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TESTO Quando profaniamo una chiesa?

don Angelo Casati  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno A) (15/10/2017)

Vangelo: Mt 21,10-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,10-17

10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.

Voi invece ne fate un covo di ladri».

14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto:

Dalla bocca di bambini e di lattanti

hai tratto per te una lode?».

17Li lasciò, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

Celebriamo oggi l'anniversario della dedicazione a Dio del nostro Duomo, la cattedrale. Nel suo spazio sacro è presente la cattedra del Vescovo. Quest'anno - lasciatemi dire -celebriamo con una particolare gioia il giorno della dedicazione, perché da pochi giorni nel Duomo ha fatto il suo ingresso, come pastore della nostra chiesa milanese, un nuovo Vescovo, Mons. Mario Delpini.

Quando penso alla nostra Cattedrale, quando mi capita di indugiare ancora a guardare la meraviglia del nostro Duomo, tra i tanti pensieri che mi battono in cuore uno è dominante. Come se mi brillasse davanti agli occhi una congiunzione: quasi il Duomo fosse un simbolo luminoso della congiunzione, tra cielo e terra. Una costruzione che mi fa alzare gli occhi al cielo: le guglie, come rapite verso l'alto e, a loro volta, con il dono - la seduzione - di rapirci verso l'alto.

Ma, ecco che subito al rapimento verso l'alto si accompagna un pensiero che sembra andare in una direzione opposta: il Duomo è nel cuore della mia città, le sue fondamenta salde sono nella nostra terra. C'è un entrare e respirare il mistero di Dio che avvolge le sue navate e c'è un uscire respirando l'aria della piazza, delle strade, delle case, della terra. Casa di Dio e casa degli uomini Vorrei partire dalla parola "casa". Che racconta una intimità, racconta presenze, volti. Non è un albergo.

Penso all'intimità vissuta con Dio. Che dovrebbe trovare spazio nel nostro Duomo e nelle nostre chiese. Non solo opere d'arte! Noi non siamo semplicemente visitatori di opere d'arte, ma cercatori di respiri, di soffi di presenza, di presenza del vento dello Spirito. Respirare la bellezza di una presenza, quella di Dio. Quel luogo, come segno di una alleanza tra Dio e il suo popolo. Il luogo sacro racconta una fedeltà. Come ci suggerisce spesso la preghiera dei salmi, quando ci fa dire: "Forte è il suo amore per noi e la sua fedeltà dura in eterno".

E questo che respiriamo nello spazio del sacro. Che può essere dissacrato quando si infiltra nel tempio, trova spazio, una mentalità mercantile. Il tempio va salvaguardato attentamente. Gesù ha scacciato tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano: "rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe". Lontano dunque coloro che si servono della religione per i loro interessi personali. Lontano dal tempio quelli che della religione si servono per celebrare se stessi.

In questo orizzonte potremmo forse interpretare il brano, un poco criptico, del profeta Baruc, che oggi parlava dei famosi giganti dei tempi antichi, alti di statura, esperti nella guerra. "Ma Dio" è scritto "non scelse costoro, non diede loro la via della sapienza". Il fenomeno del gigantismo - permettete che lo chiami così - ancora accade - e voi me lo insegnate -: personaggi imponenti come i giganti, esibiscono se stessi, urlano, l'urlo, segno del vuoto del pensiero, zero di sapienza: "Non diede loro la via della sapienza".

Perché non la diede loro? Perché quando siamo pieni d noi stessi non c'è posto per l'altro, né per Dio né per gli altri. L'umiltà - se ben ci pensate - è la soglia, soglia obbligata, soglia benedetta della sapienza. Non sei tu il cielo. Il tempio come approdo per colmarci di cielo, della sapienza che scende dall'alto. Il cielo ma anche la terra. Vi dicevo che è pieno di significato e di bellezza il fatto che il Duomo sia nel centro della città, quasi fosse il cuore della città, a pulsare sangue nella città.

Se da un lato richiama la fedeltà a Dio, dall'altro richiama la fedeltà all'umanità, alla terra. Il Duomo non è fatto d'aria, è fatto di pietre. E l'una si lega all'altra, quasi richiamo alla solidarietà, alla fraternità. Nel discorso del nostro nuovo Vescovo, nel giorno del suo ingresso in Diocesi, mi ha colpito con quale massaggio abbia dato inizio al discorso, quasi fosse l'incipit del suo ministero: il richiamo alla fraternità.

E non come se fosse una cosa ovvia, scontata o scolorita. Il Vescovo Mario iniziò così il suo discorso: "Fratelli, sorelle! Permettetemi di rivolgermi a tutti così, chiamandovi fratelli, sorelle, "parola tremante nella notte/ Foglia appena nata/ Nell'aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell'uomo presente alla sua/ fragilità/ Fratelli (G. Ungaretti).

Fratelli, sorelle: non è per pretendere una familiarità, piuttosto per offrire una intenzione di frequentazione quotidiana, di disponibilità ordinaria, di premurosa, discreta trepidazione per il destino di tutti. Fratelli, sorelle! Non che io intenda rinunciare alla mia responsabilità di esercitare in mezzo a voi un magistero, non che io intenda sottrarmi alle fatiche del governo. Piuttosto esprimo il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell'esser figli dell'unico Padre: "fratelli, sorelle!". "Fratelli e sorelle" dice il vescovo Mario.

E mi viene d'istinto di pensare al Duomo come a un luogo per affratellarci. Il Duomo, ma non solo il Duomo, ogni chiesa come luogo per guardarci negli occhi e riconoscerci fratelli e sorelle. Potremmo allora dire che una chiesa la sconsacriamo quando violiamo la fraternità. Forse anche voi avete in questi giorni letto sui quotidiani la polemica pretestuosa e velenosa sorta intorno ad un altro Duomo, quello di san Petronio in Bologna, per la decisone del Vescovo di quella città di far mangiare nella basilica un migliaio di poveri con papa Francesco.

Si è gridato alla profanazione del tempio. Si è arrivati a dare dell'eretico al Vescovo e al Papa. La risposta - meravigliosa risposta - a queste deliranti accuse, è nel vangelo di oggi. Gesù dal tempio non scaccia i poveri, scaccia coloro che curano solo i loro interessi. Rivendica il tempio come casa di preghiera. Certo. Ma che cosa segue immediatamente, senza un minimo di cesura, nel vangelo?

Leggiamolo tutto. E' scritto: "Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì". Ebbene che eccezionalmente un tempio diventi una cena per i poveri è segno che quelle pietre sono una casa, è segno che le parole che usiamo "fratelli" e "sorelle" non sono vuoto nominalismo, è segno di un Duomo che ancora pulsa sangue, nella città che abitiamo e amiamo.

 

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