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TESTO Commento su Giovanni 18,33c-37

don Walter Magni  

Domenica di Cristo Re (Anno A) (05/11/2017)

Vangelo: Gv 18,33c-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

L'ultima domenica dell'anno liturgico è dedicata a “Nostro Signore Gesù Cristo, re dell'universo”. Il titolo di re applicato a Gesù comporta al primo impatto una certa fatica. Non è difficile capire che la regalità di Gesù non va confusa con lo stile, spesso prepotente, di chi governa nel nostro mondo. Di che regno sta parlando Gesù? Cosa significa che Gesù è re dell'universo?

“Si, io sono re”
Per comprendere il passo del Vangelo di Giovanni proposto proviamo a immaginare qualche elemento di contesto. Siamo a Gerusalemme, il 7 aprile dell'anno 30 d.C. È un venerdì importante: al calar del sole di quel giorno sarebbe iniziata la grande settimana di Pasqua, la settimana santa degli Ebrei. Intanto venivano preparati gli agnelli per il sacrificio e che sarebbero serviti per la cena della sera. In quella notte era stato arrestato un uomo, Gesù di Nazareth. I signori del tribunale ebraico l'avevano condotto subito davanti al procuratore romano, Ponzio Pilato, perché fosse processato.
“Tu sei re?”, gli domanda il procuratore. “Sì, io sono re”, risponde Gesù: “non sono re come i re di questo mondo, ma io sono re”. Un re strano comunque. Nato in Galilea in un piccolo e sconosciuto villaggio, da una donna del popolo, senza titoli nobiliari per giustificare quanto stava dicendo. Aveva fatto prima il falegname, poi aveva percorso la Galilea e la Giudea, predicando una dottrina nuova. Una dottrina tutta Sua che Gli aveva procurato l'odio dei capi e un certo seguito tra la gente. Dunque: Si proclama re, ma di chi? Di un popolo di straccioni che avevano osato seguirLo per chissà quale ritorno? Re di quale territorio? Di quale regno? “Sì, io son re”, ma “il mio regno non è di questo mondo”, aveva anche il coraggio di ribadire. Con una sicurezza che sfidava Pilato, sempre più incapace di dominare la situazione. Dibattuto ormai tra la pretesa di fare giustizia secondo le leggi di Roma e un popolo aizzato, che non doveva sfuggirgli di mano, rischiando sommosse e ribellioni.

“Re dell'universo”
Alla fine, pressato dalla folla che a quel punto Lo voleva morto, Pilato Lo condanna alla crocifissione. E sul cartello che fa appendere alla croce, proprio sopra la testa di Gesù, fa incidere una sentenza che paradossalmente finirà per riconoscere quella regalità universale - non di questo mondo - che non era riuscito a comprendere dialogando con Gesù. La scritta diceva: “Gesù Nazareno, re dei Giudei” (Gv 19,19-20), ma ripetuta in tre lingue: ebraico, latino e greco. Le lingue del mondo allora conosciuto. Quella iscrizione trilingue, superando ogni confine dei regni del mondo, riconosceva l'universalità del messaggio di Gesù. Poi Gesù sarebbe morto e risorto e lo Spirito Santo avrebbe raggiunto i Suoi discepoli a Pentecoste. Così avrebbero cominciato a capire il significato delle parole pronunciate con tanta sicurezza da Gesù davanti a Pilato: “Io sono re”. Avrebbero soprattutto cominciato a comprendere le parole che Paolo scriverà ai Filippesi: “Gesù umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore” (Fil 2,8-11). E Signore in greco si dice kyrios che significa appunto: re, dominatore. Regalità universale che l'arte bizantina riprodurrà negli stupendi mosaici del Cristo pantokràtor: il Cristo re signore nel duomo di Cefalù, di Monreale, nella Cappella Palatina di Palermo, nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.

Sotto la Sua croce
Certamente Pilato quel giorno non sapeva di avere davanti a sé Gesù, il Signore. Noi invece sappiamo che Gesù è nostro re perché ha attraversato l'esperienza della croce. Pilato aveva almeno cominciato a intuire di trovarsi davanti a una persona non comune. Capace di suscitare domande profonde. Cominciare anche noi a lasciarci scalfire da questa Sua singolare regalità. Certo, parole come re, regalità e regno non appartengono più al nostro linguaggio. Ma questo non è un alibi per scappare da Lui. Questa Sua regalità ci confonde soprattutto perché il nostro individualismo non sopporta alcun'altra appartenenza. Ci siamo lasciati prendere da tutto e da tutti, anche da un po' di religiosità, per non appartenere a nessuno. Affascinati dal nostro io più che dalla verità di Dio: “sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”, affermava sempre Gesù davanti a Pilato.
Un amico, presentandomi sua moglie, diceva: “ecco la mia regina”. Espressione d'altri tempi che tuttavia dice un affidamento sincero, un amore incondizionato: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef. 5,21). Sottomettiamoci ancora alla dolce regalità di Gesù, che domina dalla croce. Simone Weil, una filosofa ebrea del secolo scorso, scriveva che Dio e l'umanità sono come due amanti che hanno sbagliato il luogo dell'appuntamento: “Ciascuno è lì prima dell'ora, ma sono in due posti diversi, e aspettano, aspettano, aspettano. Lui è in piedi, immobile, inchiodato per la perennità dei tempi. Lei è distratta e impaziente. Sventurata se ne ha abbastanza e se ne va!”.
Non facciamo più aspettare il Nostro Re crocifisso. AndiamoGli incontro.

 

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