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TESTO Spinti fuori!

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (07/05/2017)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Leggendo il brano che la chiesa ci consegna in questa quarta domenica del tempo di Pasqua, la prima cosa che mi colpisce è che rispetto all'episodio precedente, quello del cieco nato, non c'è soluzione di continuità. Gesù sta parlando con i farisei, gli stessi ai quali ha appena detto: siete ciechi! Il vostro peccato rimane! Sta parlando a chi ha appena cacciato dalla comunità una persona soltanto perché ha aderito a lui, sta parlando a quelli che definisce ladri, briganti non perché hanno rubato, ma perché pur avendo la ricchezza della Torah, dei profeti hanno tradito la Parola di Dio, ne hanno stravolto il senso e il significato. Si potrebbe dire così: sono persone che rimangono chiuse nel recinto.

Riguardo al recinto. La stessa parola usata da Giovanni, nell'A.T. indica il cortile del Tempio di Gerusalemme e più avanti, l'evangelista la userà per indicare la casa del sommo sacerdote; un termine legato quindi ad un modo di vivere il rapporto con Dio incapace di fare un salto di qualità, legato al sacrificio, legato all'incapacità di riconoscere nella normalità della vita di uomo la vicinanza di Dio. Da quel rapporto è necessario uscire e il pastore del vangelo prima conduce fuori le pecore e poi qualora non tutte fossero disposte le spinge. L'urgenza di uscire da lì verso spazi, si diceva venerdì sera alla preghiera, di vera libertà. Il pastore non ha pace fino a che le pecore non sono uscite: se le mettono in un recinto vuol dire che è un luogo sicuro certo! Ma questo luogo sicuro dice Gesù, va lasciato e conduce, e spinge non in un altro recinto ma in spazi aperti, dove ci si possa nutrire, alimentare di orizzonti nuovi e sconfinati, quegli spazi aperti di cui ci parlava due settimane fa un bimbo delle elementari: preferisco gli spazi aperti don, perché sono quelli dove si ama di più! Mi viene in mente allora la forza con la quale Gesù ha gridato a Lazzaro: Vieni Fuori perché il recinto può diventare un sepolcro, una tomba.

L'importanza della relazione, prima di tutto la relazione. Gesù fonda tutto sulla relazione. La voce, il nome, non lo capiamo ancora ma se leggiamo tutto il capitolo 10 del vangelo di Giovanni incontriamo questa doppia interpretazione che Gesù da di sé: egli è la porta ed è il pastore, del quale ascoltiamo e riconosciamo la voce e qui sembra che basti la voce, non si parla di chissà quali discorsi o proposte più o meno convincenti no, è sufficiente la voce; di più: chiama per nome, (ognuno ha un nome, il nostro nome non è pecore ma, lo sapete, è mie, noi apparteniamo a lui. Attenzione che qui non è questione di possesso, ma, appunto, di appartenenza. Gesù può dire: mie soltanto perché è disposto a dare la vita per loro; la nostra è condizione di persone che possono dire mio, mia, soltanto se sono disposte a dare la vita); prende per mano per condurre (il verbo della creazione, quando Dio conduce all'uomo la donna) fuori, spinge fuori nel caso non avessimo capito bene e desiderassimo ancora stare dentro; cammina davanti (non è tipo da retroguardia Gesù, anzi: apre cammini e inventa strade, è uno persuaso che un sentiero ci sia, sempre!); sento che fa parte della relazione di assoluta intimità anche la disponibilità (e la necessità) a farsi trapassare; se uno entra attraverso di me. Che bello: Gesù è la porta che mi fa entrare nella vita nuova, nella vita di Dio, nella vita che è perdono, disponibilità, servizio, ascolto, comprensione, amore, gratuità, disinteresse, verità, giustizia. Qui posso precisare meglio quello che anticipavo prima: il termine greco usato per dire la parola recinto è aulè che normalmente si riferisce allo spazio che sta davanti al Tabernacolo o al Tempio (Comunità di Bose). La porta che immette nella comunione con Dio allora, non è il Tempio di Gerusalemme, ma Gesù, morto e risorto. La porta può essere strumento di comunicazione o strumento di chiusura all'altro. Questo simbolo ci richiama ad una responsabilità precisa, la responsabilità di scelte che ci è chiesto di fare. O la chiusura o la comunione quindi... Passare attraverso Gesù per stare con Dio è l'unico spazio che può rendere bella e gioiosa la nostra vita. È significativo per me che le traduzioni possibili siano due riguardo la relazione tra la porta e le pecore: Gesù è la porta attraverso la quale posso accedere alle pecore e Gesù è la porta grazie alla quale le pecore possono uscire. Se non passo attraverso di lui il mio avvicinarmi alle pecore sarà solo strumentale e non riuscirò ad avere su di loro lo stesso sguardo di Dio e se non passo attraverso di lui le terrò sempre prigioniere.

Soltanto così ci può essere vita piena, abbondante... scrive E. Ronchi: è la frase della mia fede, quella che mi seduce e mi rigenera ogni volta che l'ascolto: sono qui per la vita piena, abbondante, potente. Non solo la vita necessaria, non solo quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva; vita che rompe gli argini e tracima e feconda, uno spreco che profuma di amore, di libertà e di coraggio. Dio è così, quante volte ce lo siamo detto: la sua misura è non avere misure, la sua misura è manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila persone, pelle guarita non per uno ma dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, il centuplo per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di profumo prezioso di vero nardo per 300 denari. Spinti fuori allora, per una vita senza misura!

 

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