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TESTO Un cuor solo e un'anima sola

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/08/2017)

Vangelo: Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,13-20

In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Coltivare la nostra fede individuale nel Signore a prescindere dagli ausili normativi della Chiesa, pregare rivolgendosi a lui direttamente e meditando la sua Parola con premura individuale è ciò che si raccomanda spesso ed è anche all'origine della nostra edificazione spirituale. Vivere la propria spiritualità nella sfera individuale è molto importante, soprattutto perché aiuta ad esercitare creatività e disinvoltura nei nostri rapporti con Dio. E' importante e molto conveniente, tuttavia non sufficiente ed esaustivo. Occorre infatti vivere la nostra fede anche in ambito comunitario, condividendo le nostre risorse spirituali con i fratelli e sentendoci vincolati da un senso di comunione con loro. Occorre insomma integrarsi anche in un contesto comunitario nel quale vivere la condivisione e l'unità, nel quale sentirsi coesi in “un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo”, per condividere un solo Dio che è al di sopra di tutti ed è presente in tutti.”(Egf 4, 4) e del resto il Signore ha manifestato non soltanto di rivelarsi al singolo uomo, ma anche di scegliersi un popolo fra tutti, una comunità nella quale espletare il suo Regno. Sebbene sia importante dunque che ciascuno viva la sua personale esperienza con Dio, è indispensabile che ci sentiamo membra di un unico Corpo, formando “un cuor solo e un'anima sola” e che siamo perfetti nell'unità e nella concordia, affinché la nostra fede non diventi puro soggettivismo preferenziale, mero esercizio di personali convinzioni, ma che ci uniformiamo a un solo Signore e a una sola condotta di vita. Dove non c'è unità d'intenti c'è dispersione e confusione e personalizzare un'unica fede comporta disorientamento anche per coloro ai quali dobbiamo testimoniarla. Questo si evince del resto dal proliferare di Comunità e movimenti religiosi alternativi di natura multiforme che ha interessato il mondo protestante e non cattolico: la convinzione del “libero esame “della Scrittura, la mancata uniformità in fatto di dottrina e di fede, l'assenza di una centralità normativa ha determinato il moltiplicarsi di scismi e separazioni intestine fra le varie chiese protestanti.

La chiesa cattolica professa invece di essere Una, con il duplice significato di Unica (Unica chiesa voluta da Cristo) e di Compatta e uniforme nella fede, professante cioè una sola dottrina, perché non si verifichino ambivalenze, confusioni e dispersioni. In tal senso la Chiesa è anche comunione. E' stato lo stesso Cristo a voler garantire l'unità della Chiesa, istituendo un ministro visibile che fungesse da suo Vicario nella guida universale del popolo di Dio. Prima di ascendere al Cielo, Gesù Cristo aveva infatti promesso ai sui discepoli che sarebbe rimasto con loro “fino alla fine del mondo” e che avrebbe provveduto lui stesso, nella forma invisibile, a promuovere la comunione e la missione di annuncio nella Chiesa attraverso il ministero degli apostoli. Aveva però affidato a Pietro particolarmente il compito di “confermare i fratelli”(Lc 22, 32) nell'unità della fede, di pascere il gregge di Dio e di mantenerlo sempre unito nella verità. In questo brano evangelico odierno si nota come espressamente Gesù conferisce a Pietro il “potere delle chiavi”, cioè l'esercizio della custodia dell'unica Chiesa universale. A Pietro sarà affidato il non facile compito di guida visibile di tutto il gregge di Dio e nel suo ministero vi sarà sempre la presenza invisibile di Cristo. Perché noi tutti perseverassimo in un'unica fede e in un solo Battesimo era importante che Cristo ci affidasse tutti ad un Pastore visibile, perché proprio attraverso espedienti umani, immediati e di umana comprensione è possibile radicarci nella verità. Ed era altrettanto importante che “fino alla fine del mondo” questo Pastore visibile avesse dei successori, di fatto presenti nella persona del papa.

Senza un riferimento normativo propriamente detto, senza una comune disciplina e un orientamento concreto intorno alle verità in cui credere, e in assenza di un ministro terreno che di volta in volta ce le riproponga adattandone l'attualità ai tempi odierni, si rischia di precipitare nel soggettivismo, nel relativismo etico e nell'individualismo, di personalizzare la fede con le conseguenze dannose di dispersione e di confusione babelica. E per questo che l'importanza di una centralità visibile quale quella del papa è riconosciuta anche in ambito non cattolico. Non perché si voglia dare importanza alla persona umana del pontefice e dei vescovi suoi collaboratori in quanto tali, ma perché è determinante che vi sia tangibile uniformità nella professione della Verità rivelata.

Certamente la prerogativa dell'unità e dell'uniformità è appannaggio dello Spirito Santo, la cui opera è sufficiente ed esaustiva; non vi è dubbio che, sempre in forza dello stesso Spirito, nostro Signore Gesù Cristo non farà mai mancare il suo sostegno il giusto orientamento e che la sua presenza invisibile è certa e sufficiente già in se stessa, ma la guida visibile di un soggetto preposto alla nostra cura spirituale, che si esprima in termini umani facendosi latore del messaggio divino di salvezza, è ugualmente necessaria perché ci radichiamo nella verità, soprattutto per la fragilità e le debolezze che ci caratterizzano come uomini, tendenzialmente propensi a vagare come pecore senza pastore. Se al presenziare di malattie e di disturbi volessimo disporre delle nostre sole competenze, certamente non otterremmo mai guarigione o cura appropriata, perché saremmo guidati da fale certezze puramente soggettive, da personali convinzioni non legate alla realtà. Così pure, interpretare la Scrittura con esagerato individualismo, al di là di ogni normativa esegetica e di qualsiasi forma di disciplina comporta che ci asserviamo inevitabilmente a personali convinzioni spesso deleterie. Lo stesso Pietro, Vicario di Cristo, suggerisce invece che “nessuna scrittura profetica è soggetta a privata spiegazione”(2Pt). Ottenere il perdono dei peccati con il semplice ricorso alla “confessione individuale” prescindendo dal Sacramento della Riconciliazione è fin troppo semplice e meschino e addirittura può costituire, in certi casi, serio pericolo: l'assenza di un giudice e di un maestro visibile, che ti aiuti a discernere adeguatamente fra ciò che è bene da ciò che è male, può condurti ad errori irrimediabili di presunzione, con la conseguenza di personali interpretazioni erronee. La convinzione di poter prescindere dalla guida ministeriale, l'assenza di norme oggettive e di disposizioni magisteriali che regolino ogni condotta ingenera non di rado false sicurezze, inducendoci a relativizzazioni perniciose.

Cristo ha voluto invece che noi fossimo “perfetti nell'unità”, cioè nella concordia e nella comunione e che nulla ci disorientasse, tantomeno le false sicumere personali. Per questo motivo ci ha affidati al ministero di Pietro e dei suoi successori (i pontefici) a loro volta coadiuvati dai vescovi, successori degli apostoli e riconoscere nei nostri pastori la presenza operante del Cristo è il vero esercizio della nostra fede.

 

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