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TESTO Commento su Sofonia 2,3: 3,12-13; Matteo 5,1-12

Carla Sprinzeles  

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/01/2017)

Vangelo: Mt 5,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

La liturgia di oggi ci porta nel cuore del messaggio di Gesù: è il vangelo delle beatitudini secondo Matteo. A differenza di Luca, che indica prevalentemente le situazioni concrete, nelle quali il messaggio del vangelo diventa liberazione - nella povertà di fatto, nella fame, nel pianto, nella persecuzione - nel vangelo di Matteo sono invece indicate anche le condizioni spirituali necessarie per annunciare il vangelo in queste situazioni: il distacco dalle cose, la fiducia piena in Dio, la chiarezza interiore, la positività nella vita.
Ma la condizione per tutto questo è il rapporto vissuto con Dio. Per questo Gesù comincia richiamandosi all'azione di Dio nella nostra vita come ragione e fondamento della nostra armonia interiore, della nostra capacità di diffondere il bene intorno a noi: non perché siamo buoni, ma perché diventiamo trasparenti all'azione di Dio.
Questo è il compito che ci ha affidato e ogni domenica rinnoviamo l'impegno. L'ostacolo principale è la nostra resistenza, l'attaccamento alla nostra prospettiva, il metterci al centro, il cercare il riconoscimento, l'approvazione degli altri.

SOFONIA 2,3; 3,12-13
La prima lettura ci parla del sogno e del progetto di Dio: rifondare il suo popolo, partendo dai piccoli e dagli umili, perché i grandi non vivono più un corretto rapporto con lui. Ai profughi e agli smarriti di Gerusalemme il profeta Sofonia annuncia "il giorno del Signore", il giorno in cui viene giudicato il male e annunciata la salvezza per il "resto" del popolo.
Gli oracoli del profeta Sofonia hanno per contesto storico probabile l'epoca che precede la riforma religiosa, attuata dal re Giosia nella seconda metà del secolo settimo a. C. Il tono e il contenuto di queste pagine sono corrispondenti agli interventi forse contemporanei di Abacuc e del giovane Geremia. I responsabili religiosi e civili del piccolo regno di Giuda non operavano infatti secondo lealtà e giustizia verso Dio e verso il popolo.
Dal nostro profeta viene insistente anche l'appello alla conversione, ossia a cercare il Signore. Egli sa che simili inviti possono essere raccolti e vissuti dai "poveri della terra"!
Dopo una serie di altri ostacoli di giudizio sulle nazioni esterne al regno di Giuda e sulla stessa Gerusalemme, ribelle e infedele, il libretto di Sofonia ha per ultimi interventi profetici, stupende pagine di ricuperabilità futura e di speranze circa la "figlia di Sion", la città del Re d'Israele, il quale ritorna "in mezzo a te". Né poteva concludersi diversamente la profezia di un autentico uomo di Dio! Non perché questi riconosca negli uomini grande coraggio e forti energie per ritornare a Dio, ma perché sa bene che nel Signore vince la misericordia. Egli si è sempre più rivelato, dal Sinai in poi, come capace di perdono: fino a ricredersi del castigo minacciato!
Dentro a questo grande orizzonte di un popolo ritornato umile al suo Signore - dopo l'invito di cercare presso il Signore la giustizia e l'umiltà - viene lucidamente precisato da Sofonia che il "resto di Israele confiderà nel nome del Signore", perché è stato lo stesso Signore a riconoscerlo "popolo umile e povero". L'iniziativa divina a trasfigurare e a motivare il suo popolo viene poi celebrata diffusamente nei due oracoli con cui si conclude la profezia.

MATTEO 5, 1-12
Oggi leggiamo nel vangelo le beatitudini, cosa significa il termine "beati"?
Indica la benedizione di Dio nei confronti degli uomini. Cioè Gesù afferma che l'azione di Dio, l'occhio di Dio (per usare un'altra formula biblica) è rivolto verso gli ultimi, gli emarginati, i sofferenti, gli affamati, i perseguitati.
Gesù non vuole dire "se tu sei perseguitato sei nella gioia", chi è perseguitato è nella sofferenza, chi è affamato è nella sofferenza, a volte anche nell'angoscia. Gesù ci dice: sappi che questa condizione attira lo sguardo di Dio su di te, la sua azione si orienta verso la tua sofferenza, la tua fame, il tuo pianto, la tua persecuzione. Questo Gesù lo può dire non perché l'azione di Dio dal cielo cada e si rivolga agli ultimi, ai poveri, ai sofferenti, ma perché lui stesso, vivendo così il rapporto con Dio, diventava, per gli ultimi, per i poveri, per i sofferenti, espressione efficace dell'amore di Dio. Questa è la ragione per cui Gesù poteva dire "la benedizione di Dio è rivolta verso di voi": perché attraverso di lui, attraverso i suoi gesti, essa si esprimeva.
Anche noi oggi possiamo continuare questo messaggio: questo è il senso del proclama di Gesù. "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".
Se Dio è il Bene e se sostiene tutto nell'esistenza, vederlo è scoprire il bene in tutto ciò che succede. La purezza è la limpidezza di uno sguardo che non si lascia più contaminare dalla negatività e che può scorgere dietro ogni realtà un bene da far emergere.
Siamo realmente beati, felici, quando riusciamo a liberarci dalla negatività che inquina il nostro modo di vedere. "Pensate positivo", consigliano i libri della New Age. Sembra facile ma che fatica!
Ebbene Gesù da duemila anni, attraverso le beatitudini, ci indica come vedere la "vie en rose". Qualche volta certi tumori o altre malattie gravi non sono forse il triste frutto di pensieri negativi che, alla lettera, ci rodono il fegato, mentre una mente allegra è garanzia di buona salute? Se vedessimo nelle beatitudini una ricetta per liberare il nostro vero desiderio di negatività che ci portiamo dentro, forse troveremmo veramente la felicità.
Il "povero di spirito" non ha paura di perdere, le sue relazioni sono affrancate dal timore e dalla dipendenza. Chi "accetta di fare il lutto" - secondo il senso greco della parola purtroppo tradotta con "afflitto"- chi sa separarsi, abbandonare ciò che la vita toglie, come un frutto maturo cade dall'albero, costui cammina verso il futuro senza remore né freni. Il "mite", poi, il non-violento, ha trovato la strada della relazione, improntata alla comprensione che scioglie ogni dissidio. "L'affamato della vera giustizia" non si ferma a false rivendicazioni che ledono il prossimo, ma instaura un'atmosfera dove ciascuno si sente preso in considerazione per quello che è. Troppo spesso in nome della giustizia si ammazzano le persone, dietro la bandiera dei diritti se ne calpestano altre; chi invece ha fame e sete della giustizia sa "stare con", non si schiera mai contro. In questa prospettiva ogni torto appare come la manifestazione del disagio di chi lo infligge e di conseguenza nasce nel "misericordioso" una compassione che crea un rapporto esente da ogni giudizio.
Il desiderio umano è un fuoco che brucia per distruggere la vita o per accenderla nello spirito delle beatitudini. Certo, scorgere il Bene in ogni situazione toglie le difese, rende vulnerabili: l'unico sacrificio valido è quello di Gesù che si lascia crocifiggere perché la Vita trionfi.

E' importante continuare il messaggio delle beatitudini: non è un messaggio razionale, ma da mostrare concretamente nella nostra vita. Per questo occorre essere uniti al Cristo e agire di conseguenza.

 

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