TESTO E provare a parlare di meno?
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
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XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2017)
Vangelo: Mt 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Mi piace quando la Liturgia (chissà se per puro caso o volutamente) cerca di calarsi nella realtà del tempo e delle stagioni che si stanno vivendo, almeno per quanto riguarda il nostro territorio. Il Vangelo di oggi, infatti, si colloca al centro della cosiddetta “trilogia della vigna” di Matteo, e ascoltare questo mentre trattori carichi di grappoli appena raccolti attraversano le strade dei nostri paesi collinari e pedemontani, ci aiuta ancor di più a entrare in profondità nelle suggestive pagine delle parabole che stiamo ascoltando. Abbiamo iniziato domenica scorsa, con i vignaioli che vanno a vendemmiare a diverse ore del giorno e tutti vengono pagati alla stessa maniera da un padrone che probabilmente non sa (o non vuole) ragionare in termini di giustizia retributiva; termineremo domenica prossima, con il dramma dell'eterna discrepanza tra un padrone profondamente innamorato della propria vigna e i suoi vignaioli che ragionano da mercenari, in termini di profitto e tornaconto personale, disposti anche ad uccidere, pur di impadronirsi di qualcosa che non appartiene loro. Al centro, la piccola parabola di oggi, che potrebbe benissimo essere una cosa a sé stante, ambientata in un contesto diverso, in quanto il tema principale non è quello del lavoro o dell'attaccamento alla vigna, ma quello del rapporto tra un padre e i suoi due figli. Eppure, l'ambientazione è ancora quella, e soprattutto esiste un nesso tra il Vangelo di oggi e quello di domenica prossima che va oltre il tema della vigna: e riguarda i destinatari delle due parabole. Entrambe, quella di oggi e quella di domenica prossima, sono rivolte “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”, e l'esito cui porteranno non sarà certo dei migliori, in quanto - dice la conclusione del capitolo 21 - "udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo". Che cosa dice Gesù di così sconvolgente da provocare una reazione del genere?
Iniziamo dalla “bomba” di oggi. Le autorità religiose di quel tempo (e non solo...) erano solite creare delle distinzioni, delle classificazioni all'interno della porzione di popolo di Dio a loro affidata. La grande distinzione era tra “buoni” e “cattivi”, tra “fedeli osservanti della legge” e “peccatori pubblici”; tra i primi, venivano collocate non tanto le persone dabbene (le cui coscienze erano ovviamente ingiudicabili), quanto le persone benedette da Dio, e tra esse in modo particolare coloro che da Dio avevano ricevuto ogni sorta di bene materiale, ossia i ricchi, coloro che davano una mano a rendere pingue il tesoro del tempio con le loro elemosine senza la necessità di sporcarsi le mani con lavori ritenuti ignobili. E quali erano i lavori “ignobili”? Quelli svolti da chi apparteneva alla categoria dei peccatori pubblici, gente talmente lontana da Dio, gente talmente incapace a osservare le leggi, che già il mestiere da loro svolto la diceva lunga: tra essi, coloro che entravano a contatto con la carne di animali impuri (e quindi, i pescatori, i pastori, i mandriani e i macellai), e quelli che avevano il loro negozio sulla strada, luogo dell'impurità pubblica per antonomasia, cioè i tessitori, i commercianti, e gli artigiani (falegnami, fabbri e vasai in particolare).
Quindi, un falegname che si definisce il “Buon Pastore” e che tra i suoi discepoli ha un buon numero di pescatori, potete pensare quanto fosse apprezzato dalle autorità religiose. E visto che tra i suoi discepoli c'era anche un esponente della peggior categoria di peccatori, ovvero i “pubblicani” esattori delle tasse (tra l'altro, autore di questo brano), perché non completare l'opera con chi commetteva la peggiore delle impurità vendendo non la carne di animali, ma la propria carne, il proprio corpo, ovvero le prostitute? Infatti, in più di un'occasione Gesù si fa avvicinare e addirittura toccare, lavare i piedi e profumare il capo da una di quelle... “Eh, no: così non va! Quest'uomo che cammina con i pubblicani e le prostitute non può certo venire da Dio!”: sappiamo bene che questo è ciò che pensavano le autorità religiose del tempo di Gesù. E siccome egli sa ancor meglio qual è il loro pensiero e quali sono le intenzioni del loro cuore, anche nel vivere una religiosità che pretendevano fosse modello per tutti, allora Gesù rincara la dose: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”, nel senso che letteralmente “prendono il vostro posto”, cioè essi (il peggio del peggio) vi entrano e voi (che vi ritenete il meglio del meglio) no. E questo, perché?
Tutto è legato alla figura di Giovanni Battista, sulla quale Gesù, pochi versetti prima, ha una disputa con i capi dei sacerdoti, perché questi hanno dimostrato di non aver riconosciuto in lui un profeta, e ne hanno fatto quello che ne han voluto, permettendo che Erode lo incarcerasse e lo facesse fuori. D'altronde, Giovanni Battista predicava la conversione del cuore, e loro - che si ritenevano giusti - non ne avevano per nulla bisogno. Chi invece ne sentiva il bisogno e ha riconosciuto nel Battista un uomo di Dio, sono stati pubblicani e prostitute, il peggio del peggio, coloro che all'apparenza e agli occhi di tutti erano ritenuti lontani da Dio. Ma Dio non guarda all'apparenza, Dio guarda al cuore; Dio non guarda alla nostra vita di peccatori o di santi, Dio guarda all'amore che ci mettiamo nelle cose che facciamo; Dio non guarda alle parole che diciamo o alle formule che pronunciamo o alle molte preghiere che recitiamo, Dio guarda ai fatti, alla nostra vita di carità nei confronti del prossimo.
Perché a dire apparentemente ed esteriormente di sì a Dio (come il secondo figlio della parabola, che gli risponde “Signor sì” come se fosse un soldatino) e poi farci gli affari nostri, beffandocene di lui, siamo capaci tutti; molto meglio essere sinceri con Dio, dirgli tutta la nostra fatica nel seguire la sua parola e i suoi insegnamenti, a volte anche con dei “non ho voglia di te”, come il primo figlio, e poi - sia pur con fatica - cercare di rimetterci in carreggiata e fare la sua volontà, nonostante tutto. Così è stato ai tempi di Gesù, con i pubblicani e i peccatori che all'apparenza erano lontani da Dio, ma con il loro cuore lo amavano molto di più ed erano molto più vicini a lui di quanto lo fossero le autorità religiose, ossia quelli che nel tempio vivevano e ci sguazzavano, apparentemente perfetti e giusti, ma nel cuore ipocriti e “sepolcri imbiancati”.
Così è per noi, ai nostri giorni, quando a parole e con i nostri atteggiamenti ci facciamo vedere e ascoltare da tutti come uomini e donne di Dio, ma in realtà il nostro cuore è lontano da lui, molto più lontano del cuore di coloro cui noi non daremmo neppure un centesimo di valore, all'apparenza, eppure nel silenzio e nell'abnegazione fanno la volontà di Dio.
Meno parole, allora, e più fatti; meno apparenza, allora, e più concretezza; meno facciata e più sostanza. Almeno con Dio, visto che a lui non possiamo proprio nascondere nulla.