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TESTO Un male necessario per la vita

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/09/2017)

Vangelo: Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Nella mia esperienza pastorale soprattutto con i bambini e i ragazzi mi è capitato spesso di esordire con un certo distacco e superficialità: “Inutile fissarsi troppo, tanto non serve a nulla... Tanto io non sono all'altezza”. Ma proseguendo nella stessa azione pastorale, venivo di volta in volta sedotto dalle iniziative e, scoprendo che queste potevano essere messe in atto, mi prodigavo sempre più nell'inventiva, fino a sacrificare anche il mio tempo e il mio denaro (più volte con personali interventi economici). Mi è capitato insomma di iniziare con freddezza e senza entusiasmo e di proseguire con molto interesse. Questo soprattutto perché riscontravo che l'impegno non era inutile, ma che le cose potevano essere realizzate, anche se richiedevano molta dedizione e sacrificio. Mettersi in gioco e sacrificarsi è la parola magica di ogni traguardo che si voglia conseguire e tali concetti sono irrinunciabili. Del resto non si potrà mai cambiare il mondo con le parole e con i concetti astratti, ma con la concretezza delle opere che scaturisca da una forte presa di coscienza. E non sarà mai possibile cambiare le cose se non si sarà pronti a rinunciare a ciò a cui si tiene maggiormente, sacrificando e umiliando se stessi. Sono riflessioni che mi giungono spontanee ogni volta che penso alla tragica morte del giudice Paolo Borsellino, che affrontò consapevolmente la “condanna a morte” della mafia, conscio di quello che gli sarebbe accaduto e convinto che il suo martirio non sarebbe stato inutile. Come di fatto si verificò. A volte un'impresa può essere avviata con codardia, paura e pusillanimità, ma una volta che ci si immette in essa può capitare che se ne resta avvinti e affascinati, al punto da rischiare ogni cosa pur di portarla a termine. Quando si riscontrano problemi e difficoltà oggettive, che comunque si possono mutare rinnegando se stessi, allora si vince la paura e il tentennamento, ci si dimentica delle proprie lacune e insufficienze e ci si immette senza riserve, disposti a rinunciare anche alla propria vita. In casi come questi si fa esperienza in prima persona della necessità del sacrificio e dell'immolazione per conseguire un traguardo, soprattutto quando si vuole dare una svolta a un sistema che si ritiene ingiusto e perverso. E allora, anche se in prima istanza si tentenna e lo si vorrebbe evitare, ci si espone sempre volentieri al rischio e al sacrificio.

Lo insegna l'esperienza stessa, ma anche le pagine della Scrittura e lo stesso Gesù Parola Viva e vera ce ne da conferma. Il profeta Geremia (I Lettura) si propone di non parlare più nel nome del Signore, perché questo gli ha causato ripetute persecuzioni e umiliazioni, eppure avverte come una necessità di diffondere profusamente il messaggio di cui è latore. Animato dalla paura vorrebbe innanzitutto rinunciare, ma poi ritiene indispensabile proseguire nella sua missione, sia perché avverte la necessità intrinseca di profetare per il bene del popolo, sia perché il Signore stesso lo attrezza e lo istruisce, infondendogli ogni sorta di capacità e di coraggio necessari. Si dispone di conseguenza ad affrontare senza riserve il sacrificio perché sa che comunque esso non sarà infruttuoso e del resto è inevitabile e va vissuto.

Detto sacrificio, associato all'umiliazione e al martirio, per noi si chiama croce e sotto questa configurazione diventa ancora più eloquente, non soltanto perché è indispensabile per identificarci come cristiani, ma perché tappa necessaria per raggiungere qualsiasi obiettivo. Necessaria e sempre fruttuosa, apportatrice di novità e di cambiamenti. Ecco perché a detta di Gesù, evitare questa prospettiva è demoniaco: chi non abbraccia la croce fa il gioco del maligno, perché vuol perdere deliberatamente la fondamentale volontà di sacrificarsi per cambiare le cose. Raggirare l'ostacolo della croce è illusorio e deleterio, perché allontana dai propositi di innovazione e di cambiamento, nell'illusione egoistica di preservare se stesso e la propria vita. Chi infatti crede di guadagnare la propria vita con procedimenti facili e poco sacrificati sarà vittima di questi stessi procedimenti: perderà la vita che intendeva guadagnare. Quindi Gesù raccomanda a tutti di non esitare a caricarci ciascuno della propria croce: essa sarà necessaria quanto utile per conseguire noi stessi e per guadagnare la vita e il banco di prova di tutto questo è il fatto che egli stesso, Dio fatto uomo, si accinge ad esporsi al supplizio del legno, rifiutando tutte le alternative umane di autodifesa e tutte le risorse per scongiurare la croce: per la salvezza degli uomini, per il riscatto dei loro peccati, per l'acquisto di noi tutti a prezzo e per la nostra giustificazione è necessario che lui vada a Gerusalemme ad affrontare l'inevitabile. La croce tuttavia si trasformerà in gloria e apporterà conseguenze di sollievo per tutti gli uomini che da essa trarranno benefici frutti. Il dolore di Cristo sul patibolo è per noi medicina così come è di sanazione per gli altri qualsiasi croce che vogliamo addossarci noi stessi. Al momento della sua condanna al rogo come eretica Giovanna D'Arco esclamava: “Tenete la croce in alto, perché io possa vederla anche attraverso le fiamme” Anche in quel caso le avrebbe guadagnato la vita.

 

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