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TESTO Commento su At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno A) (16/04/2017)

Vangelo: At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 20,1-9

1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

"Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti". (At 10,39-41).

Chi lo uccise? Chi uccise Gesù? E se fossimo noi, ognuno di noi, ad averlo ucciso? Pensiero terribile, addirittura tragico, che attraversa tutta la storia, tutta la nostra storia personale, la storia della cultura, la storia delle religioni.
L'uomo pazzo «in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza sosta:... "Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino?". Così Nietzsche, ne "La gaia scienza", introduce il concetto della morte di Dio, un evento che interpella tutti, credenti o non credenti, perché da alcuni questa morte è teorizzata, voluta, da altri temuta, da altri ancora vissuta nella vita quotidiana che non ha più bisogno di un Dio, ma che lo sostituisce con un numero sempre maggiore di idoli.
Eppure oggi noi possiamo proclamare, a dispetto dell'uomo pazzo di Nietzsche, e degli idoli che ci soffocano, che Dio non è morto. Forse è morta qualche sua immagine deformata; è morto provvidenzialmente quel Dio chiamato a testimone dei più orrendi misfatti, delle guerre sempre ingiuste che insanguinano il pianeta, il Dio di chi costruisce muri contro i poveri; il Dio di coloro che non riconoscono Gesù nella folla di disperati che attraversano il mare e che muoiono in mare nella fuga dal loro paese inospitale, negli scarti umani che affollano le nostre frontiere e che vengono respinti; il Dio tappabuchi e vendicativo, che i "laici devoti" evocano spesso per rifarsi una verginità ed una credibilità presso le istituzioni ecclesiastiche, il Dio evocato nelle piazze a sostegno di manifestazioni di forza. Ma il Dio di Gesù Cristo non è morto. Questa è la "buona notizia" di oggi. Perché Gesù è risorto. È giorno di festa e di speranza. Di annuncio profetico, che abbiamo il compito di sussurrare a chi ci vive accanto, e di dono a tutti coloro che umilmente sono alla ricerca, quante volte disperata!, di un senso alla vita.

"Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!» (Gv 20,1-2).

" Era ancora buio...". Anche per Maria di Magdala "era ancora buio", ancorché fosse "di mattino" quando partì per andare alla tomba di Gesù. Possiamo immaginarne l'angoscia, noi tutti che, in vari modi e in varie circostanze, l'abbiamo sperimentata. A Maria di Magdala mancava Gesù. Un'assenza angosciante. L'angoscia è sempre una condizione legata all'assenza di qualcosa o di qualcuno. All'assenza di speranza. Per Maria di Magdala, di quel Gesù in cui lei aveva riposto tutta la sua speranza. Questa donna, profondamente amante, sperimentava, avviandosi verso quel sepolcro che non immaginava certamente vuoto, l'assenza del Signore. Del "suo" Signore. Per lei "era ancora buio", come ancor oggi, forse, per noi tutti.

"Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti." (Gv 20,8-9).

Quante coppie e quante famiglie sperimentano questa assenza! Per molte, forse, Gesù non è mai entrato realmente nella loro vita; allo stesso modo, le loro stesse relazioni di coppia e di famiglia sono rimaste a livello superficiale. Ma siamo in buona compagnia. Anche Giovanni, il discepolo prediletto dal Maestro, si trovava in questa condizione di ricerca, forse di incredulità. È duro porre la speranza in una persona e poi assistere, inermi ed impotenti, al crollo di tutte le speranze. E poi, in fondo, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea non avevano forse composto il corpo del Maestro, con quella pietà triste che accompagna sempre il nostro commiato con una persona amata, in una bella tomba nuova? Anche lui, il discepolo che Gesù amava, aveva perso la fede? O la speranza che è virtù più difficile della fede stessa? Eppure, ci dice l'Evangelo, Giovanni "correva". Correva, dunque, Giovanni, richiamato con Pietro da Maria di Magdala: correva per giungere, primo, al sepolcro. Anch'egli lo vide vuoto. Vide e credette. Sì, è a partire dalla risurrezione che si vede e si crede. È a partire da questo evento che si può - sia pure con fatica, con frequenti interruzioni, con deviazioni di percorso - entrare nella medesima esperienza in cui Cristo è entrato.
Ma, esattamente come Giovanni legge la sua esperienza di discepolo a ritroso, a partire cioè dalla risurrezione del Maestro, così anche noi dobbiamo imparare a leggere la nostra storia personale, di coppia e di famiglia, a partire dal dato ultimo, dalla nostra condizione attuale, confusa e contraddittoria. È il modello ermeneutico proposto da Luca nel brano dei "discepoli di Emmaus", che oggi non leggiamo, ma che pure proietta una luce rivelativa e interpretativa su tutta la scrittura e in particolare su quella che proclamiamo in questo giorno di Pasqua. Dice Gesù, dopo aver ascoltato in silenzio lo sfogo dei discepoli di Emmaus: "...«Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui."(Lc 24,25-27). I nostri occhi, come quelli dei viandanti di Emmaus, che ci piace immaginare come una coppia di sposi, sono incapaci di riconoscere il Cristo. Di lui ci facciamo spesso una concezione falsa, sacrificale, mondana. Molti fra noi si comportano come se Dio fosse morto davvero, come se Cristo fosse morto per sempre e il sepolcro non fosse vuoto. Ma proprio quando ci sentiamo angosciosamente separati da lui, Gesù ci viene incontro e ci aiuta a ri-aprire i nostri occhi, a riconoscerlo. Il Cristo è sempre accanto a noi per spiegarci le scritture, per consentirci di interiorizzarle nella nostra coscienza, non secondo la lettera, ma secondo lo spirito, per renderci docili alla sua parola e lasciarci giudicare da essa, e solo da essa, perché arda anche il nostro cuore mentre egli ci parla.

"Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,1-4).

Alle coppie e alle famiglie vorremmo lasciare oggi questo messaggio semplice e al contempo estremamente impegnativo. La risurrezione interessa ognuno di noi, come straordinaria esperienza interiore, come sorgente di una luce di senso, come capacità di cercare, impegnati a fondo sulla terra, le cose del cielo, lasciando tutto quanto ci ingombra: parole vuote, lusso, cose inutili. Ma questa non è un'esperienza emotiva. "Lasciami, non mi trattenere...", dice Gesù a Maria di Magdala. Non "tratteniamo" Gesù, non facciamone un idolo, ma entriamo con lui in un rapporto adulto, perché anche la fede, come l'amore, non è esperienza emotiva, ma la scelta quotidiana, fatta con una volontà che spesso si ribella, del Cristo sofferente (e se siamo attenti lo troviamo quotidianamente ai crocicchi delle nostre strade...) e risorto (che invece spesso non riusciamo a comprendere e a interiorizzare...). Questo ci obbliga ad accompagnarci con il Dio che soffre con l'uomo, crocifisso con lui, e la cui gloria non sarà piena fino a quando un solo uomo e una sola donna soffriranno a causa di altri uomini o di altre donne.
No, Dio non è morto. E noi vediamo già ora la sua gloria riflessa sul volto di ogni Cristo che soffre e che viene liberato. Questa è la nostra speranza. Questo è il giorno di Cristo Signore.

"Lodate il Signore, nazioni tutte,
popoli tutti, cantate la sua lode.
Forte è il suo amore per noi.
La sua fedeltà dura per sempre.
Alleluia. Gloria al Signore"
(Sal 117).

Traccia per la revisione di vita
1) Ci accorgiamo di coloro che, attorno a noi, vedono ancora buio?
2) La nostra è una vita da "risorti", come coppia e come famiglia? Perché? Se non lo è, che cosa possiamo ragionevolmente fare per entrare in questa prospettiva?
3) Che cosa facciamo per trasformare la nostra fede da infantile ad adulta?
4) Il nostro cuore è ancora sepolto nell'antro buio del sepolcro, attanagliato dalla paura, oppure tentiamo di proiettarlo, giorno dopo giorno, nell'orizzonte luminoso della speranza?

Luigi Ghia - Direttore di "Famiglia Domani"

 

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