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TESTO Il nostro "frattempo"

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Pasqua (Anno A) (03/04/2005)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Una volta risorto Gesù Cristo, inizia il "tempo della Chiesa", il periodo cioè in cui i discepoli vengono inviati per ogni dove ad annunciare la letizia della risurrezione del loro maestro. Essi percorreranno tante strade, raggiungeranno moltissimi luoghi anche fra i più desolati e dispersi, ai avvicenderanno presso popolazioni e culture a loro ignote e incontreranno ogni sorta di persone, ambienti, costumi immettendosi in tante e tali tipologie di vita; tutto questo perché -appunto- il Signore li ha mandati in giro per il mondo con lo specifico scopo dell'annuncio e da DISCEPOLI sono diventati APOSTOLI. La pagina odierna di Giovanni è forse l'unica in tutto il quarto Vangelo che definisce gli Undici con questo termine: apostoli, che in greco (apò-stello) vuol dire "inviati"; e non è un caso che sia collocata dopo la resurrezione e la comparsa del Signore: si può testimoniare un evento solo dopo averne preso atto di persona, dopo averlo cioè visto con i propri occhi, e pertanto gli Undici dovevano necessariamente vedere il Signore risorto, constatarlo di persona, assimilarne tutti i nuovi connotati, gioire ed esultare di fronte a lui per poi partire e recare a tutti il messaggio gioioso apportatore di salvezza che è al centro della fede cristiana. Ecco perché anche la teologia e il pensiero cristiano non si fondano sulle astrazioni o sul sapere speculativo, ma sulla "narrazione": la comunicazione del fatto che Cristo è risorto e il racconto di tutto quello che riguarda la sua vita, i suoi miracoli, i suoi insegnamenti, apportato da coloro che sono stati di tale evento i testimoni oculari.

"Tempo della Chiesa" è insomma il periodo dell'annuncio missionario di salvezza. Quando si concluderà? Per implicito risponde lo stesso Signore Gesù Cristo, con la sua affermazione "Io sono con voi fino alla fine del mondo"; vale a dire che fino a quando la storia non avrà fine e Cristo non tornerà nella gloria per il giudizio definitivo vi sarà il tempo della Chiesa, perché fino ad allora avrà luogo l'evangelizzazione. Possiamo quindi affermare che esso è il tempo che riguarda anche noi: fedele al mandato del Salvatore, la Chiesa si prodiga tuttora nella comunicazione del messaggio di salvezza e della lieta notizia del Cristo Risorto e lo fa' attraverso tutti i mezzi, adoperando tutti gli strumenti e facendosi forte di ogni espediente atto a realizzare tale apostolato. Anche noi siamo inviati. Non solo i successori degli apostoli (Papa e Vescovi) si incaricano di comunicare la lieta notizia, ma,. specialemte negli odierni tempi di emergenza spirituale, nei quali si impone una massiccia opera di rievangelizzazione e Nuova Evangelizzazione, tutti quanti ci sentiamo in dovere di adempiere il mandato cristiano di evangelizzazione, attraverso le varie metodologie, i mezzi, le impostazioni adeguate al mondo che cambia.

Tuttavia quale prerogativa potrà mai essere utile allo scopo più della trestimonianza di vita? Quale metodo migliore dell'esempio concreto di vita cristiana, innanzitutto fra noi credenti?

E' con l'esemplarità della vta, con l'ortoprassi e la testimonianza che si realizza il primo annuncio della Resurrezione e si comunica la prima "narrazione" delle opere del Signore, perché solo in tal modo ci si rende apportatori della gioia del Cristo Risorto... La gioia, sì, è questa la prima carattreristica della vita cristiana che rende l'idea che Cristo sia davvero risuscitato e che caratterizza l'apostolato primario di ciascuno. Per intenderci, si tratta di quella letizia che vivevano i primi apostoli di cui alla Prima Lettura di oggi, presso i quali si realizzava la condivisione perfino dei beni materiali, allusiva alla solidarietà generale e alla comunione di intenti nonché all'armonia e all'aiuto vicendevole.

Nelle nostre comunità ecclesiali odierne non ci si chiede necessariamente di deporre i nostri beni ai piedi degli apostoli; né ci viene richiesta opera di particolare eroismo e temerarietà; ma semplicemente che ciascuno, forte dei propri carismi e dei talenti,, mantenendosi ben lungi dal prevaricare sugli altri attraverso cattiverie, pregiudizi, illazioni o atti offensivi, si disponga alla condivisione e alla premurosa apertura verso gli altri; che nella chiesa parrocchiale si viva un clima di concordia anche nelle piccole mansioni e nelle attività che si svolgono, queste considetrate né come oneri, neè come privilegi, bensì quali atti comunicativi dell'amore di Dio.

E invece, ahimè, non sono affatto rare le circostanze nelle quali presso le nostre chiese si vive quasi come se Cristo non fosse mai risorto; come se non ci avesse mai comunicato una legge di libertà; come se non fossimo figli di Dio; come se la sua vita e le sue opere fossero meri eventi legati al passato...

Una delle nostre lacune la si riscontra nella persona di Tommaso. Questi certo ha la colpa grave di non volersi capacitare della presenza del Suo Signore risorto, nonostante lo avesse avuto come compagno di viaggio, e lo avesse accolto anche come Dio, Messia e Salvatore; ma il torto maggiore di tale miscredenza è da attribuirsi ad una spiccata tendenza sofista che imperversa anche ai nostri giorni, per la quale si crede solo in quello che ci consta al tatto e ai sensi esterni, mentre la vera fede interpella il cuore e la sensibilità delo spirito.

Se ci mantenessimo ben lungi dal soccombere ad una tale tendenza, tutti saremmo reali apostoli ed evagelizzatori, comunicativi anzitutto della gioia che ci deriva dalla convinzione radicale dell'evento resurrezione, soprattutto perché le parole della fede incuterebbero nel nostro spirito la motivazione e la costanza fondamentale che è di sprone alla missionarità di tutti i giorni.

 

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