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TESTO Commento su Mt 14,13-21

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Trasfigurazione del Signore (Anno A) (06/08/2017)

Vangelo: Mt 14,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 17,1-9

1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Il capitolo 14 dell'Evangelo di Matteo inizia con il racconto di una tragedia. Giovanni il Battezzatore è in prigione. Erode, il governatore della Galilea, lo aveva messo in catene perché - con la franchezza dell'uomo di Dio - il profeta non aveva taciuto di fronte alla sua condotta provata non certo irreprensibile. Poi, cedendo ai capricci della figliastra, che aveva danzato davanti a lui e ai suoi commensali, lo fa uccidere e ne consegna la testa alla ragazza, quale macabro trofeo.
Gesù viene a conoscere questo fatto ed è intuibile il dolore che egli prova. Sente il bisogno di stare solo, di fuggire lontano, in barca, sul lago... Ma la folla che lo segue non si rassegna e lo raggiunge, a piedi, facendo il giro del lago. E a mani vuote. Ha fame del suo annuncio di liberazione: i poveri hanno sempre fame di una parola di liberazione.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati...(14)
Pur in preda all'angoscia per la tragica morte del cugino, Gesù si rituffa nella comunità. I poveri non possono aspettare. Non rimuove il suo dramma: lo colloca all'interno di un dramma più vasto che attraversa le latitudini e le longitudini e lo spessore storico dell'umanità. Vi entra dentro, assumendo su di sé la pena del mondo, del "suo" mondo, il mondo dei poveri. La preoccupazione per la comunità diventa prioritaria rispetto a ogni altro sentimento: non la piccola comunità, esclusiva, fatta di "eguali", nella quale mi trovo bene, e in cui sono possibili quei processi di compensazione affettiva che tutti cerchiamo, e dalla quale Gesù strappa bruscamente coloro che hanno assistito sul monte alla sua trasfigurazione e che vogliono costruire tre tende, per godere all'infinito di un'oasi di beatitudine e di appagante felicità. Dal monte, invece, occorre scendere e inserirsi nelle tormentate correnti del mondo. Nella comunità così come essa è: la comunità che esprime una fatica da condividere e da guarire; la comunità degli storpi, dei malati, degli affamati. La fame, appunto. È sera e la folla ha fame.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare» (15-16).
Su questo miracolo della "moltiplicazione dei pani e dei pesci" abbiamo costruito un'intera annata di "Famiglia Domani", tante sono le implicazioni che esso contiene per la coppia e la famiglia. In questo "Voi stessi date loro da mangiare" si trova il significato vero di un "miracolo" che Gesù ha compiuto trasformando cinque pani in cibo per migliaia di persone. Lo si ritrova un momento prima e un momento dopo quel gesto che stravolge le stesse leggi fisiche e le nostre incrollabili certezze scientifiche e positiviste. Non c'è nulla di magico, né di sacrale in quel gesto. Forse abbiamo sempre dato troppo risalto al gesto della moltiplicazione dei pani e troppo poco a quello della divisione, cioè della distribuzione. "Pensateci voi...". Se il cristiano, se la nostra famiglia, si sforza davvero di conformare la propria vita all'Evangelo dei poveri, a questa Parola la cui forza eversiva non scopriremo mai abbastanza, la politica e l'economia non potranno più essere il luogo in cui si consumano le più bieche solidarietà reazionarie, come stiamo osservando nei vari "G20" e nei mega incontri europei e mondiali, ma l'ambito privilegiato in cui il cristiano, e la famiglia che vuole fregiarsi questo aggettivo, ma non in quanto cristiani, semplicemente in quanto esseri umani, si trovano coinvolti insieme con tutti gli altri uomini e con tutte le altre donne in un faticoso progetto di cambiamento. Radicale.
...Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla (18).
Noi che spesso ci scandalizziamo perché la percentuale di coloro che partecipano alle nostre Eucaristie diminuisce sempre più, facciamo davvero tutto quanto ci è possibile per entrare nello spirito del ringraziamento, della messa? Sappiamo spezzare il pane, la parola, la vita con tutti?
Se non ritroviamo una circolarità effettiva, concreta, storica, non solo intellettuale, tra i gesti della messa, nella quale si spezzano la Parola e il pane, e i gesti della vita, la nostra religiosità sarà sempre vuota, priva di un afflato vitale. Se questa è la nostra "religione", il nostro "sacro", privi di un contenuto esistenziale talvolta addirittura urticante, allora questa religiosità e questo sacro sono alienanti: da essi possono dipanarsi tutti gli esiti, anche quelli oppressivi e violenti.
Anche la danza di Salomè, la giovane figlia di Erodiade, è in fondo una danza "sacra", ma dall'esito tragico.

Traccia per la revisione di vita
- Che cosa significa per la nostra famiglia essere "religiosi"? L'adesione formale ai riti e alle pratiche religiose, oppure la cura amorosa per coloro che soffrono, che piangono, che sperimentano sulla loro pelle la fatica del vivere?
- Siamo rassegnati all'ingiustizia, al dolore di tanti nostri fratelli, oppure siamo disponibili a mettere in atto azioni concrete di condivisione e di solidarietà?
- Siamo convinti che anche le scelte politiche delle famiglie credenti devono essere orientate a favorire la giustizia a tutti i livelli dell'esistenza, a promuovere la dignità dei soggetti umani, a contrastare con forza ogni sfruttamento e ogni privilegio?
- Siamo disponibili a farci interpreti di questi sentimenti e di realizzarli anche all'interno della comunità cristiana?

Luigi Ghia Direttore di "Famiglia Domani"

 

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