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TESTO Una ragazzina di Nazaret

don Angelo Casati  

Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria (08/12/2016)

Vangelo: Lc 1,26b-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26b-28

26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

La festa dell'immacolata concezione di Maria da un lato evoca pensieri, suggestioni di bellezza, dall'altro corre rischi - e non pochi - di interpretazione e di contemplazione. Perché se fraintendi, che cosa contempli? Posso sbagliare, ma penso che un linguaggio puramente dogmatico non ci aiuti. Voi infatti sapete che le parole definitorie risentono dei pensieri e del linguaggio dei tempi. Con il pericolo che siano fraintese. Tant'è vero che parlando dell'Immacolata ancora qualcuno pensa che ci riferiamo alla verginità di Maria.

Quando invece il pensiero va a un concepimento, alla segretezza di un momento, il momento in cui una donna e un uomo concepiscono. Parliamo del concepimento di Maria. Vorrei dire che il concepimento appartiene a qualcosa di molto misterioso, di segreto, di intimo. E come potemmo parlarne con parole facili, senza pudore. Parlarne senza il pudore di chi sa di non sapere. Sarebbe un parlarne da spudorati.

E allora entriamo nella vita di Maria di Nazaret con passi leggeri, quasi felpati. O, forse meglio, restiamo sulla soglia a spiare con stupore il mistero, lasciandoci condurre e illuminare dalle parole sapienti delle scritture sacre.

Il vangelo di Luca ci parla di uno sconfinamento, su mandato di Dio, di un angelo, di nome Gabriele. C'è, per l'angelo, una immensità, diremmo, da attraversare o, forse meglio, da abbracciare: cielo e terra. In comunicazione, cielo e terra.

E già è stupore. Ma lo stupore è moltiplicato se pensiamo il lembo di terra cui è mandato l'angelo: una città della Galilea, terra di meticciati religiosi, terra di dubbia fama, una città, Nazaret, di cui si dirà: "Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?".

Le distanze e, insieme, l'abbraccio sembrano ancora di più allargarsi. Il volo dell'angelo non ha come destinazione la sinagoga della città, luogo forse più dignitoso per un annuncio divino. E non un capo della sinagoga, e nemmeno un uomo. No, una casa qualunque, che non è certo di quelle che hanno stupendamente immaginato i nostri più grandi pittori, piccola casa, muri forse di tufo, forse consumati dall'umidità, poche le cose, l'essenziale, l'anfora, la madia, la lampada. Non sappiamo l'ora del volo dell'angelo.

Sappiamo da chi entrò: da una ragazzina, che, come tante delle ragazze della sua età, era fidanzata. A un uomo di nome Giuseppe. E chissà magari stava riassettando la casa quando tra le mura si mosse qualcosa, il volo del'angelo. Il pensiero di Dio era finito lì. Lo stupore - voi mi capite - riguarda innanzitutto Dio.

Sì, perché tutto il racconto sembra teso a dire che non c'erano ragioni umane per dirottare l'angelo lì. Qualcuno potrebbe trovare ragioni nel saluto dell'angelo che, entrando da lei, disse, "Rallegrati, piena di grazia". Ma molti di noi sanno, che il testo greco non dice i meriti di Maria, dice la dismisura con cui è stata amata da Dio: "Rallegrati, tu super graziata, tu ricolmata di grazia!". Non ci sarebbe consentito di dire: "Eri così buona che l'angelo puntò alla tua casa".

E nemmeno Maria ci consentirebbe di dirlo, lei che tre mesi dopo, sull'uscio di casa della cugina sui monti di Giuda, dirà di Dio: "Ha guardato la pochezza, la bassezza, della sua serva". Il volo - voi mi capite - il volo dell'angelo è pura grazia, le pareti di casa cantano la pura grazia! Dio precede, attraversa l'immensità dei cieli, lui per primo ci raggiunge con il suo pensiero, con il suo abbraccio.

Forse avete notato che ho osato il plurale, sconfinando dalla storia di Maria alla nostra. "Dio" ho detto "ci raggiunge". Il volo dell'angelo! Rimango sempre colpito e, confesso, un po' emozionato, quando leggo il plurale nella lettera agli Efesini, dove è scritto che Dio Padre "in lui - in Gesù - ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità".

Versetto stupendo. Da un lato ci racconta una cosa da brivido - solo che la pensassimo -: che il pensiero di Dio, il suo sguardo, ha attraversato l'immensità dei cieli e l'immensità dei tempi - "prima della creazione del mondo"! - per fissarsi su un pulviscolo come me, un pover'uomo come me, un pugno di vita fragile e precaria come sono io. Prima che io facessi un passo, capite. Ecco la festa dell'Immacolata racconta e canta per Maria, ma anche per ciascuno di noi, questo pensiero, questo sguardo immeritato. Dio ci ha preceduti.

"Rallegrati" dice l'angelo "il Signore è con te". Sono parole che fanno spazio all'allegria. Ebbene il pensiero dello sconfinamento di Dio in una città come la nostra, in una casa come la nostra, in una storia personale come la nostra, non dovrebbe - mi chiedo - sollevarci dai nostri volti smunti e donarci un brivido di allegria?

Certo che Dio non ci tratta da automi. Si offre alla nostra libertà, chiede un affidamento come lo chiede alla ragazzina di Nazaret. Il brano del vangelo di oggi continua. Pochi secondi dopo, Maria dirà: "Avvenga per me secondo la tua parola". La bellezza prende forma, prende vita. Anche nel suo corpo di adolescente.

Non fu così per Adamo ed Eva. Adamo ed Eva - voi lo sapete - non sono nomi propri di persona: ogni uomo è adamo, parola che significa il "terrestre"; ogni donna è eva, parola che significa "vita". Ebbene anche con loro Dio era sceso, immeritatamente sceso, come il volo dell'angelo. Non dice forse il libro della Genesi che Dio "passeggiava con loro alla brezza del giorno"?

Ma poi nell'uomo e nella donna nacque il sospetto che Dio non fosse per la loro gioia, per la loro allegria, che il divieto dell'albero fosse il desiderio di Dio di tenerli a distanza. Non accettarono la loro misura di umani, furono presi da delirio di onnipotenza. E, quando succede questo, è la fine della bellezza, dell'armonia della terra. Succede purtroppo. Ma Dio non si stanca, non si arrende al degrado, alla disarmonia. Anche questo la festa dell'Immacolata insegna.

Che non vince il male: la stirpe della donna schiaccerà il capo del serpente. E' ciò che accadrà luminosamente nella storia di Maria, ma accadrà, sia pure in misura minore, anche nella storia degli uomini e delle donne di tutti i tempi quando a vincere è il bene. Checché dicano i profeti di sventura, non vince il male, vince il bene, vince la bellezza, vince l'armonia, vince la grazia.

Noi oggi contempliamo la ragazzina di Nazaret e riprendiamo il cammino.

 

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