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TESTO La fede: un dono per chiunque lo voglia

mons. Roberto Brunelli

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/07/2017)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Il brano odierno del vangelo (Matteo 11,25-30) si apre con un'espressione solenne che non si riscontra in nessun'altra parte della Sacra Scrittura: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli". Dunque, il creatore e padrone del cielo e della terra, infinitamente superiore a noi, si abbassa sino a farsi conoscere dalle sue creature. Tuttavia rivela "queste cose" (cioè il senso e il valore del suo Regno, il messaggio di Gesù, insomma la fede) non agli uomini pieni di sé, ma ai "piccoli".

Per capire questa sorprendente preghiera pubblica occorre ricordare che essa si colloca tra ripetuti episodi di rifiuto di Gesù: indifferenza o aperta ostilità gli erano venute dalle ricche città del lago di Tiberiade, dai farisei che si ritenevano perfetti nella pratica religiosa, dai capi del popolo preoccupati del loro potere. Essi non hanno capito quello che invece è stato concesso ai "piccoli", termine che nel linguaggio biblico non si riferisce all'età o alla statura: piccoli sono i semplici, gli umili, i poveri nello spirito, quanti sono disponibili ad accogliere come un dono le attenzioni di Dio. Sono loro a "capire" davvero le cose di Dio, dice Gesù.

Evviva! Duemila anni di cristianesimo hanno conosciuto tanti uomini geniali nell'approfondimento della fede -- ricordiamo l'apostolo Paolo, e con lui Agostino, Dante, Tommaso d'Aquino, Pascal e uno stuolo d'altri -- ma avvertiremmo come un'ingiustizia se la fede fosse solo per loro. Di più: chi è aperto a Dio, pur se è analfabeta e magari stenta a combinare il pranzo con la cena, è provato che a volte capisce meglio di un filosofo saccente, di un politico ambizioso, di un ricco in ansia per la sorte dei suoi beni. La somma giustizia di Dio dà a tutti la possibilità di capire l'essenziale, e cioè che egli ci ama; ciascuno poi, secondo le proprie capacità, potrà ampliare e approfondire il messaggio. In certo modo si verifica sin d'ora quello che Dante dice del paradiso, dove egli immagina diversi gradi di beatitudine ma senza che chi ne ha meno patisca invidia per chi ne ha di più, perché tutti ne hanno quanta ne possono recepire. Nel rapporto tra l'intelligenza e la fede che ad essa si rivela, è stato usato un paragone: se gli uomini fossero bicchieri si presenterebbero di diversa capienza; importante non sarebbe la quantità di ciascuno, ma che siano tutti colmi, e tutti dello stesso buon vino.

La lode di Gesù al Padre implica un'altra considerazione: la fede è adesione a Dio che si rivela, per suo dono, senza alcun merito umano. In proposito, a volte si sente dire, magari con accenti di sincero rammarico: "Se la fede è un dono, io non l'ho ricevuto". Ma le cose non stanno in questi termini; Dio non fa differenze, si dona a tutti quanti sono disponibili ad accoglierlo. Chi ritenesse di essere stato escluso, dovrebbe in realtà esaminare bene se stesso; forse è lui, per la presunzione di ridurre anche Dio entro i limiti della propria intelligenza, o perché troppo preso da altri interessi, ad avere chiuso Dio fuori dalla porta della propria mente e del proprio cuore. Se si vuole incontrare Dio, bisogna farsi "piccoli"; bisogna rinunciare all'orgoglio di ritenersi regola a sé stessi; bisogna non farsi assorbire dalle cose che passano, quelle che affascinano ma anche quelle che inquietano.

Bisogna, soprattutto, capire che accogliere Dio nella propria vita non significa sottostare a una serie di vincoli e doveri limitativi della nostra libertà. Significa invece trovarla davvero, la libertà, che è autentica solo quando si volge al bene; significa trovare quella pienezza di vita che si può intuire paragonandola, su un piano puramente umano, a un rapporto di autentico amore. Accogliere Dio nella propria vita significa sperimentare in pienezza la sensazione esaltante che si prova quando si ama, sapendo di essere riamati.

 

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