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TESTO Domenica dell'Incarnazione

don Walter Magni  

VI domenica T. Avvento (Anno A) (18/12/2016)

Vangelo: Lc 1,26-38a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38a

26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Alle soglie del Natale, la Parola di Dio di questa domenica (dell'Incarnazione o della Divina Maternità di Maria) ci regala parole di gioia. Del resto, fino a pochi anni fa, questa domenica era chiamata in laetàre, cioè del rallegrati, del "gioisci o piena di grazia, (perché) il Signore è con te", come dice l'angelo Gabriele a Maria. Gioia che non va confusa con l'allegria di facciata dei nostri Natali. Non è una gioia che deriva dalle cose. Scaturisce da un incontro che nasce dentro di te e può crescere come un bambino cresce dentro sua madre.

Dov'è finita la gioia?
La Scrittura non è mai all'insegna della spensieratezza. Ci descrive una gioia che consegue direttamente al venire di Dio. Un Dio che se promette viene. A noi potrebbe anche sembrare che indugi un po', ma non ci è dato di disperare, "perché di certo verrà e non tarderà" (Ab 2,3). Inoltre la Scrittura ci parla di un sentimento di gioia che viene consegnato a quel popolo che s'era raccolto nel tempo attorno alla fede di Abramo, continuata poi nel nome di Isacco e di Giacobbe.
Come ci ha fatto ripetere più volte il salmo responsoriale: "rallegrati popolo santo, viene il tuo salvatore!". Un Dio che è felice di sapere che il suo popolo è contento. Tanto lo vorrebbe riempire di pace e di felicità, facendolo persino gridare di gioia: "mandate grida di gioia al Signore, abitanti di tutta la terra! Servite il Signore con letizia" (sl 100,1-2) e ancora: "Si rallegreranno tutti quelli che in te confidano; manderanno in perpetuo grida di gioia" (sl 5,11-12).
Ma oggi dov'è finita la gioia sul volto della gente? Incontri per strada qualcuno, accenni un saluto e già temi d'avere osato troppo. Recentemente una signora anziana mi confidava: "Natale a me mette tristezza. Speriamo che le feste passino presto". Perché il Natale per molti è solo un giorno felice che appartiene al passato. Da ricordare con malinconia. Intanto riempiamo i bambini di cose che chiamiamo regali, mentre gli adulti fantasticano per Natale un viaggio low cost. Intanto i giovani s'adattano al clima d'indifferenza che dilaga. A Natale c'è tanta frenesia e nervosismo nell'aria, ma di gioia neppure l'ombra; mentre la liturgia ripete: "Rallegrati popolo santo, viene il tuo salvatore".

"Siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti"
Potremmo rifarci ancora alla categoria della crisi, al tramonto dei grandi ideali, alla fine di certe ideologie, per cercare di capire meglio questi nostri giorni? Un dato stride comunque: quella patina di tristezza che talvolta ritrovi sul volto dei credenti. Belli i presepi, patinate le nostre liturgie, ma nel cuore ci portiamo certe arrabbiature, certe stanchezze, delle sensazioni di vuoto che neppure sappiamo descrivere a noi stessi. Una depressione latente che non sai come affrontare, tradita soprattutto da una lamentosità insistente, dal pettegolezzo che indugia volentieri sugli altri, perché da solo non osi guardarti dentro. Come non ricordare il richiamo evangelico della pagliuzza e della trave? Intanto Paolo ai cristiani di Filippi dice parole che fa bene anche a noi riascoltare: "siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!". Se dunque il Signore è vicino dov'è la nostra gioia? E questa diventa purtroppo, in un mondo affamato di luce e di speranza, una contro-testimonianza, una vera e propria contro-evangelizzazione.
Come sto servendo il Signore là dove sono? In famiglia, sul posto di lavoro, nella scuola. Ho paura di Dio o Lo sto aspettando davvero? So trasmettere un sorriso sincero o basta la facciata? So dire parole di consolazione? Chi mi incontra intravvede un po' di speranza? Come ci ricorda Paolo: "la vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino". E se non Lo senti più vicino, allora secondo te dov'è finito? Lo cerchi ancora o ti fa comodo pensarLo un po' defilato dal tuo mondo?

"Rallegrati piena di grazia"
Abbiamo a che fare con un Dio inquieto. Che se ci vede tristi e insoddisfatti o incapaci non si da pace pur di vederci contenti, pur di strapparci un sorriso. Per questo Si rimette all'opera per riuscire a realizzare di certo il Suo sogno più grande. Un atto geniale che solo la fantasia di Dio poteva inventare. Vedendo la nostra tristezza, intuendo tutti i nostri disagi, sceglie di entrare in azione, mettendosi definitivamente dalla nostra parte.
Questo è il senso delle prime battute del Vangelo dell'Annunciazione: "l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria". Così Dio in persona si fa nostro compagno di viaggio, sapendo che altro non siamo che mendicanti d'amore. S'innamora di una giovane donna, osando una vera e propria proposta d'amore: desidero che tu sia la madre di mio Figlio. E lo fa "entrando da lei", regalando a Maria il cuore stesso della Sua gioia: "rallégrati, piena di grazia, il Signore è con te".
Davanti alla divina maternità di Maria non è più possibile parlare di un Dio che viene o di un Dio che verrà. Neppure di un Dio che ti sta accanto. A partire da Maria Dio vuole stare ormai dentro di te. "Il Signore è con te" significa che Dio, cioè il Signore del mondo, ormai sta dentro di te.
Da qui prende inizio la gioia di Maria: portarsi dentro Dio, sentendosi invasa dalla Sua presenza. Carne della sua carne, vita della sua vita. Come appunto canterà poi nel Magnificat: "l'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore".

 

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