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TESTO Non un idillio

dom Luigi Gioia  

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (31/12/2017)

Vangelo: Gn 15,1-6.21,1-3; Sal 105,1-2.3-4.5-6.8-9; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,22-40

22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

31preparata da te davanti a tutti i popoli:

32luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

E' legittimo chiedersi se Giuseppe, Maria e Gesù possano davvero essere proposti come modello per le famiglie. Sappiamo molto poco della loro vita familiare, le rappresentazioni che ce ne facciamo sono molto idealizzate e tutta la dimensione sessuale sembra completamente evacuata dalla loro relazione, tenuto conto della nascita verginale di Gesù e della tradizione che considera la relazione tra Maria e Giuseppe come casta, malgrado il fatto che il nuovo testamento parli dei fratelli di Gesù.

In realtà, la celebrazione odierna non è tanto volta ad offrire un modello familiare, quanto a prolungare il tema del tempo di Natale e a contribuire al suo scopo di farci contemplare fino a che punto realmente il Figlio di Dio sia diventato uno di noi, abbia abbracciato la condizione umana. Sappiamo che il ministero di insegnamento, di guarigione e di istituzione della comunità degli apostoli di Gesù lo ha occupato per soli tre anni. Ha trascorso 10 volte più tempo semplicemente a lavorare, amare, mangiare, bere, dormire, giocare, vivere in famiglia come ogni altra persona umana.

E' nato come ognuno di noi, incapace di parlare, cieco, bisognoso di tutto. E' potuto crescere perché noi, attraverso Maria e Giuseppe, lo abbiamo nutrito, gli abbiamo insegnato a camminare, a parlare. Da noi ha imparato il suo mestiere, quello di falegname; da noi ha imparato a leggere e interpretare la Scrittura. E' impressionante pensare che prima di istruirci e chiamarci al suo seguito Gesù si sia lasciato istruire da noi, si sia reso dipendente rispetto alle sue creature, abbia obbedito ad esse.

Non dobbiamo rappresentarci la venuta di Dio in Gesù come quella di una meteora che piomba dal cielo, ma come un seme che è depositato nella terra della nostra umanità, si nutre di essa, nasce e cresce in essa e ad un certo punto, solo dopo essersi pienamente unita ad essa, la trasfigura, la fa risorgere e ascendere al cielo, la fa entrare nella vita della Trinità.

Non sappiamo nulla o quasi dell'infanzia e della giovinezza di Gesù, ma non dobbiamo rappresentarcela come un continuo idillio, dove tutto è puro, incontaminato. La famiglia di Gesù -e qui parliamo non solo dei suoi genitori, ma anche di quelli che il Vangelo chiama suoi fratelli, cioè della sua parentela- era conformista, disapprovava l'originalità di Gesù, era possessiva a suo riguardo e Gesù deve sicuramente aver sofferto di questa incomprensione.

Il Vangelo ci mostra proprio la madre e i fratelli di Gesù considerarlo come fuori di sé (Mc 3,21). Fra coloro che non capiscono Gesù vi è anche Maria sua madre. Maria e i fratelli di Gesù non vogliono essere suoi discepoli, ma suoi proprietari; non vogliono seguirlo, ma stando fuori mandano a chiamarlo (Mc 3,31). In questo riconosciamo la nostra esperienza della famiglia umana come il luogo delle nostre più grandi gioie ma spesso anche delle nostre sofferenze più dolorose e durature.

Se vogliamo che la nostra celebrazione della famiglia di Gesù sia autentica, allora, dobbiamo riconoscere che in essa Gesù ha vissuto le nostre stesse esperienze e che rispetto ad essa anche lui ha dovuto ad un certo punto lasciare suo padre e sua madre (Gn 2,24) per scoprire la sua identità e la sua missione. Lo vediamo quando Gesù rifiuta di incontrare sua madre e i suoi fratelli e proclamare che solo coloro che siedono intorno a lui (Mc 3,34), che lo seguono e lo ascoltano, sono i suoi veri parenti: Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,34-35).

Questi ultimi decenni sono stati caratterizzati da una legittima preoccupazione per il disgregarsi del tessuto familiare della nostra società, ma anche da un forte idealismo e a volte una certa chiusura ideologica nel modo di presentare il punto di vista cristiano sulla sessualità, la procreazione, le crisi matrimoniali, l'orientazione sessuale dei coniugi e via dicendo. C'è un rifiuto palese di accettare la realtà, un divario crescente tra quello che vive la gente e un discorso morale che non sa mettersi in ascolto della vita concreta, una incapacità di tener conto della necessità di superare il modello familiare patriarcale e di prendere seriamente in considerazione l'emancipazione della donna. E purtroppo il riferimento come modello alla famiglia di Gesù che chiamiamo ‘sacra' non ha aiutato a colmare questo divario.

Per accedere a questo realismo possiamo ispirarci al quadro che ci presenta la prima lettura, quando ci parla della relazione tra Abramo e Sara. E' una selezione di passaggi del libro della Genesi nella quale sembra che la loro vicenda familiare e la nascita di Isacco siano avvenute pacificamente e senza drammi. In realtà sappiamo che Abramo ebbe un figlio prima da una sua schiava, che Sara trattò quest'ultima così duramente da farla fuggire e desiderare la morte, senza contare l'episodio nel quale per sfuggire alla morte Abramo presenta Sara al faraone non come sua moglie ma come sua sorella e lascia che sia aggiunta al suo harem. Sono episodi estremi, che fortunatamente non si incontrano nella vita di tutte le famiglie, ma che simboleggiano eloquentemente l'intreccio di amore e gelosia, fedeltà e debolezza, dono di sé e possessività che caratterizzano questo aspetto fondamentale della nostra umanità.

Il Signore viene a redimerlo, a salvarlo con il suo amore a benedirlo e fortificarlo con la sua fedeltà, ma a condizione di accettare che questo processo è complesso, dura una vita, è fatto di alti e bassi, e non funziona per tutte le famiglie allo stesso modo e con lo stesso successo. Per la famiglia come per ogni altra realtà umana allora occorre sempre tornare alla consolante frase di Gesù: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9,12-13).

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, “Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B” ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui

 

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