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TESTO Commento su Matteo 18,21-35

fr. Massimo Rossi  

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2017)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,21-35

In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Ma, avete sentito che cosa scrive Ben Sirach (Siracide)?

La pagina che abbiamo ascoltato sembra tratta da un testo del Nuovo Testamento...

In realtà il Siracide non è molto distante in linea temporale dai Vangeli: si tratta di un libro scritto in ebraico intorno al 180 a.C. e riscritto, in greco, poco dopo il 132: è l'unico libro dell'AT del quale conosciamo il nome dell'autore: si chiamava Gesù, anche lui, ed era figlio - in ebraio: Ben - di un certo Sirach, da cui il nome ‘Siracide'. Il libro, che è conosciuto anche come Ecclesiastico, da non confondere con l'Ecclesiaste o Qoelet, non fu ritenuto ispirato, pertanto non venne accolto nel canone ebraico e neppure nella Bibbia protestante.

Provate a contare quante volte, in poche righe, l'autore nomina il rancore, l'ira, la collera e il perdono delle offese. Non è del tutto vero, allora, che la morale ebraica non tiene in conto il valore del perdono...

Certo, va ribadito che nessuna fede annovera il perdono delle offese quale fondamento e assoluto, come la fede cristiana. Detto in modo semplice e senza troppi giri di parole: un cristiano che non perdona, non è cristiano sul serio.

Chi più, chi meno, il comando del perdono ci mette tutti con le spalle al muro e ci costringe a fare un esame di coscienza in merito. E sul perdono saremo valutati nel giorno del giudizio finale!

Perdonare non è facile. Non è facile addirittura concepire il perdono, così come lo concepisce il Signore, e sottoscriverlo a livello di principio.

Noi cerchiamo sempre un motivo, per il quale colui che ci ha offesi debba meritare il perdono.

In altre parole, siamo disposti a perdonare se intravediamo in lui un accenno di conversione, a cominciare dall'ammissione di aver sbagliato, con conseguente richiesta di essere da noi perdonato. Nostro malgrado, il perdono, come lo intende Gesù, non ha altro motivo che se stesso!

Il perdono come lo intende Gesù non si può meritare. Se potessimo meritare il perdono, saremmo autorizzati a pretenderlo. Invece, il perdono cristiano è un dono assolutamente gratuito; nessuno ha diritto di essere perdonato. Di conseguenza il perdono non si può pretendere; lo si può solo implorare.

Ma anche se colui che ha sbagliato, non lo chiedesse, colui che è ha ricevuto l'offesa ha il dovere di perdonare, per il solo fatto di essere cristiano.

Perdonare è forse una tra le scelte più faticose - se non la più faticosa - che una persona possa fare nei confronti dell'altro; è il sacrificio maggiore... A modo di riassunto, ecco alcune proprietà del perdono così come lo intende Gesù:

• Il perdono è lo specifico della fede cristiana; l'ho già detto, ma vale ripeterlo: Io perdono perché credo in Cristo, prima che nella conversione di colui che mi ha offeso, o dal quale mi son sentito offeso: le due espressioni - essere offeso e sentirsi offeso - non sono la stessa cosa. Talvolta ci offendiamo, non perché l'altro abbia commesso una colpa contro di noi, ma perché siamo suscettibili e permalosi...

• Il perdono cristiano non è mai un atto spontaneo, non viene da sé; il risentimento, questo sì che è spontaneo. Quando qualcuno ci offende, la reazione istintiva è quella di prendere le distanze, nutrendo, appunto, risentimento. Il perdono bisogna volerlo! Quando non perdono, non è perché non riesco a perdonare, ma perché non voglio.

• Il perdono cristiano è un atto senza condizioni; anche questo giova ripeterlo.

• Il perdono cristiano è fine a se stesso. Io perdono perché perdono, non per altro.

• Il perdono cristiano si dona a qualunque costo; non c'è offesa troppo grave da non poter essere perdonata in nome di Cristo.

• Il perdono cristiano libera colui che lo dona (e lo riceve) dai condizionamenti della reazione. Cristo non ha mai re-agito, ma ha sempre e soltanto agito; → Cristo è l'uomo perfetto, perché del tutto libero da ogni condizionamento esterno.

• Il perdono fa verità su colui che lo dona e su colui che lo chiede. Realizza pienamente l'identità cristiana. A proposito: è più difficile perdonare, oppure chiedere perdono? Tanto l'uno che l'altro si oppongono all'orgoglio: perdonare - insegna la parabola del Vangelo di oggi - significa rinunciare a far valere l'offesa contro colui che è colpevole; chiedere perdono significa riconoscere prima di tutto di aver sbagliato, impegnandosi a non sbagliare più in futuro. Questo non vale solo per il sacramento della riconciliazione; questo vale in tutte le relazioni. C'è una corrispondenza necessaria tra perdono cristiano e conversione.

• Il perdono cristiano non è generica indulgenza. Perdonare non significa far finta di niente...

Il valore del perdono consiste nella memoria dell'offesa ricevuta, è forse l'aspetto più delicato. Provate a riflettere: se potessi dimenticare (l'offesa) il perdono non sarebbe necessario. Dunque, dire: “Io perdono, ma non dimentico” è un nonsenso. Io perdono, proprio perché non dimentico! E, dal momento che non sono in grado di perdonare una volta per sempre, ogni volta che incontrerò colui, colei che mi ha offeso, io lo perdonerò nuovamente, nella misura in cui accetterò di salutarlo ancora e di mantenere aperto il canale della comunicazione.

• Il rancore/risentimento smentisce il perdono: chi dice di aver perdonato, ma non vuol più né vedere, né sentire colui che l'ha offeso, non ha perdonato davvero. Il risentimento è una modalità (esterna) di relazione, non un fatto mentale, o del cuore (amarezza, dolore per la ferita subita...)

• Ho lasciato per ultimo l'aspetto più difficile del comando cristiano. Il perdono è finalizzato ad accordare nuovamente fiducia. Io perdono, ok, e dopo? A fronte di un'offesa grave, è ancora possibile una relazione? Quale? La stessa di prima probabilmente no; in caso contrario, si tratterebbe forse più di indulgenza che di autentico perdono. Solo in un caso, la relazione non è più possibile, e dunque deve essere evitata: quello in cui tale relazione costituisca un pericolo reale per l'integrità fisica, psicologica, affettiva,... di colui che è stato offeso.

C'è di che meditare, e molto...

 

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