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TESTO Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.

don Walter Magni  

Domenica di Cristo Re (Anno C) (06/11/2016)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

L'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo contrasta col clima di distruzione e di morte cui stiamo assistendo in questi giorni, dopo le violente scosse di terremoto che hanno devastato interi paesi, facendo crollare case e chiese. Gesù però non è re che domina il mondo e l'universo, ma anzitutto un servitore dell'umanità. Don Tonino Bello diceva: "il mondo andrà a finire bene, non vi preoccupate. Da quando Gesù è risorto, non possiamo più avere paura".

Dio che cerca il bene
Tutti abbiamo ben presente la sequenza del Vangelo di oggi quando Gesù dice: avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere. Gesù ci sta suggerendo uno stile. L'atteggiamento di fondo col quale Si pone davanti all'umanità. Come la guarda, come la vede. Non per dominarla, ma per servirla amandola. Non sottomettendola ai Suoi piedi, ma con l'intenzione di riuscire a raggiungere ogni uomo e ogni donna nei suoi bisogni primari. Persino nelle loro precarietà più profonde, nelle loro fragilità più evidenti. E dopo averle constatate e fatte Sue sino a identificarsi con noi, facendoSi carico delle nostre fatiche - ricordate l'agnello di Dio che si fa carico del peccato del mondo? - il Suo sguardo va subito alla ricerca del bene che circola nelle vene dell'umanità intera. Come dicesse, ringraziando: mi hai dato del pane, un bicchiere d'acqua, un sussulto di vita! Gesù non sta frugando nella nostra vita alla ricerca dei peccati. Il Suo sguardo cerca piuttosto spiragli di bontà, gesti umili, che sanno dire semplicemente il bene. Nel desiderio sincero di far star bene l'altro, mettendolo a proprio agio. Suscitandogli nel cuore un sussulto di speranza. Per questo Gesù ci regala l'elenco di sei opere buone, come volesse rispondere alla domanda che Dio aveva posto a Caino all'inizio della Genesi e che attraversa tutta la Scrittura: che cosa ne hai fatto di tuo fratello Abele? (Gn 4,10). Niente di clamoroso, ma gesti immediati che racchiudono una vitalità che fa rivivere, riportando al gusto e alla bellezza della vita. Solo questo fa il nostro Dio, raggiungendoci ancora e sempre, anche dentro i nostri scenari di distruzione e di morte.

Saremo giudicati sull'amore
C'è un capovolgimento di prospettiva quando cominciamo a capire che Dio non guarda anzitutto al peccato commesso, ma al bene fatto. Come se sulla bilancia della vita il bene fatto pesasse molto di più del male commesso. Ai Suoi occhi la luce è più forte del buio e una spiga di grano vale molto più della zizzania che ancora si radica nel nostro cuore. Così questa pagina di Matteo, chiamata appunto del giudizio universale, passa dai nostri giudizi di condanna ad un giudizio che giustifica e riabilita l'uomo. Ogni uomo. Certo: cosa rimane quando la nostra storia, questa nostra povera vicenda umana sarà terminata? La buona notizia del Vangelo ci porta questo verdetto definitivo: solo l'amore resta. L'amore che abbiamo dato e l'amore che ci è stato dato. Questo è il solo criterio che orienterà il giudizio di Dio sulla nostra esistenza. Anzi, in questa scena così potente e drammatica, Gesù stabilisce un legame, una relazione tanto stretta e inscindibile con ogni uomo, che arriva ad identificarSi con tutti: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Una vera e propria dichiarazione d'amore. Come dicesse: vi amo a tal punto che se siete malati allora è anche la mia carne che soffre, se avete fame allora sono io che ne patisco i morsi, e se mai qualcuno vi offrisse un aiuto, anch'io ne provo sollievo. Perché voi tutti siete carne della mia carne. E finché ci sarà anche un solo uomo sofferente per le nostre strade, il nostro Dio continuerà a soffrire con lui, a soffrire in lui.

Il peccato di chi non fa niente
E il vangelo di Matteo ci parla anche di tutti coloro che saranno respinti e condannati. Dove sta il loro peccato grave? Dove s'annida la loro colpa mortale? Nel non avere fatto niente di buono, nel non avere minimamente esercitato quel poco di bene che avrebbero potuto fare. Non sono stati anzitutto cattivi o violenti. Potrebbero aver aggiunto male a male nella loro vita, sino all'efferatezza. Ma la radice della loro malvagità, la ragione della loro condanna sta più semplicemente in una grande omissione: non aver fatto un po' di bene. Nell'essere stati volutamente distanti dai più piccoli e più poveri della terra. Senza mai commuoversi, lasciandosi prendere da quelle viscere di misericordia, dal quel movimento profondo del cuore, che ha piegato il samaritano della parabola spinto il samaritano della parabola su un poveretto ch'era stato derubato e gettato ai margini della strada (Lc 10,25-37). Non basta ritenersi buoni perché non facciamo nulla di male. Anche il silenzio omertoso di chi sta alla finestra può uccidere un fratello. Chi non si impegna per il bene comune, a sostegno di chi ha fame o patisce ingiustizia, è complice del male.
Il contrario dell'amore non è per sé l'odio, ma l'indifferenza che annienta il fratello che non voglio vedere, che non voglio sentire. Lasciandolo vagare nel mondo, come un morto che cammina. Papa Francesco ha parlato in questo senso di "globalizzazione dell'indifferenza".
Riattiviamo in noi lo sguardo che sa stare sul pezzo, davanti alla realtà della gente. Imparando a vedere tutti così come Dio li guarda. Così come Dio ama la gente.

 

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