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TESTO Commento su Matteo 10,26-33

fr. Massimo Rossi  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/06/2017)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Per ben quattro volte, in poche righe di Vangelo, Gesù menziona la paura: paura degli uomini; paura di chi uccide il corpo; paura di non valere abbastanza; paura di perire nella eterna Geenna.

Le prime tre citazioni sono altrettante esortazioni al coraggio; la quarta è invece un avvertimento contro chi pensa a salvarsi la pelle, ma trascura l'anima...

Il contesto nel quale Gesù parla agli apostoli - non a tutto il popolo, ma soltanto ai Dodici - è organizzato da Matteo in forma di discorso, il secondo, dopo quello della Montagna.

È il cosiddetto discorso apostolico: per prima cosa, il Maestro di Nazareth sceglie coloro che vivranno con lui, condividendo l'impegno dell'annuncio; dà loro alcuni poteri straordinari, come quello di praticare esorcismi e guarire; consegna il kit delle istruzioni su come si annuncia il Vangelo, dove e a chi.

Infine, da uomo pratico qual è, Figlio di un falegname, che non ama girare attorno alle questioni, detesta l'accademia verbosa e ipocrita, e soprattutto non indora la pillola, (Gesù) dichiara apertamente agli Apostoli che la loro missione non sarà propriamente una gita in barca...

Non tutti ascolteranno, non tutti si convertiranno; non tutti accoglieranno pacificamente e docilmente la (nuova) dottrina cristiana, specie in quelle parti che innovano profondamente prendendo le distanze dalla tradizione (religioso/morale) ebraica: "Avete inteso che fu detto (...), ma io vi dico (...)."
I Dodici potrebbero addirittura rischiare la vita!

Evidentemente Gesù presagiva il suo destino, e lo avrebbe ripetutamente annunciato a suo tempo; non subito, però - scelta prudente! -. Ma di questo parleremo domenica prossima.
Dunque, la paura.

Non dobbiamo trascurare che i Vangeli vennero scritti durante la grande stagione delle persecuzioni, e ambientati settanta anni prima (cioè ai tempi di Gesù).

Mi preme ricordarlo, perché, paradossalmente, i Dodici, tutto potevano avere, tranne che paura; almeno nei primi mesi della loro vocazione, quando il Signore godeva di grande stima presso il popolo: tutti lo cercavano, tutti facevano a gara per toccarlo, parlargli, farsi vedere in compagnia di lui... Il trend sarebbe cambiato, lo sappiamo, alla fine della parabola terrena del Messia.

Ma nulla lasciava presagire ciò che si sarebbe scatenato contro la Chiesa nascente, all'indomani della Pentecoste: la paura divenne la compagna fedele dei cristiani della prima, seconda e terza generazione, dal momento che i tradimenti, le delazioni contro di loro erano all'ordine del giorno nella società; potevano avere origine dovunque: in famiglia, sul posto di lavoro, tra i capi, tra i servi, i commilitoni dell'esercito, gli avversari politici; e naturalmente negli ambienti religiosi giudaici e non: ci si vendeva gli uni gli altri per un tozzo di pane, per pochi spiccioli... proprio come Giuda vendette Gesù per trenta miserrimi denari.

Per i primi tre, quattro secoli, credere in Cristo poteva costare la vita... sfido che avevano paura!

E questo lo sappiamo tutti, fin da quando eravamo alle Elementari e studiavamo l'Impero romano.

Un autorevole commentatore dei Testi neotestamentari ha recentemente richiamato il fatto che, in fondo, non c'era da stupirsi se il messaggio cristiano suscitasse e ancora susciti una così accesa polemica: il vecchio sacerdote Simeone, colui che aveva accolto nel tempio Maria, Giuseppe e il bambino, aveva profetato: questo bambino "è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israel, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori..." (Lc 2,34-35).
Dunque segno di divisione, anziché di unione.

Il primo evangelista sottolinea la durezza delle parole del Signore che parla ai primi missionari: il Figlio di Dio esige un'adesione totale e indivisibile alla sua persona: la comunione con Lui dev'essere preferita anche ai vincoli umani più sacri.

Il Messia non chiede di amare la croce per se stessa; la croce è e resterà sempre un male!

La proposta, forte e chiara è quella di seguire Cristo senza opporre condizioni, anche a costo della vita. Del resto, la perdita della vita terrena ha come contropartita l'ingresso in una vita eterna.

Il testo si può riassumere in poche parole: Gesù non ammette mezze misure, né compromessi in coloro che scelgono di aderire a Lui. I cristiani tiepidi sono una grossolana contraddizione!!

Un ultima cosa: "Due passeri non si vendono forse per pochi soldi? Eppure neanche uno di essi cade a terra senza che il Padre vostro lo permetta.": la breve sentenza è da maneggiare con estrema cura, onde evitare errate interpretazioni integraliste, fondamentaliste, del tipo: "Non si muove foglia che Dio non voglia!".

Nel medioevo la filosofia cristiana distingueva la causa prima, la volontà di Dio, dalle cause seconde, le leggi che regolano la natura, delle cause umane, imputabili ai nostri comportamenti. Tutte si possono definire cause, ma non allo stesso modo: esiste una causa materiale, esiste una causa efficiente, ed esiste una causa finale. Ognuna agisce secondo meccanismi propri e con una certa autonomia.

Utilizzando le riflessioni di Richard Leonard, brillante teologo gesuita contemporaneo, autore di una gustosa riflessione sull'origine del male e della sofferenza, dal titolo: "Dove diavolo è Dio? come conservare la fede davanti alla sofferenza", concludo così la riflessione sul Vangelo di questa XII Domenica:

"Dio non ci invia direttamente dolore, sofferenza e malattie. Dio non ci punisce (in questa vita). Dio non ci manda le disgrazie per insegnarci qualcosa, anche se indubitabilmente dalle disgrazie si impara qualcosa. Dio non vuole terremoti, inondazioni, siccità, o altre calamità naturali. Con la preghiera noi chiediamo a Dio di cambiarci, affinché noi possiamo cambiare il mondo. Il volere di Dio è più nel quadro d'insieme che non nei dettagli. Dio non ebbe bisogno del sangue di Gesù. Gesù non venne soltanto «a morire», ma Dio usò la sua morte per annunciare la sconfitta della morte. Dio ha creato un mondo non proprio perfetto, in cui le sofferenze, le malattie e il dolore sono realtà; diversamente sarebbe il paradiso. Ma alcune di quelle realtà siamo noi a crearle e poi ne incolpiamo Dio. Dio non ci uccide" - ma, aggiungo io - ci ha salvati in Cristo dalla morte eterna.

 

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