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TESTO Commento su Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20-24.27; Mt 20,1-16

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/09/2017)

Vangelo: Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20-24.27; Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

La XXIV domenica ci presenta un vangelo molto impegnativo per il vissuto di ciascuno di noi, quando leggiamo i seguenti passi: “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” e poi “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.”
Porre la questione del perdono in termini quantitativi che non in termini qualitativi, è una impostazione “di non senso”, e Cristo lo fa rilevare proprio con quanto sopra riportato, che evidenzia più un richiamo a uno stile, a una qualità del perdono, che passa unicamente dall'Amore.
Piace ancora una volta rilevare che Cristo con quel “così come” e quel “di cuore” non lascia scorciatoie o interpretazioni; parole dure come un macigno, ma che sono le misure con cui ogni volta dobbiamo confrontarci nel dare e ricevere il perdono...e se le parole hanno un peso, beh “perdono”, lo sanno tutti, è formato da “per/dono”, e per quel che risulta un dono è sempre gratuito, lo si da e lo si riceve con gioia, senza condizioni.
“Plenitudo legis es dilectio” (Compimento della legge è l'Amore) dice San Paolo a significare che il perdono con la P maiuscola deve essere incondizionato, gratuito, totale, senza condizioni, senza riserve e senza misura. Questo vale soprattutto per tutti coloro che pensano di essere a posto nel perdono con la frase “io perdono, ma non dimentico”.
E allora se il ragionamento quotidiano fosse come quest'ultimo, ci sarebbe da chiedersi come sarebbe la vita familiare se non fosse avvolta in quel perdono che fa i conti con la diversità e spigolosità dell'altro? Le statistiche parlano chiaro: quanta percentuale di quella che riguarda le coppie che si separano o divorziano - nel breve giro di poco tempo dopo il “Sì” sponsale - potrebbe ridursi se le stesse avessero saputo darsi il perdono con stile cristiano e non solo umano? Quante famiglie avrebbero potuto evitare lo sfascio - dopo lungo tempo da quell'accolgo ogni giorno della mia vita, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia - se avessero saputo accettarsi donandosi ogni giorno il perdono dell'amore?
Infine interessante la formulazione di Cristo per definire l'altro soggetto del nostro perdono: “ciascuno al proprio fratello”; Cristo non dice “fratello” come termine generico, ma “ciascuno al proprio fratello”, perché vuole evidenziare che il perdono non è un'azione “collettiva”, ma il perdono è personale, intimo, privilegiato, senza intermediazione. In tutta la sua vita Cristo ha cercato e voluto la relazione esclusiva, personale, intima con la persona, anche quando la moltitudine si accalcava intorno, per donare la sua guarigione spirituale e quindi, poi, quella fisica. Forse, e dico forse, l'unico caso di perdono “collettivo” lo possiamo leggere al momento della sua morte in croce quando esclama: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”...
Quindi, concludendo, quando perdoniamo, come Cristo ha fatto con ognuno di noi, ma soprattutto quando lo facciamo di cuore, ricordiamoci delle parole: “non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette!”, cioè SEMPRE!

Domande
- Per me come singolo, quanto mi lascio influenzare da un perdono buonista?
- Per me come famiglia, quanto so donare la misericordia dell'accettazione verso colui/colei che ho accolto nella vita, per sempre?
- Per me come comunità, quanto so applicare la virtù della pazienza e del perdono verso coloro che seminano più zizania che opere buone?

Mariagrazia e Claudio Righi CPM di Pisa

 

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