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TESTO La corazza che separa

dom Luigi Gioia  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/09/2017)

Vangelo: Ger 20,7-9; Sal 63; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,21-27

In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Tu mi sei di scandalo -dice Gesù a Pietro- perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! Esiste un pensare secondo gli uomini e un pensare secondo Dio e la differenza tra l'uno e l'altro si manifesta soprattutto quando siamo esposti a sfide che determinano la nostra esistenza.

Siamo sfidati in modo decisivo quando Gesù ci dichiara Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E poi aggiunge: Chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Il ‘pensare secondo Dio', in questo caso, consiste prima di tutto nel coraggio di interrogare queste esortazioni per capire esattamente in cosa consista il ‘se stesso' che ci è chiesto di rinnegare, la ‘vita' che dobbiamo essere pronti a perdere.

Vi sono un ‘se stesso' e una ‘vita' che Paolo denuncia come alienanti: Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. È la parte di me che non solo si oppone a Dio, ma mi divide interiormente: In me, nella mia carne... vedo un'altra legge (un altro me stesso) che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Il ‘se stesso' che Gesù invita a rinnegare è quello che Paolo chiama ‘carne', cioè tutto quello che è mortifero, che è negazione di vita autentica: la carne tende alla morte. È un istinto di sopravvivenza che ci rende ciechi: ci fa percepire gli altri come una minaccia, alimenta in noi la gelosia, il rancore, l'ostilità, l'odio e soprattutto il desiderio di vendetta. È la corazza della quale ci siamo armati: ci protegge, ma al tempo stesso ci separa dagli altri e da Dio. Accediamo al vero ‘se stesso', alla vera ‘vita' solo quando troviamo il coraggio di deporre questa armatura, aprendoci a Dio e assumendo la fatica e il travaglio della lunga metamorfosi da crisalide in farfalla, ciò che Gesù chiama ‘croce'.

Il ‘pensare secondo Dio' infatti ha anche bisogno di capire cosa voglia dire la ‘croce' che Gesù ci invita ad abbracciare quando dice prenda la sua croce e mi segua. Liberiamoci una volta per tutte dall'identificazione tra croce e sofferenza. La croce non è la sofferenza stessa, ma il modo nel quale affrontiamo questa sofferenza.

Vi è una misura di dolore, di prova, di angoscia che non Dio, ma le circostanze della vita inevitabilmente ci somministrano. Essa comprende le amarezze, i dispiaceri quotidiani, le incomprensioni, le cattiverie di cui siamo prima o poi tutti vittime; include le malattie che prima o poi ci affliggono, a volte anche molto gravi e pesanti, e infine la morte, qualunque ne sia la forma. Il male che opera nel mondo, la sofferenza che subiamo, l'ingiustizia e la violenza che attraversano la storia sono conseguenze del nostro peccato, del disequilibrio che nel creato abbiamo introdotto noi. Nasciamo in un mondo che il nostro peccato ha corrotto e ha alterato. Riceviamo in eredità un corpo che il Signore aveva creato per essere bello, perfetto, sano, in armonia con il creato, e che invece, a causa della nostra separazione da Dio, è diventato preda dell'invecchiamento, di ogni sorta di malattia e che infine cessa di vivere e deve ridiventare polvere. Viviamo in una società nella quale dovevano regnare l'amicizia, la tolleranza, il rispetto, e che invece abbiamo trasformato in una giungla dove le ingiustizie e gli squilibri sono endemici, che è diventata luogo di solitudine, di emarginazione, di sospetto.

Il fardello di sofferenza inevitabile nelle nostre vite è la conseguenza del nostro peccato. Invece, la croce di cui parla Gesù è il modo nuovo che ci è offerto di affrontare, sfidare e vincere questa sofferenza. Questo modo nuovo, la ‘croce', consiste prima di tutto nel non aggiungere peccato a peccato, odio a odio, gelosia a gelosia, ribellione a ribellione, omicidio a omicidio. Consiste nel lasciare che la spirale di ingiustizia e di odio si spezzi su di noi attraverso il nostro rifiuto di perpetuarle, di diventarne a nostra volta gli agenti, imitando Gesù che, ingiustamente accusato e condannato, perdona coloro che gli stavano facendo del male ed ottiene per loro la conversione del cuore.

Tutti soffrono, cristiani e non, buoni e cattivi, credenti e non credenti. La croce è nella decisione di non maledire la sofferenza, di non risponderle con la ribellione interiore, con l'odio, l'astio, la disperazione, il suicidio. La croce è nella scelta della mitezza, che è l'esatto contrario della rassegnazione. La rassegnazione è una forma di passività, è arrendersi, è cedere al fatalismo, alla disillusione, al cinismo. Ci vuole invece una determinazione eroica per non rendere male per male, non maledire la sofferenza, pregare per coloro che ci fanno del male, non accusare Dio, ma scoprirlo invece vicino, riconoscerlo non causa, ma compagno del nostro dolore.

In questo risiede la conversione, cioè il passaggio dal pensare secondo il mondo al pensare secondo Dio. In questo modo troviamo la nostra vita e vinciamo il mondo. Questa, infine, è la grazia che solo il Signore può farci e che possiamo ricevere solo restando uniti a Gesù, solo - come ce lo chiede oggi il Vangelo - camminando dietro a Gesù, seguendo lui: Quando penso a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all'ombra delle tue ali. A te si stringe l'anima mia, la forza della tua destra mi sostiene.

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Mi guida la tua mano. Omelie sui vangeli domenicali. Anno A", ed. Dehoniane. Clicca qui

 

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