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padre Gian Franco Scarpitta  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (26/11/2017)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Terminato l'Anno Liturgico, in virtù di una decisione di Pio XI del 1925 si celebra la solennità di Cristo Re dell'Universo, che esalta la figura dello stesso Signore di cui si è tanto celebrato nelle Settimane del predetto Anno. Se è vero infatti che un Anno liturgico ci invita a rivivere, nelle varie celebrazioni, il mistero di Cristo incarnato, morto, risorto e asceso al cielo, con la ricca enumerazione delle sue opere di misericordia, dei suoi insegnamenti e del suo messaggio generale, la presente Solennità ci ragguaglia del fatto che Cristo comunque è sempre il nostro Re universale, padrone della storia e dominatore assoluto, che ricapitola in se stesso tutta la creazione (Ef 1, 10) e che è al centro del cosmo e della creazione stessa. Se Gesù Cristo infatti è Dio, è a rigor di logica che egli sia anche Re, poiché sin dall'inizio dei secoli (in quanto Verbo del Padre) cooperatore della creazione: “Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati, Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.”(Col 1, 16). Come Sapienza che era presente quando Dio Padre ha formato il mondo, Cristo è quindi il Dominatore e Signore e anche noi rientriamo nella creazione di cui Egli è la centralità, avendolo come nostra causa iniziale e come fine ultimo.

La regalità di Cristo dev'essere riconosciuta universalmente e questo fondamentalmente fu il motivo basilare per cui la Solennità venne istituita: al serpeggiare del laicismo e della secolarità che sconfessavano la religiosità e ostruivano alla chiesa il diritto di educare, condurre e orientare il popolo verso l'etica, la morale e la cristianità; all'autoritarismo laicista dei governi e alla relativizzazione etica delle nazioni, si voleva opporre l'idea del solo Cristo unico Dominatore universale al quale ogni Istituzione si sottomette e che è anzi all'origine di ogni sistema legislativo.

Anche con la finalità di incoraggiare nel popolo di Dio l'orientamento verso Colui che, unico, doveva essere il centro della nostra fede e il criterio di ogni atteggiamento di vita. Riconoscere l'autorità e la signoria di Cristo Re dell'Universo è un atto non di sola competenza del singolo individuo, ma anche dell'intera società, che nel sottostare al vero padrone del Cosmo e della storai trova il fondamento della sua esistenza.

Se però la regalità di Cristo è reale e indiscussa, va considerato che essa non si paragona ai sistemi politici di questo mondo. Il regnare di Cristo prende anzi le distanze dai parametri terreni di governo e legislazione. A Pilato che lo interrogava: “Sei tu il re dei Giudei?” Gesù risponde: “Tu lo dici” sottolineando tuttavia che “Il mio Regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei." (Gv 18, 37 - 38). Infatti ai monarchi e ai governanti di questo mondo è garantita la sicurezza, la protezione di cui possono avvalersi per l'esercizio del loro dominio e dei loro dispotismi.. A loro è garantito il rispetto dei sudditi, la sottomissione del popolo specialmente debole. Certamente ai dominatori di questo mondo è chiesto il massimo della responsabilità per la promozione del bene comune e della giustizia, da loro dipende la vita e la sussistenza del popolo loro sottomesso e al monarca spetta il conseguimento degli obiettivi di pace e di progresso economico. Non di rado però lo stesso Israele aveva fatto esperienza di manifeste sopraffazioni e abusi di potere nella persona dei vari monarchi che si erano succeduti, perché con molta facilità si tendeva a fraintendere la reale motivazione dello scettro. Il regno esercitato da Cristo comporta al contrario il massimo dell'umiliazione e dell'annichilimento, la povertà, il deprezzamento e il dispregio da parte di tutti. La regalità di Cristo esclude tutti gli agi, le sicurezze e le comodità che sono usuali ai monarchi di questa terra e il suo regnare consiste nell'essere povero, perseguitato e indifeso già nella sua infanzia innocente. Cristo è il re dell'Universo e tale viene riconosciuto dal Magio che a Betlemme, prostratosi, gli offre oro, simbolo appunto di signoria e regalità; ma piuttosto che il fulgore di una sontuosissima reggia preferisce uno scomodo alloggio di fortuna quale era una grotta (che è una “casa” all'arrivo dei Magi). Avrebbe potere sui nemici e su quanti lo perseguitano, ma ancora in fasce scappa in Egitto con Maria e Giuseppe; potrebbe avere ragione dei suoi stessi sudditi, Giudei, scribi e farisei, ma viene da questi schernito, deriso, messo alla prova, reso oggetto di accuse per la morte e di fatto poi braccato e appeso sulla croce. Il regnare di Cristo è un continuo umiliarsi e restare sottomesso anche quando potrebbe far saltare i chiodi che lo trafiggono e discendere dalla croce: accetta il supplizio, il dolore, l'abbandono e la morte. Proprio la prospettiva della spoliazione e della morte di croce esalta la sua regalità, perché evidenzia che il regno “che non è di questo mondo” è anche quello che si concretizza nell'amore e nella misericordia. Lo stesso amore che si era evinto nella guarigione del lebbroso e del cieco nato, nella resurrezione di Lazzaro e del figlio della vedova di Giairo; che aveva visto lo stesso Cristo paziente pastore che conduce e soccorre ogni singola pecora; che aveva assunto consistenza nel perdono dei peccati al paralitico poi ristabilito si accentua e si rende convincente nella croce, dove Cristo risolleva le sorti del mondo intero. L'amore con cui Cristo aveva prediletto i poveri, gli emarginati e gli esclusi; l'amore con cui aveva perdonato i peccati alla prostituta con la pedagogia che nessuno è senza peccato e con il quale aveva sconfessato le vigenti mentalità di snobismo nei confronti dei reprobi e dei peccatori, era già espressione evidente del suo Regno. Cristo lo sintetizza nella morte ignominiosa con la quale paga il prezzo dei nostri peccati. Lasciarsi trafiggere in croce sperimentando perfino la sensazione dell'abbandono di Dio, questa è la massima espressione dell'amore che contrassegna la regalità di Gesù. In Cristo Re dell'Universo il regno è quindi l'antitesi delle aspettative di regalità umana: consiste nell'umiliarsi e nell'amare fino alla fine, senza che alcuna di queste due prerogative escluda l'altra. Si è capaci di amare, infatti, nella misura in cui ci si umilia e ci si sottomette, senza nulla richiedere per se stessi ma con massima abnegazione per gli altri.

La croce riassume anche il regnare di Cristo nella promozione della pace, della giustizia e della solidarietà e nel superamento dei reciproci pregiudizi, consci che in Cristo Gesù tutti gli uomini sono uno (Gal 3, 28).

Si diceva all'inizio che noi siamo parte dell'universalità della creazione che al dominio di Cristo è sottomessa, ma cosa ci viene chiesto se non corrispondere attivamente alla stessa dimensione di umiltà e di amore che Cristo ha palesato nel suo essere re? Siamo invitati non a vivere servilmente sottomessi, ma febbrilmente interessati a vivere l'amore gratuito e spontaneo per essere riflesso dell'amore con cui Cristo regna.

La pagina evangelica di oggi ci delucida di un Re universale che viene accudito e assistito dai suoi sudditi che lo hanno riconosciuto nella persona degli affamati, assetati e dei carcerati; che hanno pertanto saputo interpretarlo non nella logica di questo mondo assurdo e altezzoso, ma nella semplicità e nella piccolezza che il Figlio di Dio ha scelto e prediletto per l'esercizio del suo Regno. Soccorrere i poveri e gli indigenti equivale a soccorrere lo stesso Re e a guadagnare le ricompense garantite del suo stesso Regno e di conseguenza partecipare anche noi stessi della sua gloria nella misura in cui saremo stati partecipi della sua croce.

 

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