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TESTO Elogio della lentezza

don Luca Garbinetto  

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/02/2017)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 6,24-34

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Il Vangelo di oggi è un inno alla lentezza. C'è bisogno di andare adagio.

Per vedere i fiori dei campi, e accorgersi che sono incantevoli. Per guardare il loro abito di nozze e lasciarsi struggere di nostalgia e accarezzare di trasparenza nella paura che abbiamo di essere sporchi.

Per udire il canto dei passeri, e stupirci perché il bosco non è poi così silenzioso, ma c'è un concerto in atto. Ascoltarlo, e riconoscerlo simile a quello del nostro cuore, che batte a ritmo di melodie profonde e non soltanto per l'affanno delle corse quotidiane.

C'è bisogno di rallentare, perché le pretese della vita ordinaria ci rendono più simili a robot che a persone. Rallentare per rispettare il ritmo della nostra esistenza e permettere ad ogni respiro di uscire ben calibrato, accogliendo l'aria e con lei la vita e respingendo l'ansia e gli spasimi. A volte accavalliamo sospiri e soffiamo lontano la brezza che cerca di aprirsi un varco attraverso la bocca, forse perché ci spaventa terribilmente accorgersi che siamo vivi. E che questa vita che stiamo vivendo non ci soddisfa del tutto, magari per niente.

Andare adagio è prendere il coraggio di noi stessi. Fare un atto di fiducia sulla nostra capacità di non dipendere in maniera deterministica dalle imposizioni della società che ci consuma, che ci corrode. Affermare la nostra assoluta libertà di fronte alla dittatura dell'immediato e al culto del carpe diem. L'istante che stiamo vivendo è quanto di più bello abbiamo, ma non perché poi ‘passa e non c'è più', bensì perché in esso dimora tutto ciò di cui abbiamo bisogno per essere nella gioia. Lì, infatti, anzi qui e ora abita Dio.

Lo stesso Dio che ha vestito i campi con i gigli vanitosi. Lo stesso Dio che guida, abile compositore e maestro d'orchestra, la sinfonia di tutte le creature.

Può sembrare inopportuno, a dir poco offensivo, richiamare oggi, nella civiltà del ‘tutto e subito' e del multitasking, a una rinnovata scelta per la calma. Se si rallenta, chi starà dietro ai mille impegni che esige una normale famiglia proiettata ad arrivare a fine mese? Come si risponderà agli appelli di un'esistenza in cui il tempo sembra scappare dall'orologio? Quali modalità si troveranno per soddisfare i bisogni di una folla assiepata su treni di pendolari e dietro i carrelli dei supermercati?

Ebbene, niente di più urgente, in tutto questo, di una rinnovata ecologia dello spirito, che renda un po' più umano il modo di affrontare le giornate. In fondo, pare, bastano anche piccole accortezze. Un televisore o un pc in meno in casa, permette di non appiattire le sensazioni alla vista che vede dietro uno schermo, e rilancia il piacere di una serata passata in famiglia a sentire le risa e l'odore gli uni degli altri. Delle cuffiette meno agili a occupare i vuoti delle orecchie facilitano un incontro in metropolitana, senza travestirlo subito di minaccia e di paura. Una domenica dedicata alla montagna o alla spiaggia, con i colori di primavera, ma pure nel freddo dell'inverno, restituisce il gusto dei profumi e il pizzicare del vento, anziché sciupare ore ammalandosi all'aria condizionata dei centri commerciali.

E poi... 5 minuti al giorno, dedicati a custodire un angolino della propria stanza, esteriore e interiore, per accorgersi ancora che Dio c'è, e desidera riposare un attimo con noi per godere della nostra compagnia. 5 minuti, lunghi quanto un ‘cappuccino e cornetto', ma lunghissimi perché scavano lentamente la profondità dell'anima e le donano la percezione di se stessa.

In questa carezza quotidiana di Cielo scorre il senso di tutti gli altri minuti. Che scappano soltanto se sono vuoti, mentre quando riprendono consistenza di significato allora parlano di Eterno. In questa carezza c'è tutta la mano del Padre, aperta, tenera e forte, per accogliere, sostenere, sospingere alla vita.

 

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