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TESTO La solitudine del testimone

don Fulvio Bertellini

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (15/12/2002)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

In tutti i vangeli, la figura di Giovanni Battista precede l'ingresso in scena di Gesù. Una attestazione concorde che deve farci riflettere: anche negli Atti degli Apostoli, Giovanni è citato prima dell'annuncio vero e proprio del Cristo, come l'anello di congiunzione tra le antiche scritture e il loro compimento. Nel Vangelo di Giovanni in particolare il Battezzatore è presentato come il "testimone". Il primo di una lunga serie di testimonianze, a favore e contro, che costituiscono il Vangelo di Giovanni come una sorta di grandioso processo alla persona di Gesù. La liturgia dell'Avvento di quest'anno ci ripropone appunto la testimonianza di Giovanni come un passaggio necessario per giungere ad una più profonda conoscenza di Gesù.

Testimonianza negativa

Una formula complicata introduce la testimonianza di Giovanni: "confessò e non negò e confessò...": in effetti egli opera un disconoscimento, in termini negativi: "io non sono il Cristo". L'evangelista però vuol far notare che proprio negando di essere il Messia, Giovanni Battista tiene aperta la questione su chi è il Cristo e dove lo si può trovare. La sua negazione diventa una confessione. Giovanni nega anche di essere Elia redivivo, o il "profeta" che i giudei aspettavano. Il che risulta piuttosto inquietante per i suoi interlocutori. Giovanni non rientra in nessuna delle categorie prestabilite secondo le quali ragionano i sacerdoti e leviti che lo interrogano, non risponde esattamente alle loro attese di salvezza. Quando gli chiedono di definire la sua identità, egli risponde con un versetto della Scrittura: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore".

Provocazione

Giovanni non dice chi è. Si definisce "la voce". Non offre soluzioni ai suoi interlocutori, ma ne scuote le abitudini e le convinzioni: "Preparate la via del Signore!". Per gli interlocutori di Giovanni, uomini dediti al culto, professionisti del servizio di Dio, si tratta di affermazioni assolutamente destabilizzanti. Ogni giorno nel Tempio si facevano offerte e sacrifici, si insegnava a praticare la Legge, si pregava e invocava Dio. Eppure Giovanni dice: "Preparate la via del Signore!". L'esistente non basta più, occorre preparare e attendere qualcosa di diverso. La provocazione di Giovanni riguarda oggi anche le nostre comunità, costantemente tentate di regredire nella placida indifferenza, in cui si annacqua la forza del Vangelo, in cui si raffredda il desiderio di Dio, in cui si spegne l'attesa di Cristo. In effetti, i Messia che attendiamo sono ben diversi: gli operai di Termini Imerese attendono chi gli dia un lavoro, i vertici Fiat attendono il super manager che risolva i problemi dell'azienda, i terremotati attendono di rientrare nelle loro case, gli albergatori attendono neve e folle di turisti, noi attendiamo le vacanze per avere una pausa dalle fatiche quotidiane... c'è ancora posto per l'attesa di Gesù nella nostra vita?

Uno che non conosciamo

Mentre invita a preparare la via del Signore, Giovanni annuncia "quello che non conoscete" e che sta "in mezzo a voi". Per gli inviati dei Farisei era Gesù, che doveva manifestarsi da lì a poco. Per noi è il Gesù che si è già manifestato, ma che forse abbiamo chiuso nel cassetto, confinato nell'album dei ricordi, relegato tra i soprammobili della nostra esistenza. Quel Gesù che diventa un optional anche del 25 dicembre: basteranno l'albero, i panettoni, le luci colorate, e Babbo Natale per fare festa e sentirsi più buoni. Giovanni Battista, uomo dell'Antico Testamento, dice a noi oggi, sedicenti discepoli e uomini del Nuovo, che ancora oggi Gesù sta in mezzo a noi (nelle nostre Messe, nelle nostre Chiese semivuote, nei malati che attendono un conforto, nei poveri che chiedono aiuto, nei giovani che chiedono valori e coerenza dagli adulti, nei disperati della terra che invocano pace e giustizia...) e noi non lo conosciamo, né conosciamo la sua salvezza.

Desiderio di Dio

Giovanni Battista, ultimo dei profeti, ci invita a ritrovare il desiderio di Dio, il desiderio della sua salvezza. Altrimenti Gesù si ripropone a noi, come un regalo non richiesto, di cui non sappiamo cosa fare, e che viene buttato via. Dalla vita pretendiamo altri regali, come un bambino viziato che chiede sempre e non è mai contento; oppure ci rassegniamo e ci facciamo regali da noi stessi, come chi è solo e non ha nessuno che si possa ricordare di lui. Gesù è il grande dono di Dio, colui che trasforma tutta la nostra vita in un grande dono; ma dobbiamo reimparare ad aspettarlo.


Flash sulla I lettura

Il ritorno dall'esilio è il referente diretto e il contesto immediato di questi capitoli del profeta Isaia: "Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri". Si discute tra gli esperti l'epoca esatta di composizione, ma la lettura attenta mostra che il testo trapassa i limiti della sua epoca, e dà voce ad un desiderio di salvezza integrale e totale, al di là delle possibilità di realizzazione storica, al di là anche dei limiti ragionevoli della speranza. Tuttavia non si scade nell'utopia, perché il suo avverarsi non è frutto di una iniziativa umana, ma dell'iniziativa di Dio.

"Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio...": chi è l'io che parla? Chi è che dice "mi ha consacrato con l'unzione"? Il profeta dovrebbe essere un portavoce impersonale di un messaggio di Dio. Moltissimi sono gli oracoli di questo tipo nell'Antico Testamento: cominciano con "Così dice il Signore", e annunciano un messaggio oggettivo, di cui il profeta è solo il portavoce. Ma a partire da Geremia ed Ezechiele abbiamo un crescente uso della prima persona: il profeta parla di sé, del suo rapporto con Dio, di ciò che Dio gli ha fatto capire...

Anche in questo brano il profeta è profondamente coinvolto nel messaggio che annunzia. Tanto che il testo trapassa anche la personalità del profeta, e in quell'"io" che parla possiamo riconoscere Gerusalemme, il popolo liberato, ogni uomo che attende la venuta del Signore, e anche noi possiamo appropriarcene. D'altra parte non possiamo fare a meno di notare che il profeta è solo: sorretto da una incrollabile speranza, fiducioso nella venuta del suo Dio, ma pur sempre solo. Solo come Giovanni Battista davanti ai suoi interlocutori, solo come Gesù nel suo processo. Proprio l'accettazione della solitudine rende il profeta portavoce e interprete dell'attesa e della speranza di tutti.

Flash sulla II lettura

"State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie...". In greco il testo ha un andamento ritmico, quasi poetico, come si addice alla conclusione solenne di un discorso. Si alternano due serie di imperativi, e due affermazioni teologiche.

La prima serie di imperativi è "rallegratevi, pregate, ringraziate", conclusa da "questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi...".

La seconda serie di imperativi è "non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate..., ritenete..., astenetevi dal male". La seconda affermazione teologica è "il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione...".

Il brano non è dunque una semplice serie di esortazioni accumulate e giustapposte, ma una studiata composizione, che nella prima parte invita ad assumere l'identità propria della comunità cristiana, definita come "la volontà di Dio": la gioia, la preghiera il ringraziamento. Nella seconda parte si invita a rispettare le condizioni per assumere una simile identità comunitaria: l'ascolto dello spirito, delle profezie un attento discernimento, l'allontanarsi anche solo dall'apparenza del male. Si tratta però di un'opera di Dio stesso: è lui che "santifica fino alla perfezione", è lui che ci conserva nell'attesa.

"Colui che vi chiama è fedele, e farà tutto questo!": il tempo di Avvento ci mette quindi a confronto con l'azione di Dio che vuole "santificarci", e ci invita a corrispondere, a lasciarci trasformare, a non estrometterlo dalla nostra esistenza.

 

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