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TESTO "Se tu sei figlio di Dio"

don Alberto Brignoli  

I Domenica di Quaresima (Anno A) (05/03/2017)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Ogni figlio ha in sé qualcosa del padre e della madre, così come ogni creazione ha in sé qualcosa del suo creatore: in questo caso si parla di stile, nel primo caso addirittura di cellule, di esseri viventi, di DNA. Così, un capo di alta moda porta in sé qualcosa dello stilista che l'ha disegnato; un quadro o una statua dicono sempre qualcosa della vita di un artista; un figlio ha quantomeno alcuni tratti somatici, ma anche caratteriali, di uno o di entrambi i genitori. Se dunque siamo creati da Dio; se nella fede cristiana siamo realmente figli di Dio attraverso il battesimo, vuol dire che nella nostra vita, nella nostra essenza, nel nostro DNA abbiamo qualcosa di divino.

Qualcosa, però: non tutto. Un'opera d'arte non è il proprio artista; un vestito non si identifica in tutto e per tutto con il suo stilista e nemmeno con chi lo indossa; un figlio non è mai identico al padre e alla madre. Così, noi non siamo identici a Dio pur essendo suoi figli; saremo sempre e solo simili a lui, e nel momento in cui volessimo essere qualcosa di più, nel momento in cui cercassimo di essere identici a lui, non saremmo più suoi figli e sue creature. Questo è il nostro dramma, ma anche la nostra grande tentazione: voler essere come Dio, nostro padre, pur sapendo che non sarà mai così; voler comprendere fino in fondo i misteri della vita, pur sapendo che non ci è concesso; voler conoscere perfettamente ciò che è bene e ciò che è male, per risultare infallibili e onnipotenti, quando sappiamo bene che non è così. E pensare che ci abbiamo già provato, agli inizi, e non è andata moto bene, perché abbiamo scoperto solamente di essere nudi di fronte a Dio, senza nulla, bisognosi di tutto. Abbiamo ceduto alla tentazione di voler essere come Dio. E abbiamo perso.

Gesù, però, era realmente come Dio, eppure il Vangelo ci dice che lui stesso fu tentato. E non solo per alcuni giorni, nel deserto: il numero quaranta (espresso nei giorni di tentazione) insieme al numero tre (espresso nel numero delle tentazioni) non rappresenta un tempo cronologico reale, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una lunga attesa, una lunga prova, un tempo - lungo una vita - entro il quale occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità.

Gesù si assume la responsabilità di un gesto da lui compiuto: quello di aver rifiutato la possibilità di sfruttare la propria uguaglianza con Dio per trarne vantaggio personale (al punto da poter evitare di guadagnarsi il pane con il sudore della fronte); di aver rifiutato la possibilità di sfruttare il proprio messianismo per costruire un regno politico e terreno alla stregua di tutti gli altri regni; di aver rifiutato la possibilità di piegarsi alla logica della ricchezza, che per quanta se ne possa avere, a un certo punto finisce, sempre e comunque. L'eterna e mai conclusa tentazione di Gesù di sfruttare la propria figliolanza divina per agire a prescindere da suo Padre non sortisce alcun effetto su di lui, perché ritiene sempre e comunque la volontà di Dio più grande e più importante della sua volontà.

E che Gesù potesse fare a meno di Dio suo Padre, è talmente sicuro e vero che anche il tentatore lo sa, al punto che non avanza delle ipotesi o dei dubbi sul fatto che egli sia Figlio di Dio: lo sa per certo (quel "se sei Figlio di Dio", in realtà è un "giacché sei Figlio di Dio"), e proprio per questo lo invita a fare a meno di lui e a crearsi un suo proprio regno, un suo proprio popolo, una sua propria religione, magari con il suo aiuto, di lui, che è sempre pronto a collaborare e a farsi amico dell'umanità dove c'è puzza di denaro, di fama, di religiosità ottusa e bacata.

Ma Gesù tira dritto, perché sa che il culto della propria personalità non porta mai a nulla, mentre il culto reso a Dio ci dona la salvezza. Per cui, se nemmeno Gesù ha accettato di scendere a compromessi con il Male, per regnare incontrastato a prescindere da Dio, chi siamo noi, gente di basso livello, che pur di ottenere un favore che ci porta denaro, onore e potere, saremmo disposti a vendere l'anima al demonio?

Dai, torniamo al nostro posto, dietro la croce di Gesù, e apprendiamo la logica del servizio. Buona Quaresima!

 

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