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TESTO Commento su Luca 1,26-38

Omelie.org - autori vari  

IV Domenica di Avvento (Anno B) (24/12/2017)

Vangelo: Lc 1,26-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38

26In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Massimo Cautero

La nascita di un bambino non è mai un inizio assoluto; è piuttosto il seguito o, meglio, la conclusione di un evento. Prima della sua «venuta alla luce», c'è la sua «venuta all'essere» che si compie nell'istante intimo e sacro del suo concepimento. Così è anche del Natale di Cristo: esso non è che la manifestazione di un mistero molto più grande compiutosi prima nel seno di Maria: il mistero dell'Incarnazione del Verbo. Un mistero tanto grande da coinvolgere l'intera Trinità: il Padre, mediante la sua potenza che è lo Spirito Santo, genera nuovamente, nel tempo e nella carne, il Figlio suo.

Alla luce di questa verità, l'Avvento prende di colpo un significato nuovo: è attesa che si riveli il mistero nascosto da secoli eterni in Dio (I lettura) e da nove mesi nascosto anche in Maria. La liturgia vuole introdurci oggi in questa nuova dimensione dell'Avvento; per questo, nell'odierno brano evangelico, Giovanni Battista cede il posto a Maria, la profezia cede il posto alla realtà. Il mistero dell'Incarnazione ci è presentato con la pagina di Luca che narra l'Annunciazione.

Dapprima, esso risuona come una semplice proposta di Dio: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. La proposta di Dio si sottopone al «sì» della creatura, ma si sa già che quel «sì», pur restando libero, sarà immancabile, tanto che Dio è già andato avanti con il suo segno: Elisabetta, che era sterile, è al sesto mese di gravidanza!

Al Vangelo dell'Annunciazione in Luca manca stranamente la conclusione. L'Annunciazione infatti non termina con il «sì» di Maria (Si faccia di me secondo la tua parola) e neppure con la «partenza dell'angelo», ma con la venuta del Verbo. La conclusione la dobbiamo cercare nel Vangelo di Giovanni quando dice “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 14). La perfetta continuità tra il terzo e il quarto Vangelo, su questo punto, è espressa nella preghiera dell'Angelus: L'angelo del Signore portò l'annuncio a Maria...; Ecco l'ancella del Signore...; E il Verbo si è fatto carne.

Dove trovare nell'Antico Testamento una lettura che annunciasse questo mistero? In nessuna parte. Questo infatti costituisce la novità assoluta, il di più e l'inatteso, rispetto ad ogni profezia. Quando i profeti parlavano di una discesa di Dio tra gli uomini, pensavano a una condiscendenza, a una venuta «in grazia» o «in gloria», come quella dell'Esodo o sul Sinai; mai a una venuta in carne ed ossa, cioè «in persona». A questo silenzio dell'Antico Testamento, la liturgia ha cercato di rimediare facendoci ascoltare, nella prima lettura, la profezia di Natan: Dio rifiuta il progetto di edificargli una casa terrena e annuncia il progetto di edificare lui una casa eterna a David. Forse la profezia è proprio nella prima parte, cioè nel rifiuto di Dio di lasciarsi rinchiudere in un'arca e in un tempio di pietre, lasciando così intravvedere una casa ben diversa che lui stesso si sarebbe costruita nella discendenza di David. La tradizione cristiana ha visto in Maria l'arca nuova di Dio e nella carne del Verbo il nuovo tempio di Dio tra gli uomini (Gv. 2, 19.21: Distruggete questo tempio..., egli parlava del suo corpo). Con l'Incarnazione del Verbo, Dio si è davvero costruito una tenda in mezzo a noi (cf. Gv. 1, 14).

Dio, quindi, si è “annidato” in seno all'umanità per generarvi una nuova vita. Come è impossibile separare le acque di due fiumi confluiti insieme, così (anzi, infinitamente di più) è impossibile separare in Cristo umanità e divinità. Questo fa sì che nel mondo ci sia in atto ormai un dialogo stabile tra Dio e l'uomo; un dialogo ravvicinato e intimo perché l'«io» e il «tu» sono qui la medesima persona. Non più: “Così dice Dio, ma: Io vi dico”. E la cosa meravigliosa è che tutti possono entrare in quel dialogo; tutti possono farlo proprio nella preghiera; tutti possiamo rivolgerci a Dio come figli nel Figlio. Noi, in altre parole, possiamo dire a Dio: Abbà, perché c'è stata l'Incarnazione. L'Incarnazione fonda anche tutto l'impegno morale del cristiano. Un impegno che si definisce, di solito, come imitazione di Cristo. Divenuto uomo, Cristo può dire ormai all'uomo: Imparate da me; Venite dietro a me. Alla morale basata sulla legge, subentra la morale basata sulla sequela di Cristo.

Ogni nostra possibilità e ogni nostra speranza si fondano ormai su questa divina imitazione dell'uomo; noi possiamo imitare Cristo e fare con lui un «solo spirito» (1 Cor. 6, 17), perché lui, per primo, si è degnato di fare con noi «un solo corpo», quando si è fatto carne e ha abitato tra noi. Dio e l'uomo - dice un Padre della Chiesa - si servono da modello a vicenda: Dio si fa simile all'uomo, per amore dell'uomo, e così' l'uomo può farsi simile a Dio (san Massimo Confessore, in PG 91, 1113).

Alla luce dell'Incarnazione, l'impegno morale del cristiano prende l'aspetto di un impegno per l'uomo e per il mondo. Il Verbo si è fatto carne significa anche che Dio si è calato in tutta intera la realtà umana e terrena, che si è compromesso con essa. In modo reale, non docetista; non sfiorandola, cioè, con la punta delle dita, senza passarci attraverso in tutto il suo opaco spessore di miseria e di dolore. Dio ha così fatto suo nuovamente questo mondo uscito dalle sue mani; ha fatta sua la vita, la sofferenza, il dolore, il lavoro, il sudore della fronte e il nutrimento; ha fatto suo non solo ciò che era da lui, ma anche ciò che era dall'uomo e dal peccato dell'uomo. Nulla ormai può essere estraneo o troppo materiale per il cristiano, meno che meno il suo corpo. Omnia munda mundis (Tit. 1, 15): tutto è puro per chi è puro di cuore; solo ciò che esce dal cuore malvagio inquina l'uomo.

Gesù, nella sua vita, è stato coerente con la sua Incarnazione: era libero di fronte alle cose (cioè povero e distaccato), ma interessato e sensibile alle cose. Sa ammirare e gioire di esse senza volerle cogliere per sé; le sue parabole sono una testimonianza viva del suo modo libero e limpido di guardare i fiori, gli uccelli, la donna, il mangiare, il bere, il dormire. Dicevo: sensibile alle cose ma devo aggiungere: sensibile soprattutto a una cosa, cioè alla sofferenza che è la nota più dolente di questo mondo: Annunciare il Regno di Dio e guarire gli infermi (Lc 9, 2) costituiscono per Gesù due preoccupazioni inseparabili. I poveri, ed oggi si parla molto di essi, ma sarà poi vero che «ci importa dei poveri» più di quanto importava a Giuda? (Gv. 12, 6). Guardando intorno alla realtà sociale del mondo, dobbiamo confessare di no. Un paese come il nostro, che da anni parla di crisi economica, a Natale continua a fare spese pazze, molte delle quali voluttuarie e inutili, se non dannose alla salute, mentre si sa che tanti nostri fratelli non hanno calorie sufficienti per reggersi in piedi, od un tetto dove passare la gelida notte. Il cristiano non dovrebbe vedere un bambino denutrito e scalzo od un senza dimora senza pensare immediatamente a Gesù Cristo; Egli è presente in lui, si è identificato anzi con lui (con «i più piccoli tra i suoi fratelli» come li chiama nel Vangelo). La nostra fede nell'Incarnazione deve tradursi soprattutto in sensibilità e impegno per i sofferenti e per i poveri. Quello che vorremmo fare a lui per onorare la sua carne, lo dobbiamo fare ai fratelli che sono la sua carne esposta e sofferente.

Ricordare la sua parola: Lo avete fatto a me... Non lo avete fatto a me (Mt. 25, 40). Non dobbiamo venerare il capo del Signore che è risorto ed è in cielo e calpestare, senza accorgerci, i suoi piedi nudi che sono ancora su questa terra, perché i piedi nudi di un bambino affamato o di un sofferente senza scarpe sono i piedi nudi di Gesù!

E' questa «la morale» del Natale. Che il Signore ci fortifichi e ci faccia decidere a tradurla in realtà di vita.

 

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