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TESTO Un Dio che non cambia le cose, un Dio che semplicemente "sta"

don Maurizio Prandi

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (20/11/2016)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Mi è piaciuto molto (come sempre del resto) il momento di condivisione sul vangelo di questa ultima domenica del tempo ordinario e anche l'omelia di questa domenica non può che far riferimento alle cose dette e ascoltate.

Alla fine di un anno liturgico caratterizzato dalla celebrazione del Giubileo della Misericordia ci viene detto che l'ultima parola che ascoltiamo nel vangelo è: paradiso. Bello questo rimanere nel filone che la settimana scorsa si è aperto, il filone della speranza e della consolazione, speranza e consolazione anche per un ladrone, speranza e consolazione anche per me. Oggi, con me, sarai! Il ladrone sarà con Lui ed è uno stare che nasce dallo stare di Gesù sulla croce, dal suo non scendere, dal suo non scappare. Sta lì, fino all'ultimo, volto di un Dio che non cambia le cose perché la croce rimane croce, volto di un Dio che semplicemente sta! Non si defila: sta nel mezzo dei due, ancora una volta confuso, mescolato tra i peccatori come quel giorno al Giordano. Volto di un Dio che come diceva il vangelo di domenica scorsa, non perde nulla dei suoi figli e gli viene ricordato da quello che chiamiamo buon ladrone: ricordati di me, portami con te.

Stamattina se ne parlava anche i ragazzi che appartengono alle comunità dei discepoli: i re hanno il potere, comandano, sono avari, possono fare quello che vogliono. Gesù invece rivela il volto di un Dio impotente: contempli la croce e pensi che non riuscirà mai a tirarsi fuori da lì e invece... certamente non si tira fuori con le modalità dell'onnipotenza come la intende il mondo: se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso! Mi piace pensare che per uscire da quella situazione Gesù abbia ascoltato il consiglio, il suggerimento (?), forse il grido del primo malfattore: salva te stesso e noi! Mi piace pensare che in quel momento è stato ancora più chiaro per Gesù quello che per tutta la vita ha predicato e ha vissuto: non ci si salva da soli! La potenza di Gesù non è salvarsi, ma salvare anche il malfattore; gli uomini possono togliere il potere "fisico" ma a Gesù non possono togliere il potere dell'amare.

Mi piace anche "lo stare" della gente a guardare: non è un semplice constatare perché il verbo greco che Luca utilizza può lasciar intendere un guardare con grande interesse cercando di capire, alcuni addirittura traducono con "contemplare". E stava, il popolo, a contemplarlo. Altri invece: i capi storcono il naso, i soldati lo deridono, il malfattore lo bestemmia addirittura; in tutto questo ci domandavamo l'altra sera: e io? Dove mi metto? Dove sto? Contemplo, guardo, riesco a stare, voglio scappare: se ricordate la messa della domenica delle palme i suoi conoscenti si fermano lontano e anche io posso scegliere di fare così!

Posso scegliere cioè di prendere la strada dei semplici che avvertono che cambiare è possibile e arrivare a capire qualcosa di Gesù, oppure essere come i capi, i forti, che si chiudono all'incontro con Dio. Una regalità derisa quella di Gesù, dai capi del popolo e dai soldati, una regalità insultata dalla disperazione di uno dei due malfattori crocifissi con lui, una regalità contemplata dal popolo presente sotto la croce, silenzioso, attento, infine una regalità riconosciuta dal cosiddetto buon ladrone. Per tutti vale però lo stesso particolare: la regalità di Gesù è misteriosamente sempre affermata: nelle parole dei capi, dei soldati, dei compagni di supplizio, nella scritta sopra il suo capo.

Per quello che la tradizione chiama: il buon ladrone, c'è tutto un bellissimo movimento interiore. Coglie quel momento di grandissimo dolore e difficoltà come l'occasione di poter entrare dentro di sé, dentro la sua vita, dentro la sua storia; soltanto a partire dalla sua verità riconosce in Gesù colui che lo può aiutare, che può ricordarsi di lui. Non fa forse una professione di fede aperta ma riconosce l'innocenza di Gesù, vede che quello che si sta verificando mette in crisi grandi valori come la verità e la giustizia. Mi colpisce tanto quel ricordati detto in un contesto di totale lontananza e dimenticanza. Gesù, dimenticato dai suoi, è chiamato invece a ricordarsi di lui!

La liturgia della parola che in questa settimana ci ha accompagnato diventa, alla luce di questo brano di vangelo, importantissima!
- Mercoledì il servo "malvagio" della parabola delle mine, che, al contrario degli altri, ha riposto in un sudario (traduzione letterale del termine che la nostra Bibbia traduce con fazzoletto) la sua mina, considerando così i doni di Dio e la sua misericordia come qualcosa di morto, incapace di dare frutto; anche se malfattori, anche se sulla croce, possiamo disseppellire i doni che la vita ci ha portato a nascondere;
- sempre mercoledì, la finale del vangelo: e i miei nemici, portateli qui e uccideteli davanti a me. Parole di Gesù che lui stesso supera quando si lascerà uccidere di fronte ai suoi nemici!
- giovedì il pianto di Gesù appena giunto a Gerusalemme, perché sa che nei suoi responsabili civili e religiosi non incontrerà l'umanità capace di riconoscere ed accogliere il dono;
- i poveri e i semplici del vangelo di venerdì che accolgono la parola di Gesù ed aderiscono ad essa al punto da pendere dalle sue parole. E' molto significativa la traduzione letterale, che è: ascoltando erano appesi a lui dove questo verbo pendere è sempre usato nell'antico e nel nuovo testamento in riferimento alla crocefissione (Luca nella pagina di oggi usa proprio questo verbo: i malfattori erano appesi a lui). Ecco dove ci porta l'ascolto, ad essere crocefissi con lui per risorgere continuamente nella novità del vangelo.

La prima lettura (riprendo un pensiero di qualche tempo fa) ci dice che Dio considera gli uomini non come dei sudditi ma come sua famiglia: Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Il secondo libro di Samuele ci racconta oggi come il cammino del popolo d'Israele giunga ad un punto di unità e la divisione tribale e territoriale tra le tribù del sud e del nord è così superata. Il card. Martini, diceva che questa espressione significa essere membri della stessa famiglia. Tutti gli anziani allora, in rappresentanza di tutte le tribù fanno un patto, un'alleanza e, pur non scorrendo lo stesso sangue nelle vene, pur non essendo della stessa famiglia di Davide, in forza di questa alleanza lo diventano.Il consanguineo, per l'ebreo della Bibbia, è colui per il quale ci si batte fino alla morte per difenderlo scrive il card. Martini. Io credo che questa idea trova la sua spiegazione nel passaggio di vangelo che abbiamo ascoltato, dove Dio, in Gesù dice ad ognuno di noi: Tu sei mia carne, tu sei mie ossa, lo stesso sangue scorre nelle nostre vene, siamo l'uno per l'altro, non ti abbandonerò mai. La croce ci dice fino a che punto arriva la fedeltà di Dio e dove dovrebbe arrivare la nostra.

Vengono in mente, e concludo, allora le parole dell'amore di Adamo, che incantato, di fronte a Eva, che Dio gli aveva condotto disse: Essa è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Questa è la regalità sorprendente di Gesù, una regalità, una autorità alla quale possiamo rivolgere (e ditemi voi quando succede questo), le parole dell'amore, le parole della appartenenza vicendevole, le parole dell'intimità, quelle che usi con l'uomo, con la donna che ami. Allora per noi, per la nostra vita, che bello se dalla liturgia di oggi potessimo imparare che i titoli, e quello di Re è un titolo, (Parroco, Insegnante, Padre, Madre) quando sono esibiti, segnano distanze, che i titoli, quando sono esibiti portano i nostri fratelli e sorelle a cercare altri punti di riferimento. Anche a noi possano essere rivolte le parole dell'amore, anche a noi possano dire: noi ci consideriamo tue ossa e tua carne (don A. Casati).

 

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