PERFEZIONA LA RICERCA

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Come pietre della grande cattedrale

don Angelo Casati  

Pentecoste (11/06/2017)

Vangelo: Gv 14,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,15-20

15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Erano state le sue ultime parole, secondo il vangelo di Luca, ultime parole di Gesù, nella stanza al piano superiore, prima di uscire verso Betania ed essere trasportato su in cielo. Aveva detto loro: "Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso, ma voi restate in città, fin che non siate rivestiti di potenza dall'alto".

Mi sono chiesto che cosa mai avranno immaginato i discepoli: in quali modalità sarebbe stato loro mandato lo Spirito? E che cosa avrebbe significato per loro "essere rivestiti di potenza dall'alto"? La lettura dal libro degli Atti ci ha raccontato con segni l'evento, avvenuto nel giorno della Pentecoste ebraica. Luca lo racconta evocando le immagini antiche delle teofanie di Dio sul monte, e scrive di un fragore come di vento, che si abbatté impetuoso e riempì tutta la casa, scrive di lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro.

Tutti cogliamo somiglianze, ma anche dissomiglianza con le antiche manifestazioni di Dio sul monte. Il monte nei racconti antichi sembrava evocare quasi una inaccessibilità, Dio sul monte, ma il popolo lontano, alle falde del monte. Qui siamo in una semplice stanza al piano superiore, in una delle tante case di una città. Là a irraggiarsi della luce del divino un uomo solo, di nome Mosè, qui a portare segni di luce uomini qualunque. Là a parlare, a nome di Dio, un mediatore, qui a parlare tutti.

Il testo dice: "Tutti furono colmati di Spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi". Giustamente, dopo la lettura dell'evento narrato dagli Atti degli Apostoli, la liturgia ci chiamava oggi a un atto di stupore, suggerendo, alla salmodia, questa esclamazione che dovrebbe attraversare oggi i nostri cuori: "Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra!".

Voi mi capite, è la rivoluzione dello sguardo. Tu guardi la terra e non fai lamento quasi fosse l'anticamera del vuoto. Osi - nonostante tutto, quasi da bastiancontrario - dire che la terra è piena dello Spirito. Forse non abbiamo occhi, questo è il problema. E forse anche per questo, più o meno, siamo sempre sulla difensiva: perché partiamo, nei nostri giudizi e nelle nostre reazioni, dal lamento: dal lamento per la perversità degli umani, per la malvagità della terra, per la nequizia dei nostri tempi. E non accade niente.

Distruggiamo e non edifichiamo, diamo morte e non diamo vita. Mentre lo Spirito è datore di vita: "è Signore e dà la vita" diciamo nel "credo". Non soffoca ma risveglia: risveglia la coscienza, dà a ciascuno un suo dono, un suo modo di essere e di creare, irrepetibile. E, insieme, dona la passione di metterlo a servizio dell'utilità comune. Quasi lo Spirito fosse un amalgama: la tua pietra, per piccola che sia, nella costruzione della cattedrale.

Forse anche per questo, quando ancora mi capitava di andare per monti, mi succedeva di incantarmi davanti ai muri a secco che spesso costeggiano i sentieri che vanno inerpicandosi sui monti, quasi fossero una convocazione di pietre. Anche oggi potrei scrivere:

Nutro veglia di occhi e stupore
per i muri a secco dei monti
e inseguo a ritroso nel tempo
fatica e genio
di chi sul viottolo
che beve il cielo
convocò una ad una
le pietre
e diede paziente
all'una e all'altra
dignità di appartenenza,

gioia di fiorire nel mosaico all'aperto.

Pensando allo Spirito, che ci ha convocati, come pietre, ad uno ad uno e ci ha dato dignità di appartenenza, potrei aggiungere:

Porto veglia di occhi e stupore
per te, o Dio,
che vai convocando
fili d'erba e polvere di stelle.
scroscio di torrenti
strusci di vento
concerti di uccelli,
tenerezze di donne e uomini tenaci,
odori e colori
luci e ombre
di infinite terre
nel muro a secco di un viottolo

che beve l'infinito del cielo.

Sì, è vero, a volte ci prende stanchezza e forse anche noia, ma oggi è giorno in cui sentirci abitati. Abitati e rianimati. Dallo Spirito di Gesù. Che ci fa uscire, ci fa uscire dalle paure. Come fece quel mattino uscire i discepoli dal luogo in cui ancora erano rinchiusi. E il miracolo fu che ognuno li sentiva parlare nella propria lingua. Non una lingua sola, capite, ma la pluralità delle lingue. Che hanno il dono di capirsi.

Anche questo insegna la Pentecoste. Insegna, in una stagione come la nostra che ci mette a contatto con donne e uomini e bambini che vengono da ogni dove. E talvolta può passarci nell'animo il pensiero che l'ideale sia che tutti abbiano la nostra stessa lingua, le nostre stesse tradizioni, la nostra stessa cultura e non invece che l'ideale sia la sinfonia delle lingue, delle tradizioni, delle culture.

La sinfonia che nasce dallo Spirito. Vedete come è urgente che oggi, ma non solo oggi, preghiamo, perché, illuminati e animati dallo Spirito, immaginiamo, progettiamo, costruiamo, pazientemente ma tenacemente, esperienze che riflettano quello che accadde il mattino di Pentecoste, fuori la casa, a Gerusalemme.

Forse - dico forse - dovremmo osare di più. Gesù aveva detto: "restate in città fin che siate rivestiti di potenza dall'alto". Ora siamo rivestiti. Ora sappiamo che la potenza dall'alto, è dentro di noi. Si tratta di crederci e di lasciarla operare. Tra le parole sbalorditive, che un giorno Gesù disse, ce n'è una che ha dell'incredibile. Disse che, proprio perché se ne andava al Padre e avrebbe inviato lo Spirito, chi avrebbe creduto in lui avrebbe compiuto le opere che lui stesso aveva compiuto e ne avrebbe compiuto di più grandi (cfr. Gv 14,12). "Di più grandi": la parola ha dell'incredibile!

Tu puoi fare cose più grandi. Se credessimo allo Spirito, questo dovremmo dire, questo dovremmo fare: non deprimere l'altro, ma incoraggiare. Dovremmo dire, dire sempre: "Tu puoi fare cose più grandi. Tu sei rivestito di potenza. Una potenza che viene dall'alto".

 

Ricerca avanzata  (53993 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: