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TESTO E io come entro?

don Angelo Casati  

IV domenica T. Avvento (Anno B) (03/12/2017)

Vangelo: Mc 11,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». 4Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». 6Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

10Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Osanna nel più alto dei cieli!».

11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

E' venuto, oggi viene, un giorno verrà. Ce lo stiamo ripetendo ancora una volta in questi giorni di avvento. Ma forse il pericolo è quello di fare l'abitudine. E non solo alle parole, ma anche alle pagine del vangelo. Come se, entrando in un museo, davanti a un quadro tra i più affascinanti, dicessimo con un piglio di superiorità: "Ma io questo già l'ho visto!" Potrebbe succedere anche al brano di Marco che oggi abbiamo ascoltato. E' da piccoli che ci hanno raccontato questo ingresso a dorso di puledro di Gesù in Gerusalemme.

Ce lo hanno raccontato artisti tra i più famosi. Di uno, Duccio di Buoninsegna, c'è una immagine - a dire il vero un po' sbiadita - sul nostro foglio della Messa. Un'immagine che mi ha fatto chiedere se questo racconto non si sia un po' sbiadito anche in me. Ridotto a una sorta di ovvietà: "Gli hanno fatto festa! Giusto! Se lo meritava!". E invece ad accendere la nostra attenzione, ancora dopo anni, è l'accuratezza - perdonate, quasi la pignoleria - certo la precisione con cui, lui stesso, Gesù organizza questo suo ingresso. Doveva parlare - voi mi capite - proprio perché avveniva così, e non in altro modo. Come fosse un segno eloquente, e doveva avvenire così come lui l'aveva voluto.

E nel racconto fa la sua bella figura, quasi fosse non dico il protagonista, ma una presenza importante sì, il puledro, più volte ricordato nel piccolo brano. Con quella scelta Gesù voleva che tutti capissero quanto diverso e rivoluzionario fosse il suo ingresso nella città, a confronto con l'ingresso dei soliti detentori del potere: loro che entravano, dopo giorni di preparativi, tra folle plaudenti, su cavalli strepitosi, con l'aria di chi domina dall'alto, esibendo potere ed arroganza, l'arroganza del potere.

La modalità dell'ingesso di Gesù segna una rivoluzione, una rivoluzione nel modo di venire. Una rivoluzione! A tal punto che ci chiediamo come il nostro racconto possa essere stato in passato, o forse ancora oggi, titolato "'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme". Tutti allora conoscevano gli ingressi trionfali, qui sembra la festa dei piccoli: meno che piccolo, nella stima, era l'asino; stoffe da piccoli erano quei mantelli stesi per la strada; festoni da piccoli quei rami racimolati dagli alberi. Piccola la voce dei festanti: i più entusiasti erano i bambini, tant'è che Duccio di Buoninsegna nel suo dipinto in primo piano pone loro. Gli altri, gli adulti, come fossero un poco esitanti. Piccolo quell'ingresso perché ignorato da quelli che contano, non solo ignorato, ma guardato con sospetto.

E colui che entra, entra alla maniera di un piccolo, che non mostra insegne di forza, non incute paura, suscita festa, spensieratezza. Non so se ha incuriosito anche voi l'accostamenti che fa Marco nel suo vangelo tra la strada e il tempio. La strada: i colori della festa organizzata in totale semplicità, l'eco delle voci per quel tratto di strada: "Benedetto... benedetto". Ebbene quelle grida di esultanza erano forse ancora impigliate nell'aria quando Gesù entra nel tempio, guarda ogni cosa intorno e esce. Un silenzio raggelante.

Due modalità a confronto, due mondi a confronto. Ritorno sulla precisione dei dettagli, dettati da Gesù a due dei suoi discepoli. Si entra così! Lui è entrato così. C'è da ringraziarlo a non finire che lui sia venuto così e che ancora oggi venga così: penso alla piccola misura della pagine di un vangelo, alla piccola misura del pane che spezziamo, alla piccola misura delle nostre mani che lo accolgono. Quasi la festa del piccolo. Lo ringraziamo, non ci ha messi sull'attenti. Ci ha liberati dall paura di un Dio che cavalca l'arroganza del cavallo.

E' entrato così e chiede a noi, se abbiamo capito il segno, di entrare così nella vita. Così, da piccoli, da semplici, da miti. Ed io? Come entro nella vita? Da carrarmato? Passando rozzamente su ogni persona e ogni cosa, o da curatore dei piccoli? A passi felpati? Quasi in timore di schiacciare germogli? In timore di sconsacrare presenze? Io come entro? Lo pensavo in una mattine di queste, quando - sarò un po' strano - mi capitò di passare per una piccola piazza che era diventata, per trascinamento da vento, un tappeto di foglie e mi veniva quasi il desidero che i miei passi fossero un po' sollevati da terra per non pesare su quel tappeto di foglie imbevute dei colori dell'autunno.

E mi ritorna la domanda: come entro io? Come passo? Con passo felpato? Ho trovato l'aggettivo in un titolo di un quotidiano laico che, parlando del Vescovo Mario e del suo stile, titolava: "Gesti forti, passo felpato". E di lui scriveva: "Non passa giorno senza che nella sua agenda vi sia un incontro con comunità, gruppi, singoli rappresentanti del mondo con cui la chiesa deve misurarsi e che lui sta studiando, in avvio di un mandato quasi decennale.

Nel suo viaggio ambrosiano, Delpini ha scelto di incontrare le persone rispettando le suddivisioni proposte dalla quotidianità e di incrociarle con il Vangelo, ma anche di non cercare visibilità. Per esempio, è stato nel carcere di Bollate, al Pio Albergo Trivulzio, al Piccolo Cottolengo, alla Fondazione don Gnocchi senza giornalisti al seguito. Insomma, Delpini sta mantenendo fede all'immagine di "don Mario" cioè del parroco diventato arcivescovo, proposta da lui stesso nel giorno della sua nomina. Sia nei gesti che nelle parole".

Uno stile che mi richiama questa pagina di Marco. Entrare da piccolo e dare attenzione ai piccoli. Chi sono oggi i piccoli, gli indifesi, gli ultimi? Sono tanti. Ma tra i tanti coloro che cercano rifugio. Mi ha colpito - lo sfioro e lo lascio alla vostra riflessione - il brano del rotolo di Isaia che mette in luce la situazione drammatica del popolo dei Moabiti - non erano giudei - una situazione quasi simbolicamente raffigurata nelle donne stuprate e disperse dai nemici: sembra di leggere rabbrividendo storie dei nostri giorni. E l'invito al popolo di Giuda è ad essere - bellissimo! - "rifugio". Sentite: "Nascondi i dispersi, non tradire i fuggiaschi, siano tuoi ospiti i dispersi di Moab, sii loro rifugio di fronte al devastatore". Rimangono le domande: come entriamo nella vita? Da piccoli?

E, ancora, di noi qualcuno può dire che siamo "rifugio"?

 

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