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TESTO Commento su Atti 2,1-11; Giovanni 20,19-23

Carla Sprinzeles  

Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (04/06/2017)

Vangelo: Gv 20,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tutti sappiamo che "pentecoste" significa letteralmente "cinquanta giorni". La festa con cui si chiude il tempo di Pasqua, affonda le sue radici nella tradizione del popolo di Israele, dove quella di Pentecoste era la festa della fine della mietitura, era la festa in cui ogni israelita si presentava di fronte a Dio per rendere grazie dei doni ricevuti... la gratitudine dopo il lungo tempo del lavoro della semina, l'attesa per mesi che il seme germogliasse, crescesse e il grano arrivasse a maturare, e poi la fatica del raccolto. Non era solo un ringraziamento per il pane, ma per la liberazione dalla schiavitù, la festa della mietitura diventa gratitudine per il pane della terra promessa, del cammino compiuto.
Cinquanta giorni è anche il tempo di Dio: sette volte per sette giorni, il numero sette nella Bibbia è il numero della perfezione: segnano un tempo completo, un tempo di incontro con Dio. Proprio in quel giorno mentre i discepoli sono riuniti per accogliere l'ultima promessa di Gesù, lo Spirito Santo irrompe di nuovo nella storia.... lo stesso Spirito che aleggiava sulle acque al momento della creazione, che diventa soffio vitale per l'uomo, il soffio leggero che accompagna il cammino di chi cerca Dio, quello Spirito invade i Dodici e spalanca le porte a una nuova epoca.
Pentecoste è la festa dei frutti, è la festa del tempo di Dio, unico protagonista che intesse la sua vita con la storia dell'uomo e del mondo, è la festa del nuovo inizio, del tempo in cui chi si fa discepolo del Signore Gesù è chiamato a costruire una nuova comunione con lui e con gli uomini, siano essi i credenti o gli stranieri lontani.

ATTI 2, 1-11
Il simbolo con cui la prima lettura descrive la presenza divina, che crea comunione tra i diversi, unità nella pluralità è il comprendersi di tanti che parlano lingue diverse. Quando Luca scrive il racconto della Pentecoste fa una sorta di percorso a ritroso: a partire dall'esperienza attuale della vita comunitaria fino alle cause che la fondano. La comunità cristiana non nasce da una comunanza di simpatie, di idee, di progetti, ma da un dono che la precede, dall'attività creatrice di Dio che si realizza appunto attraverso il suo Spirito.
La Pentecoste cristiana rappresenta una novità rispetto alla Pentecoste giudaica. La Pentecoste è una festa agricola, la festa del pane: è il ringraziamento a Dio, a cui il popolo offre due pani lievitati. Luca situa il racconto del dono dello Spirito nel contesto di tale festa giudaica: il dono dello Spirito, quale frutto della morte e resurrezione del Signore. Il vento "riempì tutta la casa" e i presenti "furono colmati di Spirito Santo". Il dono dello Spirito risponde alla dimensione dell'universalità. La singolarità della persona di Gesù di Nazareth viene trascesa dallo Spirito che supera ogni limite e barriera storica.
L'atteggiamento umano richiesto per l'accoglienza dello Spirito deve essere in sintonia con il superamento di barriere e di divisioni. I destinatari del dono dello Spirito sono i discepoli che si trovano "tutti insieme nello stesso luogo"; è evidenziata l'unità e la comunione che esiste tra costoro, illustrata visivamente dall'essere nel medesimo luogo, in un unico ambiente.
Lo Spirito che irrompe sui presenti è una potenza creatrice e rinnovatrice. La gente accorre perché ha sentito non solo un forte fragore, ma anche una voce che la chiama e la raccoglie per ascoltare il racconto delle grandi opere di Dio, che hanno trovato il loro compimento in Cristo. Appaiono "lingue come di fuoco": lo Spirito è l'invisibilità e l'ineffabilità di Dio, che si fanno vicine all'uomo. La metafora del fuoco è ricchissima: è strettamente collegato al tema dell'amore, della passione. Lo Spirito infiamma il cuore dei discepoli, che porteranno la parola, la testimonieranno e proclameranno le opere di Dio.
Il quadro di Luca mostra un unico fuoco che si divide in tante lingue: si sottolinea l'unità della sorgente e la stabilità, non è un dono transitorio. L'espressione "parlare in altre lingue" significa che l'evangelo può essere comunicato in tutte le lingue, può raggiungere e trasformare ogni situazione umana. Tante lingue ma un unico messaggio: l'amore di Dio ha ottenuto la sua vittoria piena nella Pasqua di Cristo. In definitiva, nella Pentecoste vengono date dallo Spirito le facoltà per una intelligenza del piano di Dio con l'ascolto e per una comunicazione autentica di quanto si è ricevuto col parlare nelle varie lingue. Grazie a questo dono, si superano le distanze e le barriere e si realizza una comunione che fa della Pentecoste la vera anti-Babele.

GIOVANNI 20, 19-23

Nel Vangelo l'evangelista Giovanni descrive come il mistero della Pasqua di Gesù trovi il suo compimento proprio nel dono dello Spirito. Conseguenza di questo dono sono la "pace" e la "missione". Il Risorto torna a dare fiducia ai suoi, nonostante la loro debolezza: alita su di loro, quasi a comunicare il suo respiro, ma poi chiama i suoi discepoli alla responsabilità di ricominciare un nuovo cammino, al cui centro sta la missione per portare a tutti il perdono riconciliante.
Gli apostoli erano chiusi nel Cenacolo per paura dei giudei. Il giorno della passione del Maestro, erano già fuggiti stravolti e sgomenti. Era gente normale, che temeva per la propria pelle, come tutti noi. Molto bravi idealmente ma di fronte alla minaccia prevaleva la spinta a scappare, quella che chiamiamo l'istinto di conservazione, più decisivo delle prodezze immaginarie precedenti. Pur avendo visto il Signore risorto, continuavano a temere la morte come prima. Piuttosto di esporsi ai rischi della vita, preferivano rimanere al riparo, scegliendo in tal modo, senza nemmeno rendersene conto, la morte.
Poi su di loro era sceso lo Spirito che animava il Risorto. E a un tratto erano diventati capaci di optare per la vita: si erano lanciati ad annunciare la salvezza senza più temere. Lo Spirito dava loro persino la forza del martirio, testimoniando la vittoria del Bene sul male, della Vita sulla morte.
Anche a noi è donato lo Spirito di Cristo. Ci conduce come guidava il Messia durante la sua vita terrena, ispirandoci "gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesù", per offrirci nella nostra realtà, la stessa capacità di operare il bene. Se come gli apostoli restiamo ancora nel Cenacolo, lontani dalle scelte della vita, rintanati nella paura del rischio, è perché non crediamo nella potenza della Vita.
Il centurione ai piedi della croce, quando sembrava tutto perso, aveva aderito vitalmente a Gesù così da dire: "Quest'uomo era veravente Figlio di Dio!"; noi invece non ci fidiamo ancora nella forza della Vita, del Bene più forte del male. Dio ci dà il suo Spirito per vivere come lui, per essere una cosa sola con lui, per aderire al suo modo di essere, di pensare, di amare! Ci riveste della sua stessa capacità di rispondere al male con il Bene della compassione.

Amici, lo Spirito spazza le nostre paure e fa circolare una fiducia nuova nella sua azione in mezzo a noi: accoglienza, fraternità, solidarietà e tenerezza.
Lo Spirito ci fa annunciatori della Buona notizia che Gesù è venuto per i piccoli, per i deboli, per gli indifesi: questo è il messaggio della Pentecoste.

 

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