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TESTO Commento su Matteo 28,16-20

don Michele Cerutti

I domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (23/10/2016)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

La giornata del mandato missionario dovrebbe incoraggiarci e nello stesso tempo dovrebbe scuoterci su come è il grado del nostro annuncio. Svuotiamo il campo dall'idea che questa giornata sia dedicata solo a coloro che nel mondo annunciano il Vangelo in terre lontane. Ci sta anche questo, ma non deve essere solo questo. Svuotiamo il campo dall'idea che la giornata del mandato missionario è solo per preti, suore e frati. No questa giornata abbraccia tutti i battezzati.
Mi rifaccio al Codice di Diritto Canonico e al Catechismo della Chiesa Cattolica, non per una logica legalista ma di contenuti.
Il CIC afferma: Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l'annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.
Il Catechismo afferma: Rigenerati [dal Battesimo] per essere figli di Dio, [i battezzati] sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa e a partecipare all'attività apostolica e missionaria del popolo di Dio.
Siamo chiamati tutti a vivere la nostra missione. Via tiepidezze, timidezze tutto questo non può abitare nel cuore dei credenti e interpelliamoci sullo stile della missione cristiana.
Il Cardinale Tomko prefetto della Congregazione dell'evangelizzazione dei Popoli afferma: La missione è la gioia di credere nella "bella novella", o "buona novella" portata ai poveri pastori e di continuare la sua diffusione: "Non temete, ecco io vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato... un salvatore che è il Cristo Signore" (Lc 2, 10-11).
La missione è la gioia di conoscere Dio come Padre e come amore e annunziare agli altri, come gli Apostoli, la persona e l'opera di Gesù Cristo, il Figlio unigenito del Padre: "E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4, 14-16).
Una volta abbozzata cosa è la missione occorre comprendere lo stile. Lo stile è quello della gioia. Vincere la tristezza individualista che ci caratterizza. Il mondo ha bisogno di trovare in noi quella sorgente da cui può attingere per dissetarsi. Per essere la risposta agli interrogativi profondi dell'uomo dovrebbe trasparire come primo ingrediente la gioia, che non ci abbandona neanche nei momenti difficili.
Penso a quei santi che hanno compreso la profondità, l'ampiezza e la larghezza dell'amore di Dio e consapevoli di ciò non si sono mai fatti scoraggiare neanche dalla malattia. Sono quei santi che hanno avvicinato a Dio nel letto di un ospedale. Pensiamo alla Beata Chiara Luce Badano.
Afferma il padre, Ruggero: "Chiara sapeva che la malattia l'avrebbe condotta alla morte, eppure trovava la forza per cantare, e tutte le volte che io aprivo la porta della sua camera, lei sorrideva. Credevo che lei lo facesse per dare coraggio a noi. Un giorno ho tolto la chiave dalla serratura. Guardavo dal buco per vedere se lei stesse piangendo, ma lei sorrideva sempre. Le sentivo dire: per te Gesù.., per te Gesù...
La madre, Maria Teresa: "Per ogni ciocca di capelli che cadeva per la chemioterapia, lei diceva: per te Gesù. Chiara traeva la sua forza dall'Eucaristia. Voleva un vestito da sposa per la sua morte. Noi eravamo in difficoltà. Non capivamo. Poi degli amici di Chiara l'hanno fatto fare appositamente...
Alla gioia si unisce il coraggio che impariamo da coloro che annunciano il Vangelo lontano dalla terra d'origine solcando zone impervie e vivendo a contatto di culture distanti. Quel coraggio ci dovrebbe spingere ad essere testimoni nei luoghi dove lavoriamo o viviamo che possono essere ostili all'annuncio del Vangelo. Molto spesso possono essere ambienti che ci escludono non ci considerano, ma non dobbiamo aver paura. Gesù ci promette che sarà con noi fino alla fine del mondo. L'azione missionaria trova in Lui inizio e in Lui il suo compimento. Quindi noi siamo semplici strumenti della grazia. Allora la nostra azione missionaria non può esulare dall'intimità con Gesù.
La fedeltà alla Messa domenicale, ma dobbiamo spingerci a qualcosa in più. La preghiera quotidiana del Rosario per attingere da Maria quella determinazione che ha caratterizzato anche la vita della Vergine. Più familiarità con la Parola di Dio. Non conoscere le Scritture è ignoranza di Cristo diceva San Girolamo. Un brano del Vangelo al giorno prima di coricarci per poi soffermarsi su una espressione che ci colpisce e scolpircela nella nostra mente e nel nostro cuore. In Lui attingiamo quel coraggio e quella perseveranza che sono virtù necessarie per tener vivo la missionarietà nella Chiesa.
Al coraggio uniamo anche la prudenza, una prudenza che sa ascoltare. La missione cresce intorno alla Comunità ed è guidata da guide sagge. Non agiamo da soli ma sempre in contesti comunitari. Il confronto con persone sagge è importante. Una prudenza che porta a non improvvisare e che sa pazientare sui risultati. Tutti vorremmo vedere i frutti maturi. Noi dobbiamo anche questo caso lasciare agire il Signore è Lui che conosce i tempi. Lasciamo agire senza la nostra solita fretta che non sa mai aspettare.

 

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