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TESTO Commento su Matteo 22,34-40

Omelie.org - autori vari  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/10/2017)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Lucia Piemontese

Il Vangelo ci presenta Gesù che vive il confronto-scontro con i capi dei Giudei a Gerusalemme. I farisei, in particolare, cercano ripetutamente di coglierlo in errore per poterlo denunciare alle autorità.

In questo caso, lo mettono alla prova con una domanda su quale sia il comandamento grande e quindi principale nella Legge. A quel tempo i rabbini discutevano sulla questione, chiedendosi quale fosse il principio della Legge. Per esempio, l'autorevole Hillel affermava: «Quello che è in odio a te non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah».

Gesù, nella sua risposta, accosta due testi che nella Legge (Torah) si trovano separati, in libri diversi: il primo è Deuteronomio 6,5 sull'amore per Dio; il secondo è una parte di Levitico 19,18 sull'amore per il prossimo. Infine, conclude dicendo che da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti (che ne riproponevano le esigenze).

Il racconto, al primo ascolto, appare fin troppo semplice perché siamo “abituati” all'idea dell'amore per Dio e per il prossimo. Dobbiamo, invece, coglierne la novità e le implicazioni per la nostra vita.

Il grande comandamento - dice Gesù - è l'amore verso Dio. Citando Deuteronomio 6,5 si rifa', implicitamente, a tutto il testo dello Shema‘ Jsra'el ossia al Credo di Israele (cf. Dt 6, 4-9) recitato giornalmente dagli ebrei anche in forma di preghiera. Lo Shema‘ afferma l'unicità di Dio e, per questo, la necessità di amarlo totalmente.

L'iniziale verbo amerai ha un senso imperativo ed esprime un comando, ma il tempo al futuro vuole indicare anche una proiezione nel domani, una continuità, un amore che deve dispiegarsi un giorno dopo l'altro.

L'oggetto di questo amore è il Signore Dio tuo. Non si tratta dell'amore verso un Dio generico e astratto ma verso il Dio tuo, quel Dio che si è legato a te nell'alleanza.

È importante capire come va vissuto questo amore: «con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (v. 37). In sintesi si poteva dire “con tutto te stesso” ma il testo porta volutamente a considerare ogni singola espressione.

Nella Scrittura, il cuore è la sede degli affetti e dei sentimenti, ma anche dell'intelligenza, della volontà e della decisione. Non è l'organo della emozionalità, come viene inteso oggi. Amare Dio con il cuore vuol dire decidersi per Lui, voler fare la sua volontà, obbedirgli. Per chi davvero “ci sta a cuore” siamo capaci di scelte coraggiose, spesso molto impegnative; la persona amata diventa il centro verso il quale si orientano tutte le nostre facoltà e potenzialità.

L'anima è la vita stessa, il soffio vitale che abita la persona e che ha relazione con il sangue (cf. Lv 17,11). Quindi amare Dio con l'anima significa essere disposti a dare la vita per Lui. Molti lo hanno fatto nel martirio di sangue, molti altri nell'accettare il martirio giornaliero di tante situazioni difficili. Si usa l'espressione “mi ha preso l'anima” quando si sente che la nostra vita appartiene ad un altro in una maniera unica ed esclusiva.

La mente, infine, indica la ragione. Qui il vangelo di Matteo non segue il testo ebraico di Dt 6,5 che esprime la terza facoltà con un avverbio: «amerai...con tutto il tuo molto». I rabbini interpretavano questo molto come i beni materiali posseduti, o anche come forza/vigore/potere. Nei vangeli, in relazione anche alla cultura greca e alla sua antropologia, compare il coinvolgimento della ragione, della attività conoscitiva razionale dell'uomo. É una indicazione importante perché anche questa facoltà, che si esprime nel ragionamento logico e appare meno spirituale, deve essere orientata a Dio ed utilizzata per conoscerlo e amarlo.

In conclusione, Dio vuole un amore che coinvolge la persona nella sua interezza e senza scissioni. La ripetizione degli aggettivi tutto/a e tuo/a sottolinea ulteriormente il carattere personale e totale dell'amore richiesto.

Gesù, rispetto alla domanda del dottore della Legge, va ben oltre affermando che quello dell'amore a Dio non è solo il grande comandamento ma è anche il primo e per questo ne aggiunge subito un secondo dichiarandolo simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (v. 39). E' la citazione di una parte di Levitico 19,18 che per intero recita: «Non ti vendicherai e non serberai odio contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore». Per Israele, il prossimo rimaneva circoscritto ai figli del tuo popolo ossia ai soli israeliti, ma con Gesù la prospettiva si allarga in modo universale e il prossimo diventa colui al quale ci facciamo prossimi al di là di relazioni familiari ed etniche (cf. la parabola del buon samaritano in Lc 10, 25-37).

Il secondo comandamento comincia come il primo: amerai. Questo verbo, questo contenuto è ciò che li accomuna. Ma la modalità è diversa perché diverso è il destinatario: non Dio ma l'essere umano. Anche qui il prossimo è qualificato dall'aggettivo possessivo tuo, come avviene per Dio nel primo comando, per precisare che anche il rapporto con gli altri non si pone su un piano astratto ma che il prossimo veramente ti appartiene, ti riguarda.

Gesù conclude che «da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (v. 40). In pratica dichiara che tutti i precetti, le norme, le prescrizioni contenuti nella Legge hanno come unico significato e fine l'amore, sono in funzione dell'amore. L'amore/la carità è la chiave di lettura di tutta la Legge, ne costituisce l'origine e la motivazione.

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amare Dio con tutto di sé

Nel testo del Deuteronomio citato da Gesù, il comando di amare Dio sta subito dopo la dichiarazione della sua Unicità: «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6,4). E' il Dio della liberazione e della salvezza che, per primo, ha amato il suo popolo. A partire da questo, può comandare di amarlo perché Lui, che è l'Unico Dio, sia davvero l'Unico per noi. Lui solo dobbiamo adorare come Dio, senza mettergli accanto altri déi e idoli (cf. Es 20,3-5), Lui solo dobbiamo cercare e amare per quello che è e che rivela di sè (cf. Es 3,14; Gv 1,18).

Dio, dunque, esige un amore che ci orienta completamente verso di Lui. Ce lo comanda perché è un amore che ci fa bene, ha l'effetto di unificare tutte le facoltà del nostro essere, ci rende unitari nel profondo. Sperimentiamo, a causa della debolezza e del peccato, di essere divisi in noi stessi, abbiamo desideri in conflitto, cuore e ragione sono in contrasto, vogliamo fare il bene e facciamo il male (cf. Rm 7,19)! Ecco, l'amore per Dio risana questa frammentazione interiore, ridipingendo la vera immagine di Dio in noi: persone generate dall'amore e per l'amore.

amare gli altri come se stessi

L'amore verso noi stessi è una realtà complessa. A volte è molto egoistico, altre volte appare assente, altre ancora è segnato dal peccato, dai sensi di colpa e da svariate dinamiche psicologiche. La misura di un vero amore a noi stessi la raggiungiamo solo accogliendo l'amore di Dio, diventando consapevoli di quanto è immenso il Suo amore per ciascuno di noi. Amarsi a partire dall'amore di Dio vuol dire considerare il mistero della propria esistenza con una gioia, un rispetto e uno stupore di base, significa imparare giorno dopo giorno a guardarsi attraverso i Suoi occhi e ad accettarsi con i Suoi sentimenti di misericordia e di pazienza. Solo così possiamo giungere ad amarci veramente e, di conseguenza, ad amare in verità gli altri. Non possiamo, infatti, dar loro ciò che non conosciamo e abbiamo; non possiamo offrire comprensione, compassione, pace, perdono se non ne abbiamo esperienza in noi stessi. L'altro è l'altro da noi (diverso e unico) ma anche l'altro di noi (uguale); lo possiamo riconoscere, rispettare e amare solo se ci riconosciamo, rispettiamo e amiamo.

un unico amore

Le due letture ci offrono esempi sul tema del vangelo. La prima presenta la cura di Dio verso il prossimo identificato principalmente nei deboli, una cura che siamo chiamati a imitare. La seconda ci offre l'esempio dei Tessalonicesi che hanno abbandonato gli idoli per volgersi all'unico Dio con una fede così grande anche nelle tribolazioni da essere diventati di esempio.

Nel vangelo, Gesù ci dice che c'è un unico amore che si esprime secondo due modalità/misure. La prima è quella della totalità perché ci volgiamo a Colui che è il Tutto e l'Unico, il Signore Dio nostro al quale apparteniamo; è un amore assoluto. La seconda modalità è espressa da un come, è un misura più relativa perché riguarda l'amore dovuto fra creature umane che non devono essere assolutizzate al posto di Dio. Gesù conferma che l'amore verso Dio è un amore superiore, grande e primo, ma sottolinea chiaramente l'inscindibilità dei due comandamenti che ha voluto unire. Essi non sono semplicemente accostati, ma il secondo discende dal primo, ne è una necessità. San Giovanni nella sua prima lettera lo esprime chiaramente: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti» (1 Gv 5,1-2).

 

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