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TESTO Il mandato missionario

don Walter Magni  

I domenica dopo la Dedicazione (Anno A) (22/10/2017)

Vangelo: Lc 24,44-49a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Celebriamo la domenica del Mandato missionario. Più semplicemente: la Giornata missionaria mondiale. Il testo evangelico che abbiamo ascoltato ci riporta alle ultime parole che Gesù risorto regala ai Suoi discepoli, nel contesto della Sua ultima apparizione. Subito dopo il racconto dell'episodio di Emmaus, nell'imminenza della Sua ascensione, vicino a Betania. Sono parole di un testamento, esortazioni che non possiamo dimenticare.

“Sono queste le parole”
Se pensiamo alla realtà della missione, se non siamo cristiani pigri e ripiegati su noi stessi, subito ci prende la voglia di andare, di correre, di darci da fare. Come Maria di Magdala il giorno della Resurrezione, che subito corre dai suoi fratelli per annunciare a loro: “ho visto il Signore” (Gv 20,18). Restando al vangelo di Luca, come non ricordare i due discepoli che ritornano a Gerusalemme, dopo che L'avevano riconosciuto nella locanda di Emmaus (Lc 24,33), per dire tutti soddisfatti agli Undici che anche a loro era apparso Gesù Risorto? Una gran voglia di andare, dunque. Come ci testimoniano ancora tanti missionari ‘di professioné. Che un tempo prendevano la nave e oggi un aereo, per continuare a proclamare in tutto il mondo il Vangelo di Gesù. È innegabile riconoscere che dire missione, anche oggi, significa andare, andare “ad gentes”, correre dalla gente.
Gesù, tuttavia, prima di inviare i Suoi evidenzia una premessa. Chiedendo loro un vero e proprio atto di memoria di quelle parole che aveva detto prima di morire; di quella stessa Parola certa, forte e viva, che proprio Lui è stato con la sua morte. Infatti “queste sono le parole che io vi dissi quando ero ancora tra voi”. Mettersi a correre per dire qualcosa di Lui, senza attenerci a questa precisa memoria di Lui, comprometterebbe la buona riuscita della missione stessa. C'è una custodia della sua Parola da parte di una chiesa missionaria, di una chiesa in uscita - come dice papa Francesco -, che deve curare e verificare ciò che è essenziale per la missione. In parole e in opere: in ciò che va detto e che va fatto in nome Suo. Obbedendo alla Sua esortazione a fare memoria di Lui. Di Lui soltanto.

“Allora aprì loro la mente”
Del resto, questo è un richiamo che tutti i vangeli conoscono. Come il Gesù di Marco che compone il gruppo dei Dodici “perché stessero con lui” e solo dopo li manda “a predicare” (3,14). O Giovanni che ci descrive l'insistenza di Gesù a rimanere: “rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sè stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (15,4-5). Coltivando il gusto di restare a lungo con Lui, godendo con affetto della Sua presenza, ci sarà dato di capire meglio ciò che dobbiamo ricordare. Tenendolo bene in mente: “allora aprì loro la mente”. E questa non è tanto un'operazione intellettuale, l'acquisizione scolastica di alcune categorie che meglio potrebbero affinare le nostre conoscenze. È piuttosto qualcosa che attiene al cuore in senso biblico. Come sapendo attendere che sia Lui a bussare anzitutto alla porta (Ap 3,20); sino a lasciare che con la mano addirittura forzi il chiavistello (Cc 5,4). Giungendo a stabilire una relazione tanto intensa con Lui che solo chi s'innamora la può comprendere davvero. Perché la missio ad gentes è anzitutto questione d'innamoramento. Quando intuisci per grazia che la passione che provi per Lui non si contiene. Al punto che chi ti incontra ne resta affascinato. E mentre tutto trapassa nel tempo, la Sua presenza diventa compassione e consolazione senza limiti. Amore incontenibile che subito si riversa in infiniti rigagnoli di servizio. Segnato in modo indelebile da una ferita che solo il Suo abbraccio nel Regno che verrà saprà rimarginare, trasformando il pianto in un sorriso.

“Dio non fa preferenza di persone”
Quando Gesù parla della testimonianza, sta certamente parlando di Lui. Di quello che ha detto e fatto, sino a provare la durezza della morte e la bellezza della risurrezione. Colpisce tuttavia lo stile col quale Pietro, negli Atti, si muove nel nome di Gesù, cominciando ad andare. Siamo propriamente a Cesarea, nella casa di Cornelio, un centurione romano, pagano. Prima che Pietro termini il suo discorso - tutto incentrato sulla morte e risurrezione di Gesù - proprio in quella casa di pagani non ancora battezzati, accade una vera e propria pentecoste. Una conversione al Vangelo di Gesù, frutto dello Spirito santo e anche di un precedente ravvedimento dello stesso Pietro: “in verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone”. Alludendo così a quanto era capitato poco prima nella sua casa, a Giaffa: una visione l'aveva convinto ad andare oltre qualsiasi distinzione tra puro e impuro, tra giudeo e pagano. Così Pietro, rompendo ogni indugio, aveva osato accogliere in casa sua dei pagani che per il giudaismo avrebbero reso impuro anche lui. “Di questo, voi siete testimoni”, conclude il Vangelo odierno. Diventare testimoni, nel nome di Gesù, dell'abbattimento di inutili barriere, dentro le nostre chiese, tra chiesa e chiesa, tra chiesa e mondo. Portando nel cuore il desiderio ardente di regalare a tutti - non solo a pochi eletti - un'Eucaristia condivisa e accogliente.

 

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