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TESTO Commento su Gv 15,9-16

Monastero Domenicano Matris Domini  

Mercoledì della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (26/08/2015)

Vangelo: Gv 15,9-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,27-32

27Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. 28Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.

29Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, 30e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. 31Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. 32Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri.

Collocazione del brano
Questo brano è la continuazione del discorso di Gesù sulla vite sui tralci. L'esortazione a rimanere nel suo amore e nel portare frutto trova realizzazione nell'esperienza dei santi martiri, in particolare nel martire Alessandro che fu alle origini della fede della città e della provincia di Bergamo.
Alessandro era un soldato romano della legione Tebea, comandata da san Maurizio. Quasi tutta la legione venne uccisa ad Agaunum (St. Moritz) perché si erano rifiutati di cercare ed arrestare i cristiani del Vallese. Con alcuni superstiti fuggì a Milano. Qui venne incarcerato perché si era rifiutato di rinunciare alla fede cattolica. Fuggito anche da Milano raggiunse Bergamo passando per Fara Gera d'Adda e Capriate. A Bergamo fu ospitato dal principe Crotacio, che lo invitò a nascondersi, ma Alessandro iniziò a predicare e a convertire molti bergamaschi, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Fu perciò scoperto e condannato a morte. La decapitazione venne eseguita pubblicamente il 26 agosto 303 nel luogo ove oggi sorge la chiesa di S. Alessandro in Colonna.

Lectio
9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Questo versetto ci ricollega al brano della vite e dei tralci, in cui il Padre veniva glorificato dal frutto portato dai discepoli. Il verbo amare è qui utilizzato in modo da esprimere un comportamento globale, sempre in atto, che continua a produrre nel tempo i suoi effetti. Vi è un effetto a cascata. Come il Padre ha amato il Figlio, il Figlio ama noi. In questo caso il verbo amare evoca il momento unico della Passione, quando l'amore di Gesù si è manifestato all'estremo. Da ciò emerge l'appello del Figlio a rimanere nel suo amore.

10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Cosa significa rimanere nel suo amore? Non si tratta soltanto di rimanere fermi nella fede, ma di vivere nell'amore ricevuto da lui e quindi dal Padre. E' un amore che significa comunione delle volontà, significa restare unito al Padre obbedendo ai suoi comandamenti. Anche Gesù ha obbedito ai comandamenti del Padre. Il “come”, kathos, rende Gesù non solo il modello di questo tipo di permanenza, ma addirittura la fonte.

11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Si tratta di un'affermazione che sembra spezzare il filo del discorso. In realtà ci permette di interiorizzare quanto detto sopra. Questo aderire ai comandamenti ha prodotto in Gesù la gioia di aver compiuto pienamente la sua missione. E la gioia si trasmette ai suoi discepoli. Non è una gioia soltanto futura, ma si può gustare già da ora, nella piena comunione con Gesù e con il Padre.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
Dopo aver affermato la gioia del Figlio, il discorso riprende e si approfondisce. L'amore che ha donato gioia ai discepoli si esprime nell'amore che loro stessi si donano reciprocamente. Da questo si verifica la presenza in loro dell'amore ricevuto da Gesù. Quindi l'amore fraterno è il comandamento per eccellenza. Qui si vede la grande concretezza del vangelo di Giovanni.

13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
A prima vista questa affermazione potrebbe sembrare l'esortazione fatta ai discepoli ad andare incontro alla morte per i propri amici. In verità Gesù sta parlando di se stesso ed indica la propria morte come testimonianza suprema del proprio amore: “deporre la propria vita”, nel vangelo di Giovanni ci ricorda la morte volontaria del Figlio. L'assolutezza del soggetto (nessuno ha un amore più grande) può indicare anche il carattere insuperabile dell'amore di Gesù per gli uomini. L'indicazione degli amici non significa che Gesù non sia morto anche per coloro che gli erano nemici. Mette piuttosto l'accento sulla motivazione della croce di Gesù, cioè l'amore.

14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
In questi due versetti, Gesù spiega meglio cosa intenda per “amici”. Se i discepoli fanno ciò che Gesù domanda loro, cioè se credono e amano, il Figlio li riconosce come “amici”. Di fronte a colui che viene dall'alto, la condizione del discepolo è di per sé quella del “servo”, termine che nella Bibbia rappresenta un titolo di nobiltà quando caratterizza la relazione con Dio: indica la fedeltà senza riserve. Non ha il senso di schiavo, se non quando indica un uomo assoggettato a un padrone di questo mondo o (come in Gv 8,34) alla potenza del peccato. Quindi già il titolo di servo sarebbe abbastanza importante.
Il legame di amicizia deriva dal fatto che Gesù ha detto ai suoi amici tutto quello che ha udito. Vi è una condivisione forte, un legame tra conoscenza e amore.

16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Gesù si fa erede della tradizione che fa capo al Deuteronomio sull'elezione di Israele. Dio che ha scelto il suo popolo perché fosse testimone davanti a tutti i popoli, di nuovo sceglie i suoi discepoli perché portino frutto. Ritorna qui la metafora della vite. Qual è il frutto da portare? Giovanni non pone l'accento sull'invio degli apostoli e della loro predicazione. Il quarto Vangelo riguarda piuttosto tutti i credenti, tutta la comunità cristiana. Gli amici di Gesù portano frutto se sono pienamente fedeli ai suoi comandamenti, se vivono un amore fraterno che si irradia nel mondo. Attraverso la comunità dei discepoli il Figlio continuerà a manifestarsi lungo il corso della storia.
La comunione dei discepoli con il Figlio ha come diretta conseguenza la comunione con il Padre e la possibilità di ottenere dal Padre tutto ciò di cui essi hanno bisogno.

Meditatio
- Riesco a vivere i comandamenti di Dio come un mezzo per rimanere in comunione con Lui?
- Mi sento amico di Gesù?
- Qual è il frutto che sto portando?

Preghiamo
Orazione della solennità di sant'Alessandro martire
O Dio, nostro creatore e redentore, che nella tua ineffabile bontà ricompensi con abbondanza la gloriosa passione dei tuoi martiri, concedi alla tua Chiesa, che oggi si allieta per il trionfo del santo martire Alessandro, di essere liberata da ogni macchia di peccato e di ottenere quel premio che egli ha meritato con la suprema testimonianza della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

 

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