PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Aprite quella porta!

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (07/05/2017)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,1-10

1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

"I cancelli sono sempre aperti, sia per entrare che per uscire": con questa, e con molte altre frasi, varie annate di seminaristi e sacerdoti della nostra Diocesi ricordano un rettore di venerata memoria che, divenuto più tardi loro vescovo, indicava come il Seminario fosse un luogo dove era possibile entrare e uscire (nel senso stabile, definitivo del termine) con la massima libertà. Lui, per la verità, lo diceva soprattutto ricordando che era un luogo in cui si entrava per scelta, senza che alcuno si dovesse sentire poi obbligato a rimanervi. Era anche l'epoca in cui si veniva ordinati "a dozzine" ogni anno (nel mio caso, venticinque anni fa, parliamo addirittura di tre dozzine...), per cui, forse, che qualcuno potesse anche "uscire" da quei cancelli aperti non era un fatto così preoccupante come potrebbe esserlo oggi, dove i seminaristi sono divenuti "merce rara" anche in una Diocesi così clericale come la nostra. Ma sono convinto che anche qualora fosse ancora rettore attualmente, con neppure un terzo dei seminaristi rispetto a trent'anni fa, pronuncerebbe "la frase dei cancelli" con lo stesso significato con cui la pronunciava allora: ossia, che nessuno deve sentirsi "obbligato" a una chiamata vocazionale, ma deve farlo attraverso una scelta coerente, che poi si gioca nella fedeltà della vita quotidiana.

Dico questo non solo per ricordare a me stesso e a noi tutti che oggi celebriamo la Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni; mi sto piuttosto lasciando ispirare da un "cancello", quello di un recinto, di un ovile, che il Vangelo di oggi, Domenica del Buon Pastore, ci presenta come "la porta delle pecore", attraverso la quale si può "entrare e uscire, trovare pascolo" e addirittura "essere salvati". Ciò che rende ancor più suggestivo questo brano è che Gesù - che solitamente identifichiamo con il Buon Pastore, come lui stesso all'interno dei versetti successivi a questi si definisce - parla di sé come di questa "porta delle pecore": una porta da cui si può entrare e uscire liberamente (come quei "cancelli" di venerata memoria...), e proprio in questa libertà poter trovare la salvezza, un pascolo nel quale saziarci, e una vita in abbondanza, motivo per il quale Gesù dice di essere venuto nel mondo.

Certo, una porta da cui si può entrare e uscire liberamente, e attraverso la quale si trova vita, nutrimento e salvezza, non può che essere una porta sempre aperta: nel momento in cui essa si chiude, ci vuole sempre un guardiano che la apre e la chiude, che inevitabilmente fa da filtro, da discriminante, stabilendo chi può entrare e chi no, quando poter entrare e quando no, magari approfittandosene di questa situazione, comportandosi quindi da mercenario che fa questo per mestiere e non per passione, per amore, per vocazione appunto. Se invece alla porta c'è Gesù in persona, perché egli stesso è la porta, possiamo pensare che non ci sia filtro o discriminante, se non quello di essere pecora, e neppure necessariamente del suo pascolo: perché la porta del suo cuore, è aperta a tutti in maniera libera e incondizionata, tanto per entrare quanto per uscire, senza subire coercizioni o forzature.

Sin dall'inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto coincidere il suo servizio di Pastore della Chiesa Universale proprio con questo concetto: una Chiesa "con le porte aperte", dove non ci si senta come di fronte agli sportelli di una dogana dove si viene controllati per vedere se si è "puliti", "a posto", ma dove si possa liberamente accedere per trovare accoglienza, pascolo, servizi, in una parola sola, "vita". Perché, invece, molte delle nostre comunità parrocchiali ci parlano di tutto meno che di vita? Perché in tante nostre parrocchie è difficile trovare una comunità dalle porte aperte, dove tutti possano entrare e uscire liberamente? Perché, se il nostro Maestro non ha mai avuto atteggiamenti di esclusione e di selezione nei confronti di nessuno, dobbiamo noi comportarci come porte che si aprono e si chiudono in base alla qualità delle persone, alla loro carica entusiastica, alla loro vitalità esuberante, a volte chiudendo o lasciando uscire in maniera indiscriminata le persone senza spendere un po' di tempo per loro?

Una Chiesa dalle porte aperte non significa certo, come molti pensano in maniera semplicistica, che gli edifici di culto debbano essere aperti ventiquattr'ore su ventiquattro, come fossero centri commerciali del sacro, da cui ognuno può attingere ciò che gli occorre in qualsiasi momento del giorno o della notte. Significa, piuttosto, che in una comunità parrocchiale tutti si devono poter sentire accolti, di là delle loro idee, della loro storia, del vissuto loro e della loro famiglia, della loro fede, della loro origine o della loro condizione sociale o affettiva, della loro disponibilità economica, della loro frequenza o meno ai sacramenti; significa che ognuno deve avere la possibilità di dare il proprio apporto, in base al poco o molto tempo che ha, in base alle poche o tante capacità che ha, in base ai pochi o tanti mezzi a sua disposizione. Significa pure che come si entra a fare parte della vita attiva della comunità, così si deve avere la possibilità anche di uscirne, quando non si ha più tempo o per mille motivi non ci si riesce più, o si fa fatica o, come purtroppo avviene, non ci si sente più accolti o rispettati: ma questo "uscire" deve avvenire con la stessa libertà con cui si è entrati, senza per questo essere giudicati, tacciati di disfattismo o di menefreghismo o di essere considerati "originali nella testa".

E la libertà di entrare per questa "porta delle pecore" (che più che la Chiesa, è Cristo stesso, non dimentichiamolo) deve avvenire senza avere la sensazione di entrare in un "feudo", in un "baluardo", in un "castello" dove vive gente arroccata, chiusa sotto assedio, diffidente nei confronti di tutto e di tutti solo perché insicura di sé. Una Chiesa che si chiude in se stessa perché si sente bene nella ristretta "cerchia" dei suoi appartenenti, non è certamente una Chiesa come l'ha voluta il Maestro, aperta a ogni uomo e a ogni donna. In ogni Chiesa degna di questo nome, ovvero in ogni comunità, ogni persona deve avere la possibilità di entrare, uscire, trovare pascolo, trovare salvezza, e trovare vita in abbondanza.

Perché il Maestro, nostra Porta e nostro Pastore, è venuto per quello.

 

Ricerca avanzata  (54005 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: