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TESTO E se fosse una questione di sguardi?

don Angelo Casati  

Penultima domenica dopo Epifania (anno A) (19/02/2017)

Vangelo: Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Vorrei fare una premessa - o forse due -, prima di commentare questa pagina del vangelo di Giovanni. Il mio commento oggi si fermerà a questa pagina. La prima premessa è che questa pagina di vangelo mi è molto cara, come mi ci fossi affezionato, certo per il racconto in sé splendido, emozionante, tenero, ma anche perché - già ce lo siamo detti altre volte - questa pagina ha vissuto per lungo tempo una strana avventura: non trovava posto nell'uno o nell'altro dei vangeli, quasi fosse in esilio; poi le fu dato posto nel vangelo di Giovanni, con un inserimento che qualcuno giudica improprio.

Ebbene anche questa sua condizione di "esiliata", come di chi non trova rifugio, me la rende cara. Era, ed è, troppo carica di tenerezza! Seconda premessa, brevissima, ma doverosa, le mie parole oggi fanno eco a un commento bellissimo che viene da un monaco di Bose, un amico, Sabino Chialà, in un suo libro "L'uomo contemporaneo".

Ci è rimasta - immagino - negli occhi la scena del vangelo, quasi fossimo anche noi fatti spettatori. E da che parte stare? La donna in mezzo, là nel tempio, scribi e farisei da una parte, Gesù dall'altra. Da che parte stare? Ci sono - risuonano in quello spazio sacro - le parole dei professionisti delle religione: chiedono la morte, la chiedono in nome della Legge, chiedono la lapidazione. La donna è stata colta in adulterio. Ci sarebbe da chiedersi perché allora non hanno portato l'adultero?

Ma la donna - il vangelo lo appunta - è solo un pretesto, per mettere alla prova Gesù. Che brutto - diremmo - ridurre una persona a pretesto. Impressionante questo sguardo gelido di scribi e farisei. Lo sguardo! La donna è un oggetto da trasportare: "gli condussero una donna". La donna è muta davanti a loro, l'hanno ammutolita, quasi l'avessero cancellata, quasi fosse già lapidata prima ancora di essere lapidata, lapidata dai loro occhi, dal loro sguardo.

E io a chiedermi se sono così sicuro di non essere dalla parte di quegli scribi e farisei, a chiedermi se sono così sicuro di non avere, in qualche circostanza, anch'io uno sguardo da lapidazione, se anch'io non riduco gli altri a un oggetto. O se non li riduco a un loro atto. Un atto solo per dire una persona, per dire una vita. Quelli la donna l'avevano ridotta a un atto, il suo adulterio.

E per quell'atto la facevano degna di lapidazione. Ma poi seguendo il racconto i nostri occhi si volgono a Gesù. Dovremmo sempre rivolgerli a Gesù, soprattutto quando intorno a noi, o anche nella chiesa, si sventolano con facilità, e soprattutto con durezza, le codificazioni della legge. Ebbene la vera distanza, nel racconto, la fa lo sguardo. Lo sguardo degli accusatori, lo sguardo di Gesù. Ci è capitato altre volte di dire che tanto - non tutto, certo, ma tanto - nella vita lo fa lo sguardo, è una questione di occhi. Tanto dipende dal nostro sguardo.

Come Gesù guarda la donna è il vangelo a raccontarcelo. Nel brano Gesù, dopo aver sbugiardato gli accusatori, nella loro falsa aria di giudici impietosi, dopo averli richiamati alla condizione di peccatori, che è di tutti, nessuno escluso, rimane solo, lui e la donna. Il vangelo ce li fa osservare: "Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo". Ci sembra di vederli. Soli, loro due: "misericordia et misera", secondo le parole di S Agostino: "la misericordia e la misera".

Gesù tace, quasi volesse liberare l'aria dal parlare sguaiato, dall'inquinamento dei sofismi, dalle durezze dell'anima. E' nel silenzio degli sguardi che ci si può ritrovare, ci si può affacciare l'uno all'altro. Prima fa' silenzio. Prima guarda. Guarda negli occhi. Lasciati interrogare dagli occhi. E poi parla. Solo dopo parla. E Gesù si china. Per la seconda volta è scritto che si china. Si era chinato in precedenza, a seguito della sfrontatezza del linguaggio degli accusatori, quasi volesse rivendicare davanti a loro una posizione, l'unica da cui si può parlare.

Non dall'alto in basso, come facevano loro, ma dal basso in alto. Parla, ma dopo esserti chinato. E' un monito per me: "parla, ma solo dopo esserti chinato". Ora Gesù è chinato davanti alla donna, ha ripreso davanti a lei la posizione giusta. La donna lo vede in basso, in basso che scrive sulla terra. Come se il dito di Dio non incidesse più parole nella durezza della pietra come avvenne sul monte Sinai, bensì nella provvisorietà e nella debolezza della terra di cui siamo fatti. Nessuno sa che cosa ha scritto, certo non era una parola "contro", ma era una parola "per".

Certo era una parola che veniva dal cuore. Ne erano specchio i suoi occhi, il suo sguardo. Ha detto in questi giorni, don Guido Gallese, il vescovo di Alessandria: "Sono convinto che noi non possiamo mettere tutte le nostre energie per far rispettare delle regole quando in realtà manca il cuore. Quel cuore che dovrebbe guidare al rispetto delle regole". Il cuore che trovò la donna del vangelo nello sguardo di Gesù: "Neanch'io ti condanno, Va' e d'ora in poi non peccare più".

Guardare dunque con gli occhi di Dio. Scrive Sabino Chialà: "A noi, uomini di questo tempo e compagni di viaggio dell'uomo contemporaneo, è chiesto il coraggio di tale testimonianza, è chiesto di resistere alla paura e al trionfalismo, è chiesto di trasmettere la speranza. Qual è dunque, in sintesi, la missione del cristiano nel mondo d'oggi? Egli deve esercitarsi a vedere l'essere umano come Dio lo vede.

L'uomo contemporaneo, come l'uomo di sempre, è innanzitutto un uomo ferito, prima che un baldanzoso peccatore; è un uomo che soffre, prima che un godurioso impenitente; è un uomo in attesa, prima che un refrattario incallito. Anche il peccato grida un bisogno. Proviamo a vedere gli uomini e le donne che incontriamo - gli uomini e le donne che siamo - con gli occhi di Dio; come li ha guardati Cristo.

Se ogni giorno ci pieghiamo sulle Scritture è proprio per questo. Per cercare di imparare quali sono i sentimenti di Cristo (cfr. Fil 2,5) e per giungere a vedere e a sentire come lui ha visto e sentito (...) tutto ciò che è umano ci appartiene e merita compassione" (pp. 71-72).

 

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