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TESTO Cibo per i peccatori, non premio per i buoni!

don Alberto Brignoli  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (18/06/2017)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,51-58

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Tra le varie accuse che gli imperatori romani muovevano ai primi cristiani per poterli condannare a morte, c'era pure quella di cannibalismo, o meglio ancora di "teofagia", che significa "cibarsi di Dio". Riferendosi, infatti, alla Messa, durante la quale i cristiani si cibano del corpo e sangue di Gesù, gli antichi romani vedevano in questo un rituale macabro che richiamava culti ancestrali, nei quali i sacrifici umani erano frequentissimi; e quando a essere sacrificato era qualcuno appartenente a una casta nobile o regale, cibarsi del suo corpo significava assumere dentro di sé parte della sua forza, della sua natura semidivina. La nostra fede sa bene che questo non riguarda l'Eucaristia: eppure, quest'accusa si fondava non solo sull'osservazione della pratica liturgica dei cristiani, ma anche su alcuni testi evangelici, ad esempio quello che abbiamo ascoltato oggi.

In seguito alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni diviene una grande catechesi eucaristica, alternativa e complementare al racconto dell'ultima cena, in cui Giovanni, a differenza degli altri tre evangelisti, non parla affatto dell'istituzione dell'Eucaristia. Ebbene, in questo discorso, l'opposizione delle autorità giudaiche all'insegnamento di Gesù è molto forte, e si deve al paragone che Gesù fa tra il pane di vita da lui donato ai credenti con il dono di sé, e il pane che Dio diede al suo popolo nel deserto, attraverso il dono quotidiano della manna. Non solo Gesù osa presentarsi dicendo per ben quattro volte "Io sono il pane" (Io sono per il pio ebreo è il nome stesso di Dio, impronunciabile e irripetibile), ma addirittura sostenendo che mentre la manna, pur essendo dono di Dio, era un alimento destinato a perire, il pane che egli dà assicura, a chi se ne ciba, la vita eterna. Se la manna alimentava il popolo nel deserto in quanto dono del Dio "Io sono", Gesù alimenta il popolo della nuova alleanza con una manna che non è solamente un dono di Dio, ma Dio stesso, il Dio "Io sono" fatto carne e ossa proprio in Gesù. Gesù continua a essere il pane del cielo, simile alla manna del deserto: ancor più, quel pane è lui stesso, per cui, mangiando l'Eucarestia pane del cielo, noi ora ci cibiamo di lui.

Non è l'omelia, il luogo per fare una catechesi sulla transustanziazione, mistero talmente grande per cui mangiamo pane e beviamo vino, ma in realtà assumiamo Cristo vivo nel suo vero corpo e nel suo vero sangue dentro di noi. Quello che mi preme sottolineare è proprio la forza delle affermazioni di Gesù, quelle che nei primi secoli erano definite espressioni di cannibalismo, mentre per chi crede sono il livello più alto dell'Incarnazione, "la fonte e il culmine della vita cristiana", come la definì il Concilio Vaticano II. Il termine "mangiare" usato da Giovanni esprime non solamente l'ingestione di un alimento per sopravvivere, ma indica proprio l'atto del mangiare come assimilazione, assunzione, masticazione, sensazione di gusto di ciò che passa attraverso la nostra bocca: e tutto questo, per affermare un concetto semplice, così semplice da venire spesso dimenticato, ossia che l'Eucarestia, il fare la comunione, rappresenta l'assimilazione totale, profonda, di Cristo con la nostra vita, attraverso la quale non siamo più solo noi a trasformare lui in alimento che ci dà la vita, ma è lui a trasformare la nostra vita in vita eterna. E con vita eterna (lo dicevo già qualche domenica fa) Giovanni non intende la vita che verrà dopo la morte, ma la nostra vita di ogni giorno, incarnata nella realtà, attenta alle necessità dei fratelli con un'intensità e un'abbondanza tale che pare davvero non finire mai. Questa, secondo me, è la vita eterna che Cristo pane del cielo ci dona la possibilità di vivere.

Ogni sacramento, attraverso un segno terreno, materiale, concreto, visivo, è per il cristiano segno efficace della grazia di Dio operante nella nostra vita. Ma se dovessi indicarne uno più salvifico proprio perché più terreno, più aderente alla realtà, più quotidiano degli altri, questo è proprio il mangiare di Dio con noi, l'Eucarestia, vissuta però non come un dono celestiale dato in premio a chi ha una vita "celestiale", talmente "perfetta" da rimanere staccata dalla realtà per paura di infangarsi con essa. No, l'Eucarestia non è un premio per i perfetti: l'Eucarestia è un dono per gli umani, un dono che va masticato, mangiato, assimilato, gustato con tutta la nostra umanità, piena zeppa di imperfezioni e di miserie umane, ma anche di tante bellezze e ricchezze personali che il Pane di Vita è capace di trasformare in qualcosa di sublime e di divino.

Non, quindi, un premio per i giusti da ricevere solo quando "non si hanno peccati" (che bisogno hai di Eucaristia, se sei già senza peccati?), così da accogliere l'ostia consacrata in un corpo e in un'anima "puliti", puri e liberi da ogni peccato; bensì, un alimento di vita eterna che, fattosi una sola cosa con la nostra umanità nella più totale e definitiva incarnazione con l'umano, ci trasforma in qualcosa di sublime e di divino, e questo nonostante o forse proprio a partire dalle nostre miserie umane.

Mi piacerebbe, un giorno, non sentire più alcun cristiano dire: "Non ho fatto la comunione perché non ero degno che Gesù Eucaristia entrasse in me". Piuttosto, ringraziamo continuamente Dio, che nonostante le nostre bassezze, le nostre infedeltà e i nostri limiti, accetta di farsi alimento per la nostra vita, accetta di farsi assimilare da noi, da ogni cellula del nostro corpo, qualunque sia il nostro grado di dignità, per trasformarci in membra vive del suo Corpo.

 

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