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TESTO E se fosse in un abbraccio?

don Angelo Casati  

Natale del Signore - messa nella notte (25/12/2016)

Vangelo: Gv 1,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Il Natale incrocia in questa messa del mattino le parole del profeta Isaia e il racconto del vangelo di Luca. Mi sono chiesto come conciliare "la luce secondo il profeta" e "la luce secondo il vangelo di Luca". La luce secondo il profeta è luce che irrompe dilagando, oserei dire maestosa: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse".

La Luce secondo il racconto di Luca dura il tempo di un volo di angeli. "La gloria del Signore" è scritto "avvolse di luce i pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge". La luce sui pastori si spense presto, rimasero con gli occhi in alto e a guardarli ora nella notte erano rimaste le stelle, quelle che ogni notte facevano loro compagnia di silenzi...

Come conciliare la luce che dilaga e quella più silenziosa, quasi notturna, trepidante? Mi sono detto che forse è la stessa domanda che ci facciamo davanti ai presepi. Come conciliare i presepi affollati di personaggi e di luci e i presepi nudi che raccontano l'inizio: Maria, Giuseppe, il bambino e pochi pastori? Non erano certo una moltitudine! Dilaga la luce, oso dire, e, nel suo dilagare, insegna l'esclusione delle appartenenze: la luce del Natale è per tutti, è sulla pelle di tutti, il sole non lo sequestri e neppure la luna! Siamo ancora avvolti, dalla luce anche questa mattina.

Ma ci occorreva una sosta. Siamo qui per una sosta, per ringraziare di questa luce che sfiora la nostra pelle, la luce di questa nascita. Forse ogni nascita è come luce impigliata nelle case, ma questa nascita è luce per la casa dell'umanità che non ha pareti, è nel cuore di ognuno, anche di ognuno di noi. Penso ci voglia silenzio, questo silenzio. O una musica diversa, diversa da quella che è risuonata per tutta la mia strada in questi giorni. Che poteva essere anche buona musica, ma era estranea, estranea all'evento, all'evento degli eventi. Che siamo qui silenziosamente a celebrare. Come farne memoria se non ritornando al racconto del vangelo?

Dopo il volo degli angeli, la luce si era fatta piccola, ora era piccola, era nella lampada che guidava i passi dei pastori nella notte. Vorrei fare della lampada dei pastori un simbolo. Vorrei augurare a me stesso, a ognuno di voi, a ogni donna e a ogni uomo, di camminare dietro questa piccola grande luce che è la nostra coscienza, che è la nostra anima. Perché senza questa lampada non c'è Natale, senza moto dell'anima non c'è Natale.

Un messaggio di questi giorni mi raccontava che nel Talmud è scritto. "Ogni filo d'erba ha un proprio angelo che lo incoraggia sussurrandogli: Cresci!". Nella notte della nascita furono gli angeli a risvegliare dal torpore i pastori e a incoraggiarli ad andare. Ognuno di noi un filo d'erba e l'angelo che dice: "Cresci", che incoraggia ad andare, dietro la lampada che buca la notte. Il segno, che non finiva di rimormorare nel cuore dei pastori, era preciso: "Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia".

E questo è il segno - non cambia - anche per noi, segno per cui ancora provare stupore. Non era un salvatore da cercare in alto, e nemmeno nelle zone sacre del tempio. La notizia stupefacente, la notizia delle notizie era che Dio dovesse essere cercato in una dello loro mangiatoie. Chissà cosa avranno pensato mentre andavano nella notte e chissà come fecero poi a trovarlo. Non è detto, ma visto che venivano da un volo di angeli e da un nembo di luce potevano forse aspettarsi una sosta degli angeli e della luce ache su quel rifugio disadorno.

No, solo una lampada, quella di Giuseppe, a far sì che, dal buio, si affacciasse il viso di quel bambino. E loro a guardarlo, a guardarlo un po' dall'alto, lui in basso, quando Dio era stato per secoli immaginato e insegnato "in alto". Loro a visitare un Dio che aveva visitato la loro terra, le loro cose, un Dio a centimetri di occhi. Un Dio che non disdegnava l'odore delle pecore che si portavano addosso. Ebbene questo è l'evento degli eventi.

Scrive Matta el Meskin, monaco egiziano, una della maggiori figure della chiesa copta ortodossa del secolo scorso: "Natale significa incarnazione. Cristo, il Dio in carne umana, non è un mero racconto, ma vita, è la speranza che viviamo, che lenisce la nostra debolezza, che mitiga la tragedia della storia e ogni tribolazione". Sì, in quel bambino illuminato nella notte da una povera lampada, i pastori videro l'abbraccio di Dio. L'abbraccio di Dio non era a distanza, come succede quando ci si abbraccia temendo di sfiorarsi. Era nella loro pelle. Il cielo e la loro terra abbracciati, in quel bambino, in una luminosa semplicità, in una luminosa povertà.

Questo ci raccontano i presepi, questo ci raccontano le liturgie del Natale: ci raccontano l'abbraccio tra il cielo e la terra. La liturgia dell'abbraccio - starei per dire - continui nella vita, in particolare l'abbraccio a coloro che - come i pastori al loro tempo - sono tenuti a distanza. Dio ha cancellato le distanze fisiche e spirituali. Dio è nella vita, non quella con la v maiuscola, ma quella con la v minuscola, minuscolo il bambino.

Dio lo senti, Dio lo sperimenti, nell'abbraccio, in ogni segno di abbraccio. Dio è raccontato dalla mano tesa, dalla tenerezza di un uomo, dalla tenerezza di una donna. Il Dio del presepe racconta l'abbraccio. E' quello che sembra ricordarci Mauricio Silva, piccolo fratello del vangelo, assassinato dalla dittatura argentina, quando scriveva:

Signore, io so che Tu sei
nella fede luminosa
di una notte stellata,
di un giorno radioso
d'azzurro e di sole.
Io so che Tu sei
nella speranza gioiosa
di un bimbo che nasce,
di una lettera che arriva,
di un amico che torna.
Tu sei
lo so che Tu sei
nell'amore immenso di braccia che ti stringono
e nella tenerezza
della mano che mi è tesa.

 

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