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TESTO Misericordioso anche quando è in croce

mons. Roberto Brunelli

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (20/11/2016)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Si conclude anche a Roma l'Anno Santo della misericordia, della quale il vangelo odierno (Luca 23,35-43) offre un esempio commovente.


Domenica scorsa il vangelo invitava i cristiani ad essere testimoni della fede sino alla fine, perché "con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". Oggi dice che cosa significhi "salvare la vita", ossia qual è la sorte di chi persevera. Si celebra Cristo Re: come nell'abside di alcune antiche cattedrali, così la maestosa immagine del Re si staglia all'orizzonte dei fedeli; è la meta cui tendere se si vuole dare un senso e uno scopo all'esistenza, cioè se si vuole, appunto, salvare la propria vita.


Il passo odierno sembra però contraddire l'immagine regale di Gesù, presentandolo morente, inchiodato alla croce in mezzo a due malfattori, tra i commenti beffardi degli astanti: "I capi lo deridevano dicendo: 'Ha salvato altri: salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto'. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: 'Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso'. Anche uno dei malfattori appeso alla croce lo insultava: 'Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!'"


Un re crocifisso e deriso? Il seguito immediato fa capire di che genere sia la regalità di Cristo. Alla richiesta di uno dei due ladroni, l'altro reagisce rimproverandolo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". A sorpresa poi aggiunge: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". E, con nostra ancor maggiore sorpresa, egli si sente rispondere: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".


Gesù sa che dopo la terribile prova della croce entrerà nella gloria del Padre suo, perché è stato fedele sino in fondo alla missione che il Padre gli aveva affidato; gli chiedono di dimostrare la sua regalità, scendendo dalla croce: egli invece non vuole che gli sia riconosciuta per la capacità di sottrarsi al supplizio, ma per la fedeltà alla sua missione; non perché comanda sugli altri, ma perché perdona. Quante volte, nel corso della sua vita terrena, aveva perdonato, confortato, dato speranza! Poco prima della promessa al cosiddetto "buon ladrone", era arrivato a giustificare persino coloro che lo stavano crocifiggendo: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". La sua regalità si manifesta in questa infinita misericordia, nel perdonare: unica via che consente agli uomini di riconciliarsi con Dio e tra di loro, unica via che porta alla vera pace.


Tante volte, nel corso della sua vita pubblica, egli aveva parlato del suo regno, il regno di Dio. Un regno che "non è di questo mondo", come ha puntualizzato davanti a Ponzio Pilato; un regno dove si seguono comportamenti diversi da quelli abitualmente in uso tra gli uomini; un regno la cui regola suprema è quella dell'amore, che si manifesta anche nel perdono.


Lui per primo l'ha praticato, e può perciò invitare gli uomini a fare altrettanto. Riconoscendo Gesù come re, si riconosce che la sua grandezza gli deriva dall'essere stato fedele al Padre, che l'ha mandato a dimostrare sino a che punto Dio ami gli uomini. Gesù è stato fedele sino alla fine: la fine della sua vita terrena, la fine della capacità di amare; più di così non è possibile. Nel contempo, onorandolo come re si riconosce che, per quanto inarrivabile, egli è il modello per chi lo vuole seguire; per chi, imparando a perdonare, vuole concorrere a realizzare il progetto divino di un mondo nuovo, basato sull'amore.

In altre parole, per chi vuole "salvare la propria vita": non pensando al proprio interesse, ignorando o magari sfruttando gli altri, ma al contrario: cioè come ha fatto Lui. "Venga il tuo regno", egli ci ha invitato a chiedere. Guardando a come si è comportato il re di quel regno, sappiamo come quel regno possiamo contribuire a realizzare.

 

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