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TESTO Commento su Isaia 61,1-2.10-11; Giovanni 1,6-8.19-28

Carla Sprinzeles  

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (17/12/2017)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Amici, che mi ascoltate, la figura che campeggia oggi nelle letture è Giovanni il Battista.
Abbiamo detto che lo scopo che ci prefiggiamo è vivere il Natale in modo più vero. Ecco, Giovanni il Battista è un ottimo modello. La situazione di compimento era nell'aria. Oggi noi sappiamo che siamo in continuo divenire, oggi come allora viviamo in attesa di novità che devono iniziare: è l'attesa di una storia nuova, di un'umanità nuova, di forme nuove di comunione di condivisione.
Prepararsi ad accogliere Dio significa vivere nella consapevolezza della provvisorietà.
C'è una parola che ritorna in questi testi, ed è la parola deserto. Forse è la parola che traduce questa esperienza della precarietà, dell'essenzialità: cosa puoi portarti nel deserto se non ciò che ti è essenziale per vivere? E quindi il distacco da tutto il resto.
Ecco, questo di Natale è proprio il periodo che ci mette alla prova su questo punto: quante cose superflue ci attirano, quante cose provvisorie si presentano come risoluzione o principio di salvezza. Solo Dio salva. E' Dio che viene nella nostra vita.

ISAIA 61, 1-2. 10-11
La prima lettura è tratta da Isaia; il profeta ci consegna la sua esperienza più intima, che è quella dell'essere pervaso, abitato dallo Spirito del Signore Dio. “Lo Spirito del Signore è su di me”. Questa esperienza trasforma la sua identità, rendendolo proprietà del Signore, luogo dove Dio si manifesta:”Mi ha consacrato con l'unzione”. L'unzione è un rito antico con cui si consacrano o il re o il sommo sacerdote. Conferisce una missione precisa,”mi ha mandato”. Sono descritte sette finalità, sintetizzate nel primo incarico:”Portare il lieto annuncio ai miseri”. Chi sono i miseri? Tutte le persone prive di potere politico, di prestigio sociale, di risorse materiali, e che hanno invece come unico sostegno il Signore, l'abbandono fiducioso a lui.
Il lieto annuncio riguarda una comunità che come unico bene ha il Signore e che sperimenta le dolorose ferite della sua storia, “cuori spezzati”. Di fatto la missione del profeta è quella di aiutare il popolo a ritrovare la sua identità, la sua libertà, senza lasciarsi schiacciare dall'oppressione, dalla frustrazione profonda. Dio non si è dimenticato di loro, ma neppure di noi, oggi, in particolare di chi di lui si fida. L'anno di grazia era l'anno giubilare: ogni 50 anni si azzeravano i debiti e i crediti, lo schiavo tornava in libertà, un terreno ritornava di proprietà a chi era stato costretto a venderlo per necessità. Il lieto annunzio che il profeta porta è paragonabile ad un giubileo straordinario, in cui la terra intera torna al suo creatore, a Colui che dona la vita con generosità. Questa terra produce frutti speciali, preziosissimi: la giustizia, che è il corretto rapporto con il Signore e con il prossimo, e la lode, il ringraziamento. E' un tempo di gioia piena, di esultanza incontenibile, perché è finito il tempo della desolazione e dell'afflizione.
I versetti 10-11 ci mettono di fronte alla coscienza del profeta e ai suoi sentimenti di fronte al compito ricevuto. Non solo timore per la grandezza del compito, né solo entusiasmo per essere investiti di una particolare dignità, ma innanzitutto gioia perché il Signore ha reso possibile la sua opera attraverso la vita del profeta. La ricorrente immagine biblica della terra che produce germogli, ci consente di entrare nell'animo umile del profeta chiamato: non è lo sforzo del contadino che farà fruttificare il giardino, ma è solo Dio che sa far crescere tutte le cose che potrà stabilire la sua giustizia.
Il vero profeta è colui che attira lo sguardo su ciò che Dio sta compiendo giorno dopo giorno, nella pazienza di chi sa che per far crescere tutte le cose ci vuole tempo.

GIOVANNI 1, 6-8. 19-28
Siamo alla terza domenica di avvento. L'intento che ci eravamo prefissi era di vivere in verità il Natale, attendendo non la nascita di Gesù, che è già avvenuta 2000 anni fa, ma Dio che viene nella nostra vita. Occorre accoglierlo, perché Dio non ha un prima e un dopo. Dio è venuto tramite Gesù e ora noi, oggi dobbiamo, per essere felici, portare avanti nel nostro corpo questa incarnazione. Abbiamo già detto che normalmente siamo noi il centro dei nostri interessi. Tutt'al più aspettiamo qualcuno, qualche situazione, che secondo il nostro modo di vedere ci dovrebbe far star meglio. Parlando di Gesù, crediamo di sapere tutto e normalmente ci annoia. Ma in realtà non è un sapere razionale, ma un'esperienza da fare. C'è stata nella vostra vita, un'esperienza in cui vi siete resi conto che non eravate voi in prima persona ad agire e vi siete stupiti di come avete agito? Da dove proveniva quella energia, che vi animava? Ecco, penso che occorra partire da questa esperienza e far sì che non sia solo un episodio ma poco per volta deve essere la consapevolezza di ogni attimo di vita.
Il brano del vangelo che si leggerà oggi è secondo Giovanni, l'evangelista, parla di Giovanni il Battista: non ne fa una biografia, ma ciò che gli interessa è la sua testimonianza resa a Gesù. Tutta l'identità del Battista è raccolta nel suo essere testimone. E' “inviato da Dio” ed è testimone. “Non è la luce” ma il testimone della luce. E' la rivelazione divina che raggiunge l'umanità e la illumina. Il testimone orienta verso la luce, non verso di sé. Egli era una LAMPADA che arde e risplende. (Gv.5,33).
Segue un interrogatorio da parte di una delegazione inviata da Gerusalemme di sacerdoti e leviti. Sembra un processo con domande incalzanti:”Tu chi sei?””Cosa dici di te stesso?””Perché battezzi?”. La testimonianza del Battista è un atto pubblico:”Egli confessò, non negò e confessò””Io sono VOCE”, la stessa “voce” di Isaia, che gridava nel deserto per preparare le vie al Signore. La Parola è il Figlio di Dio, la Parola del Padre; prima della parola esce la voce. Attraverso la sua vita, la Parola di Dio si fa udire agli uomini. Oggi, anche noi dobbiamo essere voce per far udire agli uomini di oggi, la Parola del Padre. Giovanni il Battista è l'AMICO dello SPOSO. Cerchiamo di capire cosa vuol dire. Il matrimonio, cioè le nozze avvenivano così: lo sposo portava la sposa in un baldacchino preparato, tirava la tenda e gli amici dell'infanzia, i due amici più intimi, che aveva lo sposo erano testimoni del grido dello sposo, che indicava che la ragazza era vergine. Questi due amici andavano nella sala del banchetto nuziale e comunicavano “lo sposo ha gridato”. Questo per dire l'intimità di questi amici. Come già domenica scorsa nel vangelo secondo Marco, anche qui si fa notare che Giovanni il Battista dice: “Non sono degno di SLEGARE I LACCI DEI SUOI SANDALI. Se andate a leggere il libro di Ruth 4,1-11 vi renderete conto che “sciogliere”, slegare significa “portare via”..cosa? La sposa, in che senso? Se una donna rimaneva vedova, spettava in moglie al fratello o al parente più prossimo del marito defunto. Se questi la rifiutava gli veniva sciolto il sandalo per dimostrare in modo visibile che perdeva il diritto su questa sposa. Tornando a Giovanni il Battista lui dice:“Io non sono degno di sciogliere il laccio dei calzari di Gesù”. Chi è la sposa? L'umanità. Dato che gli uomini ritennero che Giovanni fosse il Cristo, lui lo nega e afferma che non è lui lo sposo dell'umanità.
Quindi qui c'è una bellissima scoperta del Messia che arriva per le nozze, il Battista ne è felice, sono finiti il dolore e l'infedeltà. Il rapporto del Messia con l'umanità è descritto come un rapporto d'amore che dà gioia.Il Battista sta preparando la sposa. Ai sacerdoti di Gerusalemme dice “voi non lo conoscete” questo Messia, questo sposo che ama la sua sposa. Tradizionalmente la sposa è la comunità di Israele, ma è allargato a tutta l'umanità. Forse anche noi non lo conosciamo, pensiamo di conoscerlo, perché abbiamo delle idee su di lui, ci hanno detto delle cose, ma noi direttamente, non lo conosciamo. Occorre avere l'audacia di riconoscere nell'uomo di Nazareth il Cristo atteso. Se lo riconosciamo realmente cambia la nostra vita quotidiana: ci si fida, si ha fiducia nell'uomo, si riconosce l'amore in ogni uomo. Occorre esperimentare la sua presenza, in mezzo a noi, in noi. Giovanni grida nel deserto affettivo e morale di persone che non riescono a obbedire a tutti i comandamenti della loro religione, ma sottolinea che non è lui a salvare.

Miei cari, ricordiamoci: siamo AMICI INTIMI DELLO SPOSO, siamo VOCE, siamo testimoni.
Nessuno può illudersi di prendere il posto di Gesù. A ognuno di noi spetta il ruolo di Giovanni il Battista: riconoscere con semplicità di essere dei testimpni, umili e felici, disponibili e pronti, per permettere a Gesù di essere ancora presente oggi sulle nostre vie.

 

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