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TESTO Il Signore è buono e grande nell'amore

don Walter Magni  

Ultima domenica dopo Epifania (anno A) (26/02/2017)

Vangelo: Lc 15,11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,11-32

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

La liturgia ambrosiana del tempo che precede l'inizio della Quaresima, domenica scorsa affrontava il tema della divina clemenza e oggi quello del perdono. Clemenza e misericordia sono la descrizione del grande orizzonte dell'amore di Dio; il perdono ci mostra l'azione propria che scaturisce dal cuore di Dio, che in Gesù ha trovato la sua espressione più vera, la sua incarnazione.

"Un uomo aveva due figli"
In gioco ci sono tre personaggi. Anzitutto un padre, buono e accondiscendente. Che lascia fare, senza ostacolare un figlio, che se ne va di casa portandosi via mezzo patrimonio. Anche se un dubbio ci prende: siamo in presenza di un padre buono o di un padre ingiusto? Un padre che per riabbracciare un figlio scialacquatore e donnaiolo penalizza però l'altro figlio. Di certo è un padre misterioso, che sfugge a ogni facile interpretazione. Un padre che ti lascia libero di andare e che impazzisce di gioia nel vederti ritornare. Un padre che ha le sue ragioni e non le impone se non le comprendi. E perché bisogna far festa? Non è facile da accettare questa sua sentenza: "bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".
Poi c'è il figlio minore. Guardo a lui e penso a tanti credenti non praticanti. Sono dei nostri, ma in chiesa non ci vanno più da tanto tempo. Pur non frequentando più le nostre chiese per tante ragioni, a volte viene da pensare che proprio a loro vengano riconosciuti più diritti che doveri. Per chi continua a collaborare il lavoro aumenta a dismisura senza troppe gratificazione; per chi se ne è andato sembra di intuire l'assoluzione facile, l'accoglienza festosa e premurosa. Perché si fa festa per uno che ha più fame di pane che di perdono? E quell'abbraccio l'avrà capito davvero? Chi tra noi, che pure la chiesa la frequentiamo ancora, non si ritrova nelle rimostranze del figlio maggiore? In quella giustizia reclamata come un diritto, in quella fatica a credere che davvero suo padre sia così giusto, così buono?

Per-dono
Potremmo continuare a discutere, identificandoci con un figlio o con l'altro. La questione è capire però cosa Gesù ci sta dicendo. Gesù non disquisendo sulle fatiche relazionali e le complessità affettive di una famiglia un po' sconclusionata: un padre alle prese con due figli così diversi, senza la presenza rassicurante di una madre. Gesù sta puntando altrove, proprio da dentro una situazione famigliare così affaticata. Ci sta dicendo che l'amore di Dio, il suo stesso perdono, può prendere le mosse proprio da situazioni come queste. Per-dono come dono superlativo. Che non ammette calcoli e non si lascia definire dentro una misura. Dono di sé all'ennesima potenza, come del resto proprio Lui ci ha dimostrato. E se mai anche a te dovesse capitare di sperimentare l'incapacità a perdonare un amico o un tuo famigliare o dovessi constatare il fallimento a ritrovare una relazione civile con qualcuno, allora sappi che la grazia di Dio ti sta già accanto. Avviando le condizioni di un'azione squisitamente evangelico che supera alla grande le nostre buone maniere di facciata. Ti sembrerà di morire a te stesso, come appunto ha fatto Gesù, pur di ridare vita a colui che, avendoti offeso e fatto tanto male, stava morendo nel suo stesso peccato. Martin Luther King diceva a quelli che poi l'avrebbero ucciso: "Fateci quello che volete, e noi continueremo ad amarvi (...). Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case, nell'ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora" (La forza di amare, 1968).

Servire il perdono
Certo, la sensazione che il perdono sia una espressione di un amore impossibile permane. Come se solo Gesù ne fosse all'altezza: E con Lui tutti coloro che hanno avuto il coraggio di seguirLo. Eppure una via d'uscita ci viene data. Uno spazio dove poterci esercitare nell'arte del perdono. Non dimentichiamo ad esempio la figura dei servi. Li troviamo anzitutto in occasione del ritorno del figlio minore. Dopo che gli era corso incontro e lo aveva abbracciato, il padre dice ai servi di rivestirlo del vestito più bello, mettendogli l'anello al dito e i sandali ai piedi e di preparare il vitello grasso per fare festa, "perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Poi sarà ancora uno dei servi a spiegare all'altro figlio, il maggiore che tornava dal lavoro dei campi, cosa stava succedendo davvero: "tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo".
Non è difficile guardare a questi servi obbedienti e fedeli. Premurosi nel cercare di riportare la buona notizia del Vangelo. Stare al nostro posto, trasmettendo al mondo che proprio così fa Dio, che proprio così ama Dio. Servire con umiltà e pazienza il Vangelo del perdono. Non sempre è possibile spiegare al mondo le ragioni del Vangelo. Ma trasmetterlo, ripetendo le Sue stesse parole questo si. La stessa intuizione che mi prende quando, celebrando l'eucaristia di giorno in giorno ridico parole così alte e impegnative come queste: "Fate questo in memoria di me". Così il Vangelo della misericordia e del perdono fa la sua corsa. Raggiungendo i cuori di affaticati, percorrendo le strade più impensate e impervie di questo nostro mondo.

 

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