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TESTO Una voce che è possible riconoscere

dom Luigi Gioia  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (07/05/2017)

Vangelo: At 2,14a.36-41; Sal 23; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,1-10

1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Nel ritratto che Ezechiele, Geremia e Zaccaria offrono del pastore atteso da Israele si insiste soprattutto su un aspetto: sarà colui che terrà il gregge unito, perché le pecore hanno tendenza ad impaurirsi, a scappare e così a disperdersi diventando così più vulnerabili. Il ruolo principale del pastore ‘vero' al quale siamo tutti affidati, Gesù, il grande pastore delle pecore, è quindi quello di tener unito il gregge. Chi non si occupa veramente del gregge, il mercenario, non lo sente come proprio, se ne occupa solo perché è pagato per questo: non ha visto gli agnellini nascere, non conosce tutte le pecore per nome, non si preoccupa della incolumità delle più deboli. È come un mercenario, qualcuno che fa le cose solo per soldi, solo per suo vantaggio personale: quando vede venire il lupo lascia le pecore e fugge, e il lupo può impadronirsene e disperderle indisturbato.

Ezechiele rimprovera ai cattivi pastori - cioè ai cattivi re e ai cattivi sacerdoti del suo popolo - esattamente questo: Voi non avete reso forti le pecore deboli. Non avete curato le pecore inferme. Non avete fasciato quelle ferite. Non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. E poi continua dicendo che, per colpa del pastore, le pecore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche, sono sbandate.

A fronte di questa situazione, il Signore decide che il pastore sarà uno solo, vale a dire lui stesso. Il Signore infatti si impegna a venire di persona a pascolare il suo popolo: io stesso avrò cura delle mie pecore e le strapperò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre. Questa immagine profetica si è realizzata in Gesù. È lui il solo "buon" pastore, nel senso che solo lui ci ama davvero e ce lo ha mostrato donando la sua vita per noi: Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. È per questo che lui solo ci conosce, nel senso biblico del termine, cioè ci ama veramente, si preoccupa di noi, ci chiama amici, dona la sua vita per noi. Per questo riconosciamo la sua voce. Il vero pastore, dice Gesù nel Vangelo, è colui del quale le pecore riconoscono la voce. Si "riconosce" solo la voce di chi che ci ama davvero. Riconosciamo la voce di Gesù, perché sentiamo che quello che ci dice è veramente il nostro bene, risponde al desiderio più autentico del nostro cuore. E questo vale in primo luogo per coloro che nella Chiesa sono chiamati a predicare la Parola di Dio, quindi a parlare in nome di Gesù. La loro voce può toccarci, quello che dicono ci può parlare solo se si sono fatti trasparenti a questo amore di Cristo. Solo allora nella loro voce riconosciamo quella di Cristo.

Gesù diventa il buon pastore sulla croce, nel momento nel quale dà la sua vita per amore per noi: È diventato il grande pastore del gregge, il Signore nostro Gesù Cristo, grazie al sangue che ha versato per noi. Sulla croce Gesù apre le sue braccia per stringerci tutti a lui riunirci tra di noi, per darci la vita e farci diventare a nostra volta capaci di spenderci gli uni per gli altri, per farci diventare pastori gli uni degli altri, ciascuno nel suo ruolo, ciascuno secondo il proprio carisma.

Non sono pastori soltanto i presbiteri o i vescovi. Non sono pastori soltanto coloro che sono chiamati ad esercitare un ministero detto appunto ‘pastorale'. Tutti i cristiani sono pastori, perché è prima di tutto in virtù del battesimo che siamo chiamati a dare la nostra vita gli uni per gli altri, a occuparci e preoccuparci degli altri. Tutti i cristiani devono avere la preoccupazione del gregge tutto intero. Quindi ciascuno deve esercitare questo ministero pastorale secondo il proprio carisma, come genitore, come educatore, come uomo politico, come ministro e anche come vescovo o presbitero di una comunità.

Il pastore è semplicemente un ministro, cioè un servitore, un segno, uno strumento dell'unico pastore. E questa è davvero una buona notizia: il nostro unico e vero pastore è Gesù. Coloro che esercitano un ministero pastorale, lo fanno solo in nome di Gesù - e questo vuol dire che allora i loro limiti non sono un ostacolo perché dietro di essi possiamo sempre trovare o cercare di ritrovare Gesù, l'unico pastore.

Il pastore, il ministro, ciascuno di coloro i quali esercitano un ministero pastorale nella Chiesa, non possono farlo con autorità, se non sacrificano sé stessi per le loro pecore, se non donano la propria vita per coloro che amano. Può essere ministro di Cristo-pastore solo colui il quale conosce i fedeli con amore, per nome, in virtù di una comunione di vita, di gioia e di sofferenza. Infine un ministro può essere segno e strumento di Cristo-pastore solo se la sua autorità si fonda sulla Parola di Dio, perché le pecore riconoscono solo la voce del vero pastore, di Cristo, e solo a lui possono veramente obbedire. Chiunque abbia una responsabilità di tipo pastorale nella Chiesa, dunque, deve preoccuparsi prima di tutto di essere unito a Cristo, di intrattenere una relazione di amore con lui, di nutrirsi e di impregnarsi della sua parola, perché solo in questo modo permetterà a Cristo di agire, di consolare, di edificare attraverso di lui.

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Mi guida la tua mano. Omelie sui vangeli domenicali. Anno A", ed. Dehoniane. Clicca qui

 

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