia era la seconda città dell'impero dopo Roma, con una popolazione di circa mezzo milione di abitanti. In quanto posta sull'istmo che la collegava al Peloponneso aveva due porti (oggi, forse, si direbbe container's) a cui arrivavano le merci provenienti da tutto il mediterraneo. Accanto a questo commercio fiorente, che rendeva la città ricca, c'era una dubbia reputazione. Strabone, lo storico greco, parla di più di un migliaio di prostitute sacre che che esercitavano la loro professione al tempio di Afrodite. Ai tempi di Paolo c'erano anche due termine verbali che ne stigmatizzavano la condotta morale: “ Corinteggiare” si riferiva alla professione mentre la malattia venerea si chiamava “ mal di Corinto”. In questa lettera Paolo reagisce contro la libertà dei costumi ammessa a Corinto invita i cristiani a considerare la sessualità non come un bisogno da soddisfare senza riguardo; ma, poiché esprime tutto l'essere è da considerare come un rapporto interpersonale condiviso da amore vicendevole. C'è un'altra considerazione: il corpo è stato santificato dalla morte e dalla resurrezione di Cristo. Pertanto sia il corpo che la nostra sessualità appartengono a lui, all'uomo perfetto che in lui siamo. L'eucaristia che ci rende tempio dello Spirito Santo, conferisce al nostro corpo il significato di strumento di Dio, da lui creato per la crescita e l'edificazione della Chiesa nell'amore.

Il Vangelo di Giovanni descrive l'incontro col Messia dei suoi primi discepoli, di quelli che in seguito diverranno gli apostoli. La situazione di Samuele si ripete nella vita degli apostoli: vedere e sentire Dio in Gesù. Ma questo è anche il nostro problema, in quanto Dio passa accanto alla vita di ciascuno di noi e noi, purtroppo, non lo sentiamo e non lo vediamo soprattutto non lo amiamo.
C'è bisogno di un Giovanni Battista che ce lo indichi: “ Ecco l'Agnello di Dio!”.
Oggi tante persone sentono Dio lontano perché lo cercano come se fossero al supermercato, lo cercano tra gli scafali invece di cercarlo dentro se stessi, nei propri simili, nel silenzio. Ecco perché non lo vedono pur essendogli accanto. Per questo Gesù dice ai due discepoli di Giovanni Battista, ma lo dice a tutti noi, “Venite e vedrete” che equivale a: cercate Dio e non divinizzate le vostre idee. La fede non è un sapere su Gesù, ma un dimorare con lui per conoscerlo, entrando dentro un'esperienza vitale.

Revisione di vita
- Siamo impermeabili oltre che alla parola di Dio anche alle esigenze dei nostri cari?

- Viviamo da dissociati tra quello che crediamo di essere e quello che in realtà facciamo?

- Il nostro guardare fuori di noi è un cercare Dio negli altri o un cercare i loro difetti con la lente di ingrandimento?

Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari

 

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