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TESTO Il significato della morte per ogni cristiano: l'essere per l'eternità

padre Antonio Rungi

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Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa II) (02/11/2017)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il 2 novembre di ogni anno, in occasione della commemorazione dei fedeli defunti, noi ci domandiamo, più convintamente, sul significato della morte per noi credenti. Di fronte alle scene, anche di morti violenti, alle quali assistiamo quotidianamente attraverso i media, al punto tale che ci stiamo abituando anche alla morte nella pluralità del modo di concludersi dei nostri giorni, noi rinnoviamo il nostro perché ed aumentano le nostre domande, specie quando ci troviamo davanti alla tomba dei propri cari, più cari di ogni altro, e ne avvertiamo la mancanza, la privazione e la nostalgia. Nasciamo, cresciamo e moriamo, per vivere una vita più piena e duratura che va oltre il tempo, la natura, la creatura, tutto ciò che essere per un tempo limitato, rispetto ad un essere per l'eternità. La spiegazione più piena della nostra morte, come cristiani, è quella che troviamo nella morte in croce del Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, che ha donato la vita per l'umanità per riscattarci da una morte più terribile che è quella eterna e definitiva. Con la sua morte e soprattutto con la sua risurrezione dai morti comprendiamo il morire di ogni cristiano che alla luce della fede, sa benissimo, come ci ricorda la teologia, la dogmatica, la dottrina e la liturgia dei novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso) che il morire non è la conclusiva di una vita, ma l'inizio di una nuova vita, che avrà la piena e completa risurrezione nel giudizio universale e nel secondo Avvento di Dio sulla terra quando verrà a giudicare i vivi e i morti ed anche i nostri corpi mortali risorgeranno trasformati in una vita senza fine. Intanto, siamo convinti che l'anima immortale, con la morte del corpo, potrà aver la visione immediata di Dio, nella gloria del Paradiso se ha operato bene nella sua vita terrena, altrimenti dovrà purificarsi nel Purgatorio e se, malauguratamente avesse commesso peccati gravissimi, senza mai pentirsi, il destino eterno dell'Inferno non può che preoccupare seriamente. La consapevolezza che esista una vita oltre la morte è un dato di fede e per certi versi anche di scienza e di ragione, in quanto a ben riflettere la vita dell'uomo non può, per la bellezza che racchiude, concludersi nella tomba, in un loculo del cimitero oppure in una cassetta compatta in cui si raccolgono le ceneri dopo la cremazione.

Viene in nostro aiuto quanto in questo giorno, mediante l'ascolto della parola di Dio dei tre formulari delle sante messe che celebrano in sacerdoti, è ascoltato meditato e riflettuto sul significato più vero ed autentico del morire di un cristiano vero, che ha fede e crede nella vita eterna. Dal Libro di Giobbe, inserito come testo biblico della prima lettura, della prima messa di questo giorno, leggiamo e facciamo nostro questo messaggio di speranza e di apertura all'eternità “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. Mentre, dal Vangelo di Giovanni di questa prima messa, è detto con chiarezza assoluta la missione portata a compimento da Gesù, nella sua morte e risurrezione: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

Il profeta Isaia, nella prima lettura della seconda messa, dice cose stupende su quello che ci attende dopo la morte, anche se il testo biblico si riferisce, ad altre situazioni che ha vissuto il popolo santo di Dio: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l'ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.

Replica l'apostolo Paolo, nel brando della sua lettera ai Romani (II Messa di oggi), con parole di incoraggiamento ed aperte alla speranza che diventa certezza di tempi davvero migliori, in quella prospettiva dell'eternità che guida saggiamente l'Apostolo delle genti quando scrive in merito alla vita eterna: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”.

La vita eterna, come ben cogliamo dal testo del Vangelo di Matteo certamente ha due strade, quella della salvezza e quella della perdizione. Non è a senso unico, in quanto per imboccare la strada giusta, bisogna vivere nella carità ed essere dalla parte di chi è in necessità. Si va in paradiso donando la per amore e mettendosi a servizio degli ultimi e dei bisognosi: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.... Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Quando non si vede il volto di Cristo nel volto del fratello che è in necessità, non c'è possibilità di godere della felicità eterna. Chi è chiuso nel suo e non sa scorgere la presenza di Dio in situazioni di necessità come può far parte di un'eternità beata?

Allora vogliamo, prendere in seria considerazione quello che ci detta il profeta Isaia nella prima lettura della terza messa di oggi: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace...In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro”.

Chi di oggi davanti alla tomba dei nostri cari o di altri fedeli defunti o di qualsiasi morto non comprende queste cose e le medita per capire quale strada intraprendere per non morire dentro, per non morire per sempre, per essere aperti alla vita eterna? Io penso che tutti oggi, anche soffrendo e piangendo, per la morte dei nostri fratelli, guardiamo a loro come esempi di vita e se proprio non sono stati esemplari pregheremo per loro, affinché il Signore buono e gande nell'amore, ricco di misericordia porti con se le anime sante del Purgatorio che aspettano di rispecchiarsi nel suo volto di luce di amore infinito.

E come conclusione della nostra meditazione su questo giorno di speranza e di vita, oltre la morte, noi vogliamo rivolgerci a Dio con questa mia umile preghiera che affido a voi in questo giorno e nei prossimi giorni:

Signore, le ore, i giorni, i mesi, gli anni passano in fretta e noi ci dileguiamo, senza lasciare tracce di noi stessi, se non quelle di avere amato Te e il mondo intero.
Questa bellissima vita, che tu ci hai donato e continui ad alimentare con il tuo amore di Padre, ci sorprende nel tanto bene, ma anche nella tanta sofferenza.
Il coraggio di andare oltre i limiti del nostro umano soffrire, sei Tu, o Dio, che ce lo doni, ben sapendo che l'agonia durerà, come per Te, solo poche ore sul tracciato del nostro cammino.
Pensare alla vita, oltre la vita, in questo tempo, in cui, davanti a noi si spalancano i cancelli dei nostri cimiteri per la visita annuale ai nostri parenti defunti, dà gioia e conforto nonostante che la paura della morte abiti in noi, anche se non ci distoglie dalla gioia della risurrezione e della futura gloria del cielo.
Grazie Signore della vita, della mia vita, della nostra vita, della vita di tutti, della vita del mondo, della vita di ogni cosa che respira e trova la sorgente del vivere nella tua Sapienza divina.
Grazie dei giorni in cui assaporiamo la gioia dello stare qui, insieme ai nostri fratelli, che camminano con noi nel tempo presente.
Grazie dei giorni, in cui il dolore e la croce, ci pone di fronte ai nostri limiti umani, fisici e temporali, che possiamo fronteggiare con il totale abbandono alla tua santissima volontà.
Grazie del giorno che sta volgendo al termine e grazie del nuovo giorno che ci attende da vivere con Te, in Te e per Te. Grazie per tutti i giorni della nostra breve esistenza.
Grazie per quell'ultimo giorno che attendiamo e di cui non sappiamo il momento esatto, in cui Tu verrai a chiamarci per portarci con te nell'eternità beata. Amen.

 

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