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TESTO Chiamati alla festa

don Luciano Cantini  

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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/10/2017)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Forma breve: Mt 22,1-10

In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Con parabole
Le parabole non sono frutto di una fervida fantasia, storie campate per aria ma storie tratte dall'esperienza; era normale nella realtà geopolitica del tempo che un pranzo di nozze per il figlio di un re fosse occasione per stabilire o rafforzare le alleanze con gli altri potenti, così come l'apertura del palazzo reale alla gente comune aveva lo scopo di aumentare il prestigio e il consenso popolare.
In questa ottica il rifiuto, anche violento, degli invitati va letto come rifiuto alla alleanza con la conseguente ostilità fino a dare alle fiamme la loro città, logico epilogo di un atteggiamento di rottura messo in essere dagli invitati e atto a ristabilire la supremazia del re.

Ecco, ho preparato il mio pranzo
La similitudine del racconto è espressa sin dall'inizio: Il regno dei cieli è simile a un re; è negli atteggiamenti de re che dobbiamo andare a trovare il senso del Regno.
L'impegno e la garanzia della alleanza la intravediamo attraverso l'unilateralità dell'invito: il mio pranzo, l'insistenza: mandò di nuovo altri servi, e l'abbondanza di quanto preparato: i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto.
Il disinteresse degli invitati è palesato negli altri interessi ritenuti degni di maggiore attenzione: chi al proprio campo, chi ai propri affari, la loro presunzione la troviamo nel fatto che presero i suoi servi come se ne fossero i padroni e nella violenza verbale e di fatto: li insultarono e li uccisero.
L'accusa nei confronti dei capi dei sacerdoti e dei farisei è, come nelle parabole precedenti (cap.21), abbastanza evidente; anche l'analisi storica della prima comunità cristiana che ha letto la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.c. come segno del cambiamento sostanziale dell'Alleanza Divina; c'è da domandarci cosa ci dice oggi a noi questa parabola, in questo nostro tempo in cui i campi dell'agire umano a cui diamo la prevalenza sono moltissimi e non solo sul piano lavorativo, in cui gli affari sono diventati fagocitanti e ciò che è proprio (il mio sentire, il mio piacere, la mia vita) riveste un assoluto totale da condizionare la relazione con gli altri.

Chiamateli alle nozze
Nel linguaggio parabolico ci è detto che il disegno di Dio non fallisce, piuttosto cerca altre strade, luoghi diversi, impensati: ai crocicchi delle strade; cerca persone diverse, tutti quelli che trovarono perché regno c'è posto per tutti. Gesù ci regala un'immagine inedita del Padre che va oltre le convenzioni umane raggiungendo ogni periferia, senza andare troppo per il sottile sul piano etico: i cattivi e buoni - e l'odine di dizione non è casuale - riempirono la sala. È facile immaginare come la comunità cristiana, a cui Matteo si rivolge, legga se stessa. Ancora dobbiamo domandaci cosa questa pagina evangelica dice al nostro tempo più incline alla selezione, alla separazione che alla inclusione, che rende le periferie meno accessibili e più distanti, se si riconosce nella varietà e multiformità dei commensali di quella sala.

Senza l'abito nuziale
Non si può partecipare alla festa, alla comunità cristiana senza essere rivestiti di Cristo (Col 3,27).
Se da un lato l'invito alla festa ha la caratteristica della universalità tale da non guardare in faccia a nessuno, cattivi e buoni, dall'altro lato è chiesto, non una mera presenza fisica, ma la volontà di coinvolgimento. La semplice presenza nella sala del banchetto non basta per partecipare, l'scrizione nel libro dei battezzati non offre nessun diritto da far valere comunque, senza coinvolgimento.
È semplicissimo: Dio ci chiede solo una cosa per entrare alla festa, la totalità (Papa Francesco 06.09.13) se il primo atteggiamento del cristiano è la festa, il secondo atteggiamento è riconoscerlo come unico. E quello che non lo riconosce non ha la veste per andare alla festa, per andare alle nozze.
L'abito (da abitudine) ci rende riconoscibili l'uno all'altro, ci rende compagne e compagni (cum-panis) capaci di mangiare lo stesso pane, di accoglierci reciprocamente, ognuno con le proprie diversità, ma con la stessa volontà di condivisione della fatica e della gioia, liberi di fare festa con chi tutto ci ha donato.

 

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