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TESTO Una semplice parete di carta

don Angelo Casati  

Tutti i Santi (01/11/2016)

Vangelo: Mt 5,1-12a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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Non è stato specificata nessuna citazione

Penso che un po' ci commuova il fatto che questa festa di "tutti i santi" si sposi, stretta stretta, con quella dei morti. E quasi non c'è confine. Non solo. Ma oggi dovremmo aprire le chiese. E come faremmo a starci? Noi abbiamo messo a venerazione, nelle chiese, statue di santi nelle nicchie, immagini di santi nei dipinti, ricordi di santi nei reliquiari. Li abbiamo messi sugli altari.

Ma come potremmo mettere sugli altari, nei reliquiari, la moltitudine che oggi ricordiamo? Dovremmo eliminare le pareti troppo anguste delle chiese. E forse - dico forse - faremmo loro un torto chiudendoli nella nostra chiesa, perché sono i santi di una santità anonima. Che è la santità della vita quotidiana. E finalmente - lasciatemi dire - in questa folla troviamo laici e donne, quelli che sino a poco tempo fa non trovavamo se non raramente, molto raramente, tra i santi canonizzati. Quasi bisognasse essere papi o vescovi, preti, religiosi o monache, o anche re o regine o personaggi importanti e non gente comune, gente normalmente vestita, gente in case normali, in lavori normali, in situazioni normali.

Perché, vedete, la santità non sta nella straordinarietà della vita e forse nemmeno nella straordinarietà dei miracoli. Non sta scritto forse nel vangelo che Gesù ad alcuni che gli diranno: "Non abbiamo forse fatto miracoli nel tuo nome", come ad altri che gli diranno di aver predicato nel suo nome, risponderà: "Via da me voi operatori di iniquità"? La santità non sta nella straordinarietà. In che cosa sta? Se stiamo alle letture di oggi, lettera ai Romani, la santità della folla è innanzitutto un dono, un dono senza esclusioni. Non è frutto di una scalata eroica, per la quale occorrono chissà quali forze, roba da atleti, è un dono.

E, ancora, è una vita. Se stiamo alle letture di oggi, al libro dell'Apocalisse, è la vita di coloro che portano sulla fronte un segno, il sigillo dei servi del Signore. Portare il sigillo, secondo le Scritture sacre, significa che ci si rifiuta nella vita di portare sulla fronte il sigillo di altri, di prostraci ad altri. A nessuno! A nessuno di quelli che, apertamente o subdolamente, vorrebbero metterci al loro servizio, manovrati, sfruttati, comunque striscianti, a servizio dei loro progetti. Ai tempi in cui il libro veniva scritto, il sigillo era quello del'imperatore; oggi gli imperatori, anche se non ne portano il nome, sono altri.

E tu libero, tu schiena dritta, perché il sigillo che tu onori è quello del tuo unico Signore, il Signore Gesù. Ma, ancora in che cosa sta la santità della folla? Sta nelle beatitudini del vangelo. Che da un lato dicono la bellezza "beati" e dall'altro dicono concretezza, concretezza del vivere, non sono visioni evanescenti. Si vive e si opera nel mondo.

Al cuore - perdonate la lunga citazione - mi sono venute le parole di padre Giulio Bevilacqua - poi Paolo VI lo farà cardinale - una professione di fede dove senti la santità non come distacco, ma come passione per la vita. Scrive: "Credo in Dio e credo nell'uomo, quale immagine di Dio. Credo negli uomini, nel loro pensiero, nel valore della loro sterminata fatica. Credo nella vita come dono e come durata, come possibilità illimitata di elevazione, non prestito effimero dominato dalla morte. Credo nella gioia: la gioia di ogni stagione, di ogni tappa, di ogni aurora, di ogni tramonto, di ogni volto, di ogni raggio di luce che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore. Credo nella famiglia del sangue e nella famiglia prescelta per il mio lavoro.

Credo nel dovere di servire il bene comune perché giustizia, libertà e pace siano a fondamento della vita sociale. Credo nella possibilità di una grande famiglia umana e nell'unità dei cristiani quale Cristo la volle. Credo nella gioia dell'amicizia, nella fedeltà e nella parola degli uomini. Credo in me stesso, nella capacità che Dio mi ha conferito, perché possa sperimentare la più grande fra le gioie, che è quella del donare e del donarsi. In questa fede voglio vivere, per questa fede voglio lottare e con questa fede voglio addormentarmi in attesa del grande, gioioso risveglio"

Mi è sembrato di ascoltare l'eco delle beatitudini. Che sono per tutti. A volte ti sembra di ascoltare le beatitudini, di vederle dal vivo, dalle immagini che ti rimanda la vita. Tra le tante immagini che mi hanno colpito in questi giorni, ieri l'altro un'immagine da Norcia, dove si vedevano quasi in un abbraccio laici e religiose insieme: era l'immagine degli uomini della protezione civile che portavano nei loro teli una monaca, anziana, di clausura che non avrebbe retto sulle sue gambe.

Accadevano, e accadono, le beatitudini. Accade la santità della folla e del quotidiano. Senza distinzioni. Voi sapete che sono un po' strano. Ritorno al fatto che alla festa di tutti i santi è stretta stretta quella dei nostri morti. E allora la proposta che vorrei fare sarebbe un invito per tutti noi a visitare non solo i cimiteri in questi giorni, ma a visitare se possibile - e se non è possibile a visitarli in sogno - i luoghi dove i nostri cari sono vissuti. A quelle mura, a quel tavolo, a quella lampada, a quanti frammenti, è legato qualcosa di loro. Voi mi capite, quasi fossero - perdonate - delle reliquie, le loro preziose reliquie .

E, contemplando, ricordare. E infine vorrei dire imparare a raccontare, a raccontarsi con i nostri cari, che siamo soliti chiamare "i nostri morti". Forse ci farebbe bene ricordare le parole dell'angelo alle donne il mattino della risurrezione: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?". Sono semplicemente al di là di una parete di carta. Scrive Christian Bobin: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete di carta. Io ti sento camminare dietro".

Io sento te, Signore, ma sento anche loro, camminare dietro, dietro la parete di carta.

 

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